L’Ecuador cancella il piano ambientale, sí all’estrazione petrolifera

Creato il 19 agosto 2013 da Eldorado

I tempi non sono maturi. Queste le parole usate da Rafael Correa, il presidente dell’Ecuador, per cancellare in forma definitiva il piano ambientale Yasuní-ITT. Il paese andino tornerà quindi allo sfruttamento petrolifero e lo farà in una regione dichiarata protetta dall’Onu nel 1989. Proprio con le Nazioni Unite, l’Ecuador aveva sviluppato un progetto ambizioso, che avrebbe dovuto segnare una nuova strategia nel campo delle politiche ambientali. L’Ecuador si era impegnato a non sfruttare le risorse petrolifere della regione amazzonica dello Yasuní a cambio di una contribuzione internazionale equivalente almeno alla metà degli utili che lo Stato avrebbe ricevuto nel caso di aver avviato invece l’estrazione del petrolio.

Il piano Yasuní-ITT avrebbe permesso di evitare l’emissione nell’atmosfera di 400 milioni di tonnellate di gas serra in un esperimento di responsabilità ripartita tra l’Ecuador ed i vari paesi industrializzati. In cifre, i governi del Primo mondo avrebbero dovuto investire 3600 milioni di dollari per un periodo di dodici anni (300 milioni di dollari all’anno) come compensazione al paese sudamericano. I soldi racimolati sarebbero stati gestiti in una fideiussione gestita dall’Onu. Il risultato è stato deprimente: dal giugno 2007, quando Correa presentò l’iniziativa, nel conto sono arrivati solo 13 milioni di dollari, troppo poco per continuare a sostenere l’intero progetto.

Di fronte al disinteresse internazionale, Correa ha chiesto al Congresso una veloce discussione ed approvazione del disegno di legge perché la regione denominata ITT (che racchiude le zone di Ishpingo, Tambococha e Tiputini) venga dichiarata di interesse nazionale prioritario, primo passo per avviare il processo d’estrazione. Nel sottosuolo amazzonico di questa regione sono racchiusi almeno 920 milioni di barili di petrolio, un toccasana per l’Ecuador che attualmente ha riserve solo per i prossimi dieci anni.

Lo Yasuní, parco di quasi diecimila chilometri quadrati incastonati nella frontiera est del paese con il Perù, è l’habitat di centinaia di specie di animali, un monumento alla biodiversità dove vivono anche diverse comunità indigene in isolamento volontario. I loro rappresentanti e le organizzazioni ambientaliste hanno reagito con indignazione alla decisione di Correa che, però, rigetta ogni accusa e dà la colpa di quanto sta accadendo esclusivamente ai paesi industrializzati e alla loro logica di sfruttamento. L’Ecuador, per sopravvivere, dovrà sottostare a questa logica.

Diverso il tono dei gruppi ambientalisti, che accusano Correa di essersi sempre comportato da doppiogiochista. Mentre da un lato appoggiava lo Yasuní, dall’altro, attraverso i funzionari di Petroecuador, conversava sullo sfruttamento petrolifero della regione, con la firma già nel 2007 di un accordo con Cina, Brasile e Cile per l’esplorazione del sottosuolo nell’ITT. Secondo molti, le licenze sono già pronte, a testimonianza di come il governo ecuadoriano avesse da tempo avviato un piano B, completamente in contrasto con la conservazione dell’area. Una fine ingloriosa per un piano che avrebbe potuto segnare nuovi criteri nell’ambito delle politiche ambientali. La pagina sull’iniziativa Yasuní: http://www.yasuni-itt.gob.ec/inicio.aspx


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