Primo. Si sostiene che il progetto di scrivere una costituzione per consenso fallirà e che l’Akp presenterà un proprio testo – con impostazione presidenzialista – da sottoporre a referendum. Quindi? Cosa c’è di anti-democratico e autoritario in tutto ciò? Prima si prova a formulare un testo condiviso, poi si passa al piano B: coi cittadini che saranno liberi – democraticamente – di approvare oppure no. Più lineare di così…
Secondo. Si sostiene che ha Erdoğan accantonato le trattative segrete col Pkk e ha riproposto il tradizionale approccio militare Ma perché non si aggiunge che è stato il Pkk – la scorsa estate – a riprendere l’offensiva sabotando così le trattative? Perché non si fa il conto di quanti soldati e civili sono stati uccisi in azioni di guerriglia e terroristiche negli ultimi 12 mesi?
Terzo. Vengono riproposti i soliti slogan dei giornalisti in prigione, dei giornalisti licenziati, dell’islamizzazione etc etc (spacciando per fatti illazioni mai verificate, senza comunque fornire fonti o dettagli: in ogni caso presentandoli come se fosse Erdoğan l’artefice di tutto, come se in Turchia non fosse ancora in vigore una costituzione imposta da un regime militare autoritario).
Quarto. Si sostiene che a causa dell’arresto di un nutrito numero di generali accusati di attività eversive, l’esercito “è ridotto al silenzio”. E perché mai le forze armate di uno stato democratico dovrebbero “parlare”? Sembra che a chi ha scritto l’articolo dispiaccia che le intromissioni politiche dei militari sono state (definitivamente?) neutralizzate.
Quinto. Si sostiene che la popolarità di Erdoğan, a causa di tutto ciò e di altro (la crisi siriana) è in calo; dico: ma uno straccio di sondaggio – anche se pilotato o fasullo – lo volete citare? Come fate a sostenere che la popolarità di Erdoğan è in calo – cari colleghi dell’Economist – senza offrire alcun riscontro?
Ma è giornalismo, questo? Secondo me, no!
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