L’entrata di Cristo a Bruxelles è un quadro dipinto da James Ensor nel 1888. Raffigura il trionfo del figlio di Dio nella capitale belga, ad accoglierlo è una fanfara esuberante, teatrale, grottesca, composta per lo più da maschere, tra le quali, in primo piano a sinistra, si riconosce uno scheletro con giacca e tuba. In alto campeggia uno striscione su cui è scritto “Vive la sociale”, a destra un cartello con scritto “Vive Jesus le Roi de Bruxelles”. Su tutto il quadro regna un’atmosfera bizzarra, eccitata e al tempo stesso spaventosa, da fine dei giorni. È la stessa Bruxelles che viene nominata in Cuore di tenebra, ma lì Conrad – attraverso la voce di Marlowe – non la chiama mai col suo vero nome, bensì preferisce definirla come una “una città che fa sempre pensare a un sepolcro imbiancato” oppure come “la città dei morti”. Così io, stamattina, leggendo dei fatti di Bruxelles, ho pensato al quadro di Ensor, e ho pensato a una frase contenuta nel racconto di Conrad, una frase che dice: “Ho lottato con la morte. È la contesa meno eccitante che si possa immaginare. Avviene in un grigiore impalpabile, con nulla sotto i piedi, con nulla intorno, senza spettatori, senza clamore, senza gloria, senza il grande desiderio della vittoria, senza la grande paura della sconfitta, in un clima malsano di tiepido scetticismo, senza molta fede nella propria causa, e ancor meno in quella dell’avversario”.
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