1-116 Prologo
La tragedia inizia con l'apparizione di Edipo sorretto da una fanciulla, Antigone, sua figlia-sorella. In prossimità di Atene chiedono informazioni su dove si trovino ad un passante: questi li invita ad allontanarsi: il luogo è consacrato alle dee Eumenidi, dee terribili, dal cui nome Edipo è colpito. Apprende dallo stesso di essere a Colono, il cui re è l'ateniese Teseo. Già da qui si nota la stanchezza per la vita di Edipo, la sua voglia di porle fine. Il prologo anticipa il motivo conduttore della tragedia: il contrasto fra il crudo passato del protagonista e la quiete estrema, verso la quale tende e dalla quale finirà per essere assorbito.
117-253 Parodo
Qui troviamo un canto del coro: al sopraggiungere degli abitanti Edipo si era nascosto, quando si fa avanti, il coro prova un sentimento misto di pietà e di orrore. Dopo averlo invitato ad uscire dal sacro recinto, il coro vuol conoscere l'identità dello straniero, quando la scoprono gli intimano di allontanarsi, ma servirà l'intervento di Antigone per farlo restare.
254-667 Primo Episodio
Mentre tutti aspettano l'arrivo del re Teseo, la figlia di Edipo, Ismene, arriva da Tebe per avvertirlo dei disordini generati dai due figli maschi, entrambi ambivano al trono: il minore l'ha usurpato, ed il maggiore sta muovendo un esercito contro di lui. Ora entrambe le parti cercano Edipo, perché un oracolo ha predetto che la vittoria sarà destinata a chi lo avrà con sé, vivo o morto. Non è loro intenzione, però, riportarlo ai confini della patria, bensì lasciarlo ai margini di essa. Quindi Edipo, dopo aver maledetto i figli, viene aiutato e curato da due fanciulle. Il coro allora gli consiglia di offrire una libagione alle dee a cui è sacro il territorio. Sarà Ismene ad occuparsene. Interrogato dal coro sul suo passato, egli risponde che le sue presunte colpe si sono verificate per via della sorte. Al sopraggiunto Teseo egli chiede di poter essere seppellito in quel luogo stesso.
668-719 Primo Statismo
Qui il coro inneggia a Colono e a tutta la Grecia, ed Edipo ricorda la sua giovinezza.
720-1043 Secondo Episodio
Si presenta il figlio Creonte, che con una ipocrita proposta cerca di soccorrere il padre interessatamente, egli pensa che è in grado di costringerlo, sia lui che le sue figlie, a venire con sé, nonostante il rifiuto del padre. Gli strappa Antigone dalle braccia, e, nonostante le proteste del coro, usa la violenza anche sul padre. Accorso Teseo, lancia un esercito contro i rapitori. Mentre Edipo e Creonte discutono sull'uccisione del padre da parte del primo, Teseo trascina Creonte per liberare gli altri prigionieri. Prima della pace estrema egli deve ripercorrere con la memoria e le parole il suo cruento passato. Si sente immune da colpa, perchè tutto è dipeso dal volere degli dei.
1044-1095 Secondo Statismo
Il coro immagina di assistere al propizio scontro tra Teseo ed i tebani, ringraziando gli dei per questo.
1096-1210 Terzo Episodio
Quando Teseo riporta le figlie al padre, già l'altro figlio ottiene di parlare con lui.
1211-1248 Terzo Statismo
Il coro racconta che Edipo non è più perseguitato dagli dei e dal destino, è solo un vecchio. Si accorge quindi che lo stesso morire sarebbe un peccato: qui cita una frase di Sileno rivolto al Re Mida: "Meglio di ogni cosa è non essere nati, e dopo di ciò morire subito dopo la nascita".
1249-1555 Quarto Episodio
Arriva ora Polinice, primo figlio di Edipo, che, diversamente dal fratello, chiede gentilmente aiuto al padre: qui si scatena l'ira di Edipo, il quale fa notare al figlio come sia ancora vivo per merito di Antigone e le sue sorelle, non di lui e del fratello: su questi ultimi cadrà la sua maledizione! Polinice rimane allora deluso, e non tenta alcuna replica. Mentre il coro lamenta la vicenda, si ode un tuono: segno che per Edipo si sono aperti i passaggi per l'aldilà, egli ordina di far accorrere Teseo, ed il coro si spaventa per quello che sta avvenendo. Quando Teseo arriva, Edipo si accinge a portarlo nel luogo della sua morte, e invita anche le figlie a venire. Dice a Teseo di cercare di mantenere tranquilla la sua città.
1556-1578 Quarto Statismo
Non resta che pregare gli dei dell'oltretomba, perchè concedano il lieve trapasso al morituro. La sua morte non è comune: è come una discesa dall'Ade.
1579-1779 Esodo
Teseo racconta al coro la scomparsa di Edipo: "Il vecchio si inoltrò nel bosco, e giunto alla sacra voragine compì i riti di purificazione. Poi prese commiato dalle figlie, e le fece allontanare, solo io restai ad apprendere le sue ultime parole: e poco dopo, voltandosi, essi mi videro come percosso da una vista arcana e tremenda - nessuno sa come sia morto Edipo, solo si sa che gli sono state risparmiati pianto e dolore". Teseo conferma il desiderio di Edipo che nessuno si avvicini al suo sepolcro, e acconsente a quello di Antigone di poter andare a Tebe per tentare d'impedire lo scontro tra i due fratelli.
L’INTERPRETAZIONE DI FREUD
La più famosa interpretazione dell'Edipo Re sofocleo si deve a Freud, che dalla tragedia fece derivare il nome del complesso maschile infantile per cui il bambino viene portato ad odiare il padre e ad attaccarsi morbosamente alla madre. Ciascuno di noi, in sostanza, vorrebbe da bambino sbarazzarsi del padre per poter possedere la madre, dalla quale è sessualmente attratto. Sul versante femminile, si ha il complesso di Elettra, ovvero la bambina vorrebbe sbarazzarsi della madre per possedere sessualmente il padre. Certo l'Edipo re assurse per Freud e per la psicoanalisi a paradigma del fenomeno psicologico, ma non solo, perché Freud stesso spiegò l'efficacia della tragedia in questo modo:
Il suo (di Edipo) destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il nostro primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno convinzione. (...) Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell'infanzia indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce della sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti. Sigmund Freud, da Interpretazione dei sogni, 1900
In parecchi testi, Freud riprende questa tesi e cita il mito di Edipo (la lezione XXI del ciclo di lezioni di Introduzione alla psicoanalisi, la lettera a Wilhelm Fliess del 15 ottobre 1897...). Scrive ancora Freud: Se Edipo Re è in grado di scuotere l'uomo moderno come ha scosso i greci suoi contemporanei, ciò non può che significare che l'effetto della tragedia greca non è basato sul contrasto tra destino e volontà umana, ma sulla particolarità della materia sulla quale questo contrasto viene mostrato. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere nell'Edipo la forza coercitiva del destino, mentre soggetti come quello della Bisavola o di altre simili tragedie del destino ci fanno un'impressione di arbitrarietà, e non ci toccano. Ed effettivamente nella storia di Re Edipo è contenuto un tale motivo. Il suo destino ci scuote soltanto perché avrebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l'oracolo ha pronunciato ai nostri riguardi la stessa maledizione. Forse è stato destinato a noi tutti di provare il primo impulso sessuale per nostra madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza per nostro padre; i nostri sogni ce ne convincono. Re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e che ha sposato sua madre Giocasta, è soltanto l'adempimento di un desiderio della nostra infanzia. Ma a noi, più felici di lui, è stato possibile, a meno che non siamo diventati psiconevrotici, di staccare i nostri impulsi sessuali dalla nostra madre, e dimenticare la nostra invidia per nostro padre. Davanti a quel personaggio che è stato costretto a realizzare quel primordiale desiderio infantile, proviamo un orrore profondo, nutrito da tutta la forza della rimozione che da allora in poi hanno subito i nostri desideri. Il poeta, portando alla luce la colpa di Edipo, ci costringe a conoscere il nostro proprio intimo, dove, anche se repressi, questi impulsi pur tuttavia esistono. Il canto, con il quale il coro ci lascia:
..."Vedete, questo è Edipo, i cittadini tutti decantavano e invidiavano la sua felicità; ha risolto l'alto enigma ed era il primo in potenza, guardate in quali orribili flutti di sventura è precipitato!"
è un'ammonizione che colpisce noi stessi e il nostro orgoglio, noi che a parer nostro siamo diventati cosi saggi e così potenti, dall'epoca dell'infanzia in poi. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri che offendono la morale, di quei desideri che ci sono stati imposti dalla natura; quando ci vengono svelati, probabilmente noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene dell'infanzia A questo proposito bisogna ricordare quanto fosse importante per Freud e quanto lo sarà per la psicoanalisi (in particolar modo il filone junghiano) ricorrere al mito: un po' come nella filosofia platonica, il mito diviene paradigma, exemplum, una via efficace per spiegare, più precisamente per far affiorare dall'inconscio ciò che abbiamo rimosso. L'importanza dell'arte per Freud sta anche in questo: egli stesso sostiene che "noi e lui [Freud e il poeta] attingiamo alle stesse fonti, lavoriamo sopra lo stesso soggetto, ciascuno di noi con metodo diverso".
Riprendendo il discorso della critica freudiana, oltre il passo sovracitato egli inserisce una serie di versi, dalla tragedia stessi, sui quali fa poggiare trionfante la propria interpretazione:
dall Edipo Re di Sofocle, vv.977-983
GIOCASTA:
Ma perché sgomentarsi, se in balìa
della fortuna sono i casi umani,
che l'uomo non potrà mai preconoscere?
E' più saggio affidarsi alla ventura,
come si può; né tu temere le nozze
con tua madre. Non giacquero molti in sogno
con la loro madre? E vivono sgomenti
forse per i loro sogni? No, se vogliono
condurre la vita senza troppi affanni.