La questione è, ovviamente, fondamentale: bisogna fermare il riscaldamento globale, perchè mette in pericolo la nostra stessa sopravvivenza. Chiaro e semplice per tutti, anche se non facile da mettere in atto: soprattutto le nuove economie (Cina, India e Brasile), infatti, si sono sempre opposte, perchè delle limitazioni alle emissioni di gas serra, avrebbero significato anche un ostacolo alla loro crescita.
Solo negli ultimi anni, complici livelli di inquinamento ormai intollerabili, ci sono state delle aperture. Restava, però, la domanda di sempre: chi pagherà il conto? Non dimentichiamo, infatti, che ancora oggi, l'energia a combustibili fossili (petrolio su tutti) è alla base dell'economia globale: eliminarli del tutto avrebbe dei costi, a livello finanziario e lavorativo, incalcolabili. Queste, per lo meno, sono state le rimostranze espresse, sino ad oggi, dai contrari alle limitazioni degli inquinanti.
In realtà, questa obiezione, da tempo, non ha più validità, ammesso che ne abbia mai avuta, per due motivi: primo, il costo economico del riscaldamento globale; secondo, lo sviluppo delle energie rinnovabili e della green economy.
Nel primo caso, ci ha pensato la Banca Mondiale a fare i conti: negli ultimi 30 anni, l'inquinamento ha provocato disastri – naturali e non – che hanno lasciato, dietro di se, oltre 2,5 milioni di morti e qualcosa come 4 trilioni di dollari di danni. La stessa economia globale paga un conto salatissimo: 200 miliardi di dollari l'anno, infatti, vanno persi a causa dell'effetto serra e delle sue conseguenze.
Direi che cifre di questo genere sarebbero più che sufficienti per far ricredere chi, ancora oggi, pensa che essere green sia antieconomico. E se nemmono questi argomenti bastassero, per convincere anche i più recidivi fan di petrolio e carbone, si potrebbe portare alla loro attenzione un dato: secondo le stime della IEA, gli investimenti, pubblici e privati, nella green economy, varranno tra gli 8 e i 15 trilioni di dollari se si continua con l'attuale tasso di crescita (ma è già prevista una notevole espansione), entro il 2035.
Nella sola Italia, l'economia verde vale 102 miliardi di euro, il 10,3% del nostro PIL, con oltre 3 milioni di occupati. E i valori, secondo Unioncamere, non possono che salire: tra il 2013 ed il 2014, il fatturato delle imprese di settore è salito del 19,6% e per il 2015 sono previsti sia nuovi investimenti che nuove assunzioni (si ipotizzano circa 300 mila nuovi addetti).
Le imprese green, inoltre, sono a tutto campo – alimentare, energia, riciclo, informatica, edilizia – e ben avviate, tanto da eccellere in diversi settori: per fare un esempio, le nostre aziende dell'agroalimentare bio sono le prime nell'Unione Europea e tra le più importanti al mondo, con un valore economico di circa 2 mila euro per ettaro (il doppio di quelle tedesche).
Certo, restano i problemi di sempre: tasse, burocrazia, ma, soprattutto, la mancanza di un progetto organico a livello nazionale, un piano di sviluppo industriale che permetta alla green economy di essere uno dei volani della ripresa italiana. Eppure, nonostante le promesse di impegno del Governo, di fatti se ne sono visti ben pochi, per non dire nessuno, mentre Legambiente denuncia, addirittura, dei significativi passi indietro.
Forse, come propongono di fare i più volenterosi della conferenza parigina, sarà proprio la green economy a salvarci: vogliamo, forse, perdere questo treno?
Danilo