l'Educazione Italiana

Creato il 29 luglio 2014 da Giupy
Ormai la mia permanenza italica sta volgendo al termine. Il che sarebbe una cosa triste, se non fosse che le stagioni che ho vissuto sono state giugnembre e lugliembre e al momento sto attraversando un colpo di freddo con tanto di raffreddore e tosse che non fanno altro che farmi agognare la mia prossima meta vacanze, ovvero Londra. Almeno magari li ci sara' un po' di sole.

Ora, uno dei momenti duri della vita da expat, specie della vita da expat figlio unico, e' dire addio a mamma e papa'. Il che pero' non sarebbe cosi' difficile se noi Italiani non avessimo una caratteristica che ci unisce ancora piu' dell'amore per il bidet: la mammosita'.
Vi ricordate quel film francese tanto carino che si chiama Tanguy? Probabilmente no. Probabilmente non vi ha nemmeno fatto ridere. E sapete perche'? Perche' tutto il succo del film e' la storia di un quasi trentenne che non si schioda da casa e preferisce vivere con i genitori, il che da luogo ad una miriade di scenette comiche. Comiche per i Francesi, gli Inglesi, gli Americani.. non per noi. Noi pensiamo al trentenne che vive nella stanzetta dell'infanzia e che lavora a cinque minuti da casa e lo troviamo normale. Noi abbiamo a modello i figli che vanno a vivere in appartamenti ricavati dalle mansarde dei genitori e ogni pasto tornano dalla mamma a farsi fare la pasta al sugo e le lasagne. Noi facciamo i fuori sede dalla settimana cortissima e il giovedi' mattina gia' torniamo dalla mamma con i panni sporchi e il giorno dopo il papiro della laurea gia' ci siamo re-impossessati della nostra stanzetta che in fin dei conti non abbiamo mai abbandonato. Quando spiego che io passo l'estate dai miei, la gente non Italica mi guarda come una sfigata, o quantomeno una un po' pitocca. Non dico mai che ho amici della mia eta' che ancora ci vive, con mamma e papa', perche' tutto sommato un po' ci tengo, alla nostra dignita' di Belpaese. Oppure mento e dico che nooooooooooo, la gente rimane in casa perche' c'e' la CRISI ECONOMICA, non perche' ha il sedere troppo pesante per andarsene o perche' Mamma sarebbe troppo triste di lasciar andare il suo bambino.
Ripeto, io di 28enni che vivono a casa ne conosco a palate, e la societa' non li condanna nemmeno un po'
Tuttavia, questa situazione perversa e strana per cui abbiamo i capelli bianchi ma ancora non riusciamo a staccarci dalle gonnelle non e' tutta colpa nostra, di noi generazione erasmus- ryanair- contrattoaprogetto. No. La colpa e' proprio dei nostri genitori che ci hanno cresciuto con delle regole assurde che ci hanno resi delle PAPPEMOLLE, dei deboli, dei perenni cuccioli feriti ai margini del branco.
Prendiamo per esempio la SPIAGGIA. I Francesi, gli Inglesi ma soprattutto i Tedeschi si riversano sull'Adriatico con una media di 5 figli a famiglia, che arrivano scalzi, allo stato brado, vengono sguinzagliati sugli scogli di prima mattina e ripescati la sera dopo essere stati ignorati tutto il giorno ed essersi nutriti dei granchi che hanno trovato sul bagnasciuga. Gli Italiani no. La mamma italiana arriva in spiaggia con una borsa che sembra debba partire per una spedizione nella giungla, piena di ogni tipo di crema solare, cibo, vestito, intrattenimento. La madre italiana ha un solo figlio ma lo deve far sapere a tutta la spiaggia: "Luigino vieni qui che ti metto la cremaaaaaaaaaa" (Non si capisce per quale motivo, la crema solare va spalmata almeno ogni mezz'ora). "Luigino non giocare con la sabbia che e' pericolosoooooooooo". "Luigino non allontanarti da me piu' di due centimetriiiiiiiiiiiiii". "Luigino oggi no il bagno che ci sono le ondeeeeeeee" (le pericolosissime onde dell'Adriatico). Soprattutto, le famiglie italiane vivono di antiche credenze popolari del tutto prive di fondamento scientifico che, personalmente, mi hanno rovinato l'infanzia. Tipo: non importa cosa tu abbia mangiato, se l'impepata di cozze o una mela, ma dovrai aspettare due ore prima di fare il bagno. Le conseguenze del fare il bagno prima delle due ore sono imprecisate ma certamente mortali, tuttavia non toccano i bambini francesi olandesi e tedeschi, che si ingozzano di bomboloni e si gettano in acqua. E a quel punto il bambino italico e' attanagliato dai dilemmi: prendo la fettina di cocco del Coccobello Coccodimamma, con il rischio di non entrare piu' in acqua fino a domani, oppure muoio di fame? Capirete tutti che, con queste premesse, e' normale essere diventati degli adulti del tutto inadatti al mondo competitivo e internazionale del lavoro.
A quel punto ci voleva un video brutto dal sapore primi anni 2000
Un altro esempio del perche' siamo un popolo di mammoni e' l'abbigliamento. La maggior parte delle persone non Italiane che ho conosciuto nelle mie peregrinazioni e' stata messa su una bicicletta all'eta' di sei anni e spedita a scuola con essa, fosse estate, autunno, inverno, ed e' sopravvissuto. Molti popoli fanno mettere le divise scolastiche ai bambini, cosa che ucciderebbe le madri italiane, perche' non potrebbero esercitare uno dei loro hobby preferiti: riempire i figli di strati di vestiti. Ho passato non solo l'infanzia, ma anche l'adolescenza a lottare contro due grandi spauracchi, ovvero la canottiera di lana (da portare almeno fino a giugno, e senza la quale si andava incontro a conseguenze paragonabili solo a quelle del fare il bagno dopo mangiato) e i collant sotto i pantaloni, da abbinare rigorosamente ai calzettoni di lana. Ci manca poco che anche adesso mia madre si preoccupi che io abbia la sciarpa ben allacciata. Ma il tragico e' che ormai io ho interiorizzato tutto questo, e mentre a Boulder la gente esce in infradito in qualsiasi clima, io ho perennemente freddo, mi ammalo di continuo, e mi basta un lugliembre per beccarmi l'influenza. Siamo talmente tanto stati cresciuti in una bolla da non aver sviluppato anticorpi. 
Ovviamente potrei citare miriadi di esempi di come l'educazione italiana ci abbia in realta' rovinato tutti, dal divieto di guardare i cartoni animati giapponesi la mattina a quello di bere la Coca Cola prima di pasto, fino all'essere tenuti per mano e accompagnati a scuola fino ad eta' imbarazzantemente elevate. Lasciando stare quelle scene strazianti della serie "figlio mio ma noi stiamo a Monza e tu hai trovato lavoro a Milano, ma sei sicuro della tua scelta?". Senza contare che, a dispetto della distanza e del fuso orario, sono sicura che io vedo e sento i miei genitori MOLTO di piu' di tutti i miei compagni di dottorato messi assieme. Date queste premesse, non biasimo nemmeno un po' il datore di lavoro che preferisce assumere un tedesco- gettato nudo e senza cibo nella neve all'eta' di quattro anni- piuttosto che un italiano- a cui la madre a sedici anni puliva il moccio del naso. 
Quello che dicono gli Italiani all'estero, di solito, e' "Che tristezza questi (Americani/ Giapponesi/ Francesi/ Inserire nazionalita' a scelta), sono cosi' soli, non conoscono il valore della famiglia". Forse e' vero. E' bello volersi bene e stare vicini vicini. Pero' la sottile linea tra l'affetto e la patologia certe volte e' difficile da definire. Io credo sempre che la virtu' stia nel mezzo: non potremmo voler bene ai nostri genitori SENZA per forza dover avere trent'anni e stare ancora in una stanza con Minnie e Topolino dipinti sui muri? Per carita', non tutti hanno i soldi per andarsene, ma perche' gli altri popoli ce la fanno e noi no? E anche i genitori (non i miei, che fortunatamente sono un'eccezione), non potrebbero lasciarci un po' piu' liberi, e magari spingerci anche a trovare la nostra strada non necessariamente nel paesello dove siamo da cinque generazioni? Gli Statunitensi a diciotto anni prendono e se ne vanno dall'altra parte del Paese e be', tutto sommato secondo me non e' cosi' male. Magari lo fanno solo per fare delle gran feste e ubriacarsi, ma magari si svegliano anche un po' fuori e quando arrivano a trent'anni ce la fanno anche a passare una domenica senza per forza avere una schiscetta con dentro la pasta al forno fatta dalla mamma. 
In tutto questo, vado a chiedere alla mia mamma di farmi un brodino e dei fumenti per farmi passare l'influenza, e poi di lavarmi i vestiti che devo fare la valigia per tornare in America.. 
Non avevo idea che Max Pezzali e Arisa avessero fatto questa canzone.. 

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