Mio caro amico,
essenzialmente io e te siamo due poeti: esseri che vivono le esperienze di questo mondo in maniera diversa. Non dico migliore o superiore, dico semplicemente “diversa”. Perché diverso è il nostro modo di essere e di avvertire le cose del mondo.
La notizia della morte di Cecilia mi ha suscitato un dolore immenso, mi ha lasciato attonito, quasi che questa morte, così precoce e terribile, racchiuda in sé una cifra ineffabile del nostro comune destino.
Il mio primo impulso fu di darle voce in una lirica…
E più del mondo non sentirai il dolce brusìo...
… ma le parole si sono strozzate nella penna e la lirica non fluiva: quella morte per quanto precoce faticava a trasfigurarsi in simbolo. Essa m’appariva lontana, estranea alla mia vita. L’unico ricordo che mi legava a lei, in anni così lontani, era soltanto il ricordo di un amore adolescenziale, che il tempo aveva a poco a poco levigato. Tutto s’era dileguato, disperso. Non c’era neanche la speranza d’un avvenire, vanificata da una morte acerba, mancava quel… limitare/di gioventù salire, perché già tutto s’era compiuto.
Nulla toglie al morire, quando ancora nemmeno si è vissuti metà della vita, la sua tragicità. Ma, talvolta, per quanto crudele sia, nel poeta la tragedia si lenisce quando la vita è giunta ugualmente al suo compimento, e il vuoto rimane sempre tale.
Cecilia non lascia pagine bianche, o una luce incerta da interpretare. Tutto era già compiuto. Varcata appena la soglia dell’adolescenza, come tante, s’era sposata: i suoi occhi più non sprizzavano quella luce viva, ma solo una rassegnazione mite o stanca verso il proprio destino. Solo adesso, nell’attimo in cui la penso morta, mi volgo indietro con la mente e rivedo quegli anni, quando niente ancora sembrava deciso, e avverto come tutto fosse avvolto in un’atmosfera incantevole. Ma un giorno in lei quell’atmosfera si spense, scomparve nella prosa del mondo, forse affogata nel dovere quotidiano, e lei aspettava, senza più trepidare la sera, conscia del suo avvenire, silenziosa, tutta presa dal suo abituale affaccendarsi. Ma è stato proprio nell’attimo in cui l’ho vista in quel suo fare quotidiano che ho sentito di colpo un fremito leggero; m’apparve davanti agli occhi la sua faccia, serena, e sembrava chiedermi: “Perché, poeta, non canti la mia vita?”. In quell'attimo, ma solo in quell'attimo, ho capito che non alla morte, ma alla vita non si sfugge.
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