Come in un film del filone intimista, la campagna elettorale smuove istinti e autocoscienze: si rubacchiano i simboli, Grillo esclude dalle sue competenze l’antifascismo, Bersani, come faceva Fini, o come Bartali, in una sorprendente catarsi esclama che l’è tutto sbagliato, tutto da rifare, Monti imita Berlusconi nell’esercizio di dire e disdire riduzione delle tasse, aumento delle retribuzioni, finanziamenti a scuola università e ricerca pubbliche, reddito di sopravvivenza (che i cittadini non meritano di più), rimuovendo pudicamente quello per il quale era stato incaricato, fiscal compact e pareggio di bilancio, annientamento delle garanzie e svendita deo gioielli di famiglia. Berlusconi riguadagna spazi con l’aiuto di quelli che da lui traggono ragione di vita e di quella sua indole a prestare la sua faccia ai peggiori istinti ma anche a prestare sogni magari miserabili al Paese, cancellazione dell’Imu e un po’ do posti di vallette e tronisti in Mediaset.
Intanto, mentre ceto politico e media si trastullano, l’Istat ha comunicato un ‘inflazione annua del 3%. Inflazione ufficiale, naturalmente, cioé sottostimata, ma che già da sola dà la misura di uno sconvolgimento senza precedenti dell’economia nazionale. E il PIL scende del 2%, la disoccupazione dilaga a livelli di dopoguerra, il potere di acquisto della popolazione regredisce di decenni, migliaia di imprese chiudono i battenti, le ambulanze stanno ferme perché non hanno benzina e in posizione statica accolgono pazienti in attesa e ancora più pazienti sono i morti siciliani accatastati, corone comprese, perché non ci sono i quattrini per pagare i servizi funebri.
E Marchionne, come contrappunto armonioso a la Fornero che ha voluto riconfermare la sua fiducia illimitata nel manager in vista di un suo ritorno a una vita molto “privata” e bisognosa di doviziosi sponsor, si concede alla magnanimità, con una mancetta ai “suoi” operai, una boccone di ciccia buttata a là a zittire i botoli per ridurli all’ubbidienza e al tempo stesso offrire uno di quei contributi che non costan niente e si scalano dalle tasse, alla campagna elettorale umanitaria dei suoi amichetti.
Eh si, Lingotto e sindacati, senza la Fiom, si sono incontrati per il rinnovo del contratto degli 80 mila dipendenti. Sul tavolo una proposta ponte per quest’anno che prevede un aumento salariale di 40 euro, ma legato alle presenze. Una soluzione interlocutoria, è stata definita, che permetta di risolvere la questione economica per il 2013, rimandando la definizione del quadro normativo. Dai diritti, passando per i privilegi si è arrivati alle elemosine accompagnate dalla consolidata consuetudine di rompere il fronte con un obolo umiliante che non incide sulle garanzie, sulla qualità del “posto”, sulle effettive retribuzioni, ma pesa sulla dignità, sulla natura stessa del lavoro, sulla libertà di espressione e sindacale degli operai ridotti al silenzio dalla voce prepotente del ricatto.
Mentre i mandanti rivedono i loro diktat convincendosi che purganti e salassi non si sono dimostrati efficaci e gli esecutori troppo efficienti, ben oltre gli ordini secchi e perentori, qui si continua a giocare la sporca partita della liquidazione del paese dietro la tela pudica e distratta delle elezioni.
Resta un’unica dolorosa certezza che il domani si presenta peggiore dell’oggi e di ieri. Mentre perfino Monti vuole smarcarsi dal suo governo, mentre il centro-destra si sposta su una strumentale posizione di critica antiliberista e realisticamente antieuropea (dell’ Europa della Troika), mentre l’Europa stessa trasmette segnali inequivocabili di una preparazione a un “dopo”, facilmente identificabile, la “coalizione” di centro sinistra arranca come nella parabole dei ciechi, orbata dell’arma di difesa della responsabilità limitata garantita dai “tecnici”,ereditando un paese che sta peggio di un anno fa, quando poteva andare alle urne con lo stesso infame sistema elettorale di oggi, che non ha fatto nulla per cambiare, quando ancora non doveva fare i conti con la gabbia d’acciaio, che ha contribuito a ergerci intorno, del fiscal compact, quando ancora non erano stati commessi quei delitti ai danni dei ceti più vulnerabili, della pratica della concertazione, della sovranità statale.
I tentativi di liberarsi delle responsabilità pregresse suonano patetici, perfino Monti si propone di come oppositore tenace di se stesso, tutti cercheranno di tirar fuori dal cilindro per il Colle un qualche bravo omarino travestito coi panni del soggetto di garanzia, del super partes, superfluo perché tanto le parti sono tutte d’accordo nel salvarsi, nel difendere le loro rendite di posizione e la loro sopravvivenza, incuranti del nostro malessere che preme, del nostro disagio incalzante. E anche della loro indole incontrollatamente suicida, quella che li ha portati a annichilire i canali di rappresentanza, gli strumenti di mediazione, i luoghi del negoziato per dichiarare guerra senza quartiere ai lavoratori, alla cittadinanza, alla democrazia.
Non ricordo chi ha detto che la politica deve essere produzione di futuro. Se è così il ceto dirigente ha dato da tempo le dimissioni dalla politica, rifiutando ad un tempo profezia e utopia, renitente anche solo a vedere, a guardare. Dobbiamo ricominciare a vedere noi: una volta si chiamava vigilanza democratica, sarà bene riprendere quell’esercizio, nei posti di lavoro, nelle scuole placate da qualche elargizione, nel reclamare quello che ci spetta, nei consumi, nella difesa del territorio e di quello che è nostro di diritto e in tutti i diritti rubati, nel dire no a chi ci dice che non c’è alternativa nel dire si a chi ce la fa sperare e nel rimetterne insieme i pezzi, insieme.