L'editoria mi ha stufato, Mario Pisa fascista

Creato il 22 novembre 2010 da Sulromanzo
Di Sara Gamberini
Farsi spazio nel mondo dell'editoria...
Un titolo incomprensibile, attirerà i lettori. Quanti click? Sono incerta, vorrei recensire l'ultimo meraviglioso romanzo di Michael Cunningham ma è stato proprio il suo libro a farmi sbottare. Sul comodino ho una decina di titoli di esordienti. Non voglio cedere alla tentazione di comparare Cunningham e Veronica Tomassini, Cunningham e Paolo Piccirillo, Cunningham e Antonella Lattanzi. Ce la potrei fare sviluppando un funambolico e amareggiato parallelismo, scrivendo cioè un sacco di sciocchezze, ma attirerebbe troppi lettori. Invece voglio che questo articolo non lo legga nessuno o che incuriosisca pochi distratti lettori e che questi pochi lettori non ne leggano più di metà. Poi ci penserò io con l'imposizione virale del mio pezzo e mi aggancerò a qualche scrittore che conosco. O punterò a qualche editor con cui ho collaborato. Chiederò di commentare e di scrivere che il mio articolo è geniale. E il mio lamento sterile verrà condiviso in qualche bacheca. Due o tre persone mi chiederanno amicizia e io mi sentirò interessante. Sentirsi interessante consente di scrivere meglio. E il prossimo pezzo sarà deciso, arrogante un tantino; pontificherò. Scriverò che la letteratura è morta, che non ci sono più scrittori con le maiuscole, che Proust ce lo sogniamo e che la Mondadori 'fanculo, Berlusconi 'fanculo. E avrò altri tre o quattro seguaci 'letterastri', che mi saranno fedeli giusto il tempo di durata di una scintilla della loro memoria a breve termine. Mi permetterò di consigliare un buon romanzo perché sentendomi interessante mi vivrò critico letterario e forse una o due persone, magari dieci, lo leggeranno. In questo modo la casa editrice che ha pubblicato il libro, anche se provasse orrore per la mia recensione maldestra e sgrammaticata o imbarazzo per la mancanza assoluta e assodata di contenuti, per un po' non potrà ignorarmi. Ma meglio aspettare, consolidare. Intanto 'entro nell'ambiente', 'ci metto un piede dentro'. Quindi frequento un corso di scrittura creativa e uno per redattori. Un weekend a Milano e uno a Roma, investo sul mio futuro, e per tre giorni pranzerò con gli scrittori e gli editor in voga. Farò battute dissacranti sullo stato dell'editoria ma concluderò sempre dicendo che chi ha talento ce la fa. Non pensassero mai che li sto accusando. Sgomiterò per il posto in prima fila e per leggere per prima il mio rifacimento dell'incipit di Colette. Darò a questo incipit una potenza cinematografica, lo renderò accattivante, eliminando le sublimi descrizioni di Colette e lo trasformerò in puro impatto emotivo. Mi preparo anche un argomento seduttivo per il pranzo. Sgomito per sedermi alla destra o alla sinistra dell'editor/insegnante e parto timidamente dicendo che bisognerebbe, a mio modestissimo parere, puntare sulla letteratura sconosciuta di paesi come Africa, India, Messico, Asia, Colombia. Così dicendo mi garantisco: un'immagine very alternative con passioni di nicchia, lungimiranza editoriale senza scivolare sull'economicamente scorretto (c'è sempre tempo per abbassare la testa e dire sconsolata sì, le case editrici sono aziende e di qualcosa dovranno pure campare), la possibilità di non conoscere gli autori citati per via della pronuncia. Ordino qualcosa di poco pacchiano, rinuncio all'insalata che fa fotomodella e mi butto su seitan marinato e topinambur trifolati. Il pomeriggio decido di starmene in disparte, lascio che mi si rubi il posto in prima fila e mi distraggo; il corso è noiosissimo, in tre giorni non si impara nulla di editing e non si scrive un incipit ficcante. Lo sappiamo tutti, qui sta la nostra complicità. È il mio quarto corso bonsai per redattori e il mio terzo di scrittura creativa. Alla fine del corso l'insegnante/scrittore/editor ci lascia la sua mail, lo fa controvoglia ma si mette una mano sul cuore, abbiamo sganciato 300 euro ciascuno. Tutti i quindici partecipanti, ad intervalli regolari di due o tre giorni, a seconda di chi gioca di anticipo e chi di nonchalance, spediscono il proprio curriculum, scrivendo nella mail ciao ti ricordi ho partecipato al corso di editing, davvero interessante. Qualcuno non risponde, altri invece si prendono la briga di scrivere: ciao! (che fa amici di vecchia data) mi spiace ma al momento non credo che la casa editrice stia cercando nuovi lettori (loro, non io, se fosse per me ma non sono io a decidere sono loro, non io, loro).Dopo il corso di scrittura invece è inevitabile che lo scrittore insegnante o l'insegnante prossimo a divenire scrittore o lo scrittore che gli è andata male e ora è insegnante riceva cumuli di malloppi di orrendi inediti. Questo accade perché, e voglio essere elegante e sottolineare che non sempre è così, durante il corso presi dalla disperazione dovuta alla pochezza del novantanovepercento degli elaborati, lo scrittore non scrittore, lo scrittore prossimo, lo scrittore davvero, deve pur piazzare un complimento uno per motivare, forse anche a se stesso, l'esistenza del corso. Uno scrittore che non è più scrittore dopo avermi risposto con pazienza e dopo aver letto i miei orribili racconti ha deciso di fingere di non ricevere le mie mail. 'Che cosa strana, è già la seconda volta che succede e sempre con te, controllerò l'account.' Lo scrittore che non è più scrittore è scomparso dalla mia vita dopo avermi detto che ero una gemma da ripulire. Continuo la mia carriera di opinionista sui blog letterastri. Trovo un interessante dibattito accusatorio tra Transeuropa e Isabella Borghese. Una questione che scotta: la casa editrice promette o non promette la pubblicazione di un testo a Isabella Borghese, poi ritratta o non ritratta, poi chiede o non chiede di preparare la piazza di Roma. Qualcuno dice che Transeuropa, per la piazza, prometta in cambio una pubblicazione. Qualcuno dice che è a prescindere dalla pubblicazione, la piazza. La scrittrice ci sta ma con riserva. Loro non le pubblicano il libro. Oppure, altra versione, il comitato di lettura boccia il testo di Isabella Borghese, qualcuno della casa editrice dice dai, proviamoci, lavora un po' con noi e poi vediamo. Lei si arrabbia. Vedo che a questa discussione, di cui non me ne importa davvero nulla, partecipano persone interessanti. Qualche critico letterario, qualche scrittore, due o tre case editrici di nicchia. Decido di intervenire, si sa mai. Per non perdere nessuna occasione scrivo qualcosa di incomprensibile e resto nel vago. Scrivo: 'Questo pazzo pazzo mondo. Nulla da dire su colpa e ragione. Non intendo schierarmi e per un sacrosanto, imprescindibile motivo. Al di là di giusto e sbagliato, bello e brutto, colorato o in bianco e nero, pulito o sporco, bene e male, perché non torniamo a riflettere sui nodi centrali, sull'onestà intellettuale? Torniamo ai contenuti.”Non mi ha risposto nessuno. Ho controllato un centinaio di volte il blog, ci ho perso la giornata ma ne valeva la pena: mi ignoravano. Tutto un balletto tra amici e nemici, invidiosi e appagati, partiti e prese di posizione interessate, circoli chiusi nei quali non sarei mai entrata. Questo lo penso per invidia, s'intenda. L'invidia degli esclusi. Forse avrei dovuto scrivere Mario Pisa (un opinionista) fascista. Improvvisamente detesto tutti i partecipanti alla discussione, mi sento così poco interessante. Ma arriva una mail: “La ringraziamo per aver pensato a noi, abbiamo letto il suo curriculum. Se è d'accordo le inviamo una lettura di prova, ha tempo una settimana per inviarci la sua scheda di valutazione. Noi siamo una piccola realtà e non possiamo prometterle chissà quali guadagni, la casa editrice cresce insieme ai suoi collaboratori, sostenuta dalla passione per la letteratura”. Accetto.Inizio a collaborare. Non ne so nulla di fantasy ma imparerò presto.A dire il vero una piccola raccomandazione l'ho avuta. Mary è amica di David la cui fidanzata lavora all'ufficio stampa della casa editrice. Mi sento interessante e decido di partecipare ad un concorso letterario. Scrivo un racconto mediocre e lo invio. Il racconto viene selezionato, il mio e altri trenta. La premiazione si tiene a Torino, io ho fatto lì l'Università. Ci sarà una giuria popolare e una di qualità così decido di riempire il locale di amici. Gli altri partecipanti, indignati, non trovano nemmeno una sedia libera. Nonne, mamme e amanti se ne stanno in piedi in fondo sala. Fingo di non accorgermene, noi scrittori siamo svagati. Giuria di qualità voti due, giuria popolare voti cento. Prima. Cos'ho vinto? La pubblicazione del mio racconto su una rivista, una rivista letta parecchio dagli addetti ai lavori, sia mai che qualcuno mi noti.Dopo un anno pubblico con la casa editrice Esperimenti il mio primo romanzo, Il latrato e un po' di sangue, un romanzo ambientato a fine Ottocento che racconta la tenera storia d'amore di due adolescenti, Julie e Pierre, vicini di casa di Proust. L'editore avrebbe voluto intitolarlo Vicino a Proust ma proprio in quei giorni stava uscendo per Mondadori Il cappotto di Proust, così abbiamo optato per un titolo ad effetto. Ho invaso le bacheche di buone notizie, le mie: imposizione virale. Ho tenuto una sorta di diario quotidiano su facebook taggando tutti i miei contatti, pubblicavo foto, recensioni, pensieri profondi, consigli di lettura. E che lavoro per avere una recensione, i critici e i giornalisti vanno corteggiati con metodo. Ma io avevo già iniziato in tempi non sospetti, quando il mio libro non era ancora uscito, preparandomi la strada con una manipolazione sapiente di ciò che è primitivo nell'Io: impossibile resistere a lusinghe che sembrano sincere.Ne ho davvero abbastanza.Michael Cunningham? Un libro sublime, la bellezza, ci dice, è un conforto. 

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