– E come lo ha chiamato? – Gli fa l’altro.
– Silvio.
– Beh, deve aver faticato per metterlo in gabbia…
Questo breve e geniale dialogo, per quanto tagliente e corrosivo nei riguardi dell’allora Presidente del Consiglio, non è satira politica, in quanto ha come oggetto le traversie giudiziarie per reati extrapolitici di Berlusconi (anche se l’impegno politico del personaggio non è extragiudiziario), è al massimo un cugino di terzo grado della satira politica. Insomma, Berlusconi è stata un’icona pop, è stato come Totò, nel senso che faceva ridere di sé un pubblico dai cinque a novantacinque anni, una maschera nazionalpopolare con dei caratteri universalmente riconoscibili; la vanità, l’egocentrismo, la fregola smodata e la costante tentazione di trarre profitto personale da ogni circostanza. Un esempio di vera satira politica? Corrado Guzzanti nell’imitazione di Fausto Bertinotti, con la sua retorica estetizzante e radical-chic in contrapposizione (si presume) con la base di Rifondazione, o sempre dello stesso autore Tremonti, un viziato figlio della classe dirigente che nasconde dietro i nuovi slogan della finanza creativa i vecchi modelli dell’economia cinica e padronale. Invece nove battute su dieci su Silvio Berlusconi non sono di satira politica, semplicemente perché lui, nove volte su dieci, non ha nulla a che fare con la politica. Quella su Berlusconi è stata satira di costume ad personam, anzi per interposta persona; prendendo in giro Berlusconi si metteva alla berlina l’italiuncolo che in cuor suo non desiderava altro che essere come lui, il post-yuppie senza arte né parte. Questa sommessa preoccupazione di alcuni personaggi dello spettacolo, campati a scrocco troppo a lungo grazie alla battuta facile, mi ricorda l’episodio L’Elogio Funebre diretto da Ettore Scola nel film collettivo I nuovi mostri. Un compagnia teatrale accompagna alla fossa la bara di un capocomico, il grande Formichella, tutti piangono, ma dopo qualche parola dell’elogio funebre recitato dalla sua spalla (Alberto Sordi), si intuisce che non è per le doti umane che Formichella sarà rimpianto, ma per il vuoto artistico, o meglio ancora economico, in cui lascia i suoi colleghi meno noti, poi, le lacrime diventano sghignazzi, e gli sghignazzi una slavina di risate sguaiate, sfilando in un carosello decadente e nostalgico di battute scontate e doppi sensi. E verrà anche per noi il carosello, oh se verrà…