“L’Eretista”, o il paradosso della veste bianca

Creato il 13 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da rmorresi su gennaio 13, 2012

di Giulio Viano 

“Come si cattura un ermellino?”

Calanca dell’Isola Ichnusa: avvolta da un’ondata di trisillabi, ha inizio la risposta. Però, prima di tutto: risposta a quale faccia di questo stranissimo oggetto vestito di carta?

E così, con precisione geologica, iniziano gli strati da scoprire: “Come si rende prigioniero il bianco?” è anche, per simmetria, chiave per dirci e chiederci: “Come purezza riesce a non morire?”

Milla, animale d’enigma, centro di questo mandala, agisce nella trama – la sua trama – come un riflesso all’interno di un prisma, diamante di cui sola detiene la chiave. Attrice e regista di sé stessa, si circonderà di un barocco magma di eventi, tracce e colpi di teatro sempre sul baratro dell’andare fuori controllo, sempre con piede fermo su quell’affilatissimo millimetro che lei sa.

E il gioco delle svolte a matrioska inizia sin dal titolo: “l’Eretista”. Eresia? No: parola nuova, tratta da “eretismo”, iper-reattività.

Erethismos: “irritazione”, “eccitazione”, ma anche “provocazione”, “incitazione alla rivolta”. Scelga il lettore lo strato che crede – senza mai, tuttavia, crederlo l’ultimo: nei 27 tellurici giorni del romanzo (dalla “maledizione del 27” che allunga la sua ombra sul mondo del rock, elemento portante della narrazione), la quasi ventisettenne Milla distribuirà uno strascico di trappole, lampi e indizi sulla strada dell’incauto Isaak, che, su mandato del padre, dispotico direttore della rivista scandalistica “Gelb”, si mette sulle tracce di lei, per arrivare a una resa dei conti delle cui cause e modalità egli è sostanzialmente all’oscuro.

Curvando allo spasimo le unità aristoteliche, Chiara Daino non soltanto rimbalza senza pace il lettore da un elemento e da un luogo all’altro, ma lo sospinge, in alcune occasioni, indietro nella storia, evocando figure come la Duchessa Anna Vreizh di Bretagna, che, folgorando il suo araldico “Meglio morto che sporco!”, dal 1488 dipana fino a noi un filo d’Arianna che si farà cavo d’acciaio per il resto della scalata.

Nella sua pullulante solitudo, sola beatitudo, Milla non è sola: i suoi amici e complici, schierati ad orchestra, la proteggono e Nemi – amica o alter ego al quadrato che sia – la osserva e cammina al suo fianco, portandole in dono la sua quiete di brina da quel suo “Bricco di Nèive, comune di Nèive, Cuneo”, tana di eterno ritorno, vissuta e ricordata, sorgente di quel bianco che per l’intera storia lotta, a morsi come in punta di fioretto, per continuare a vivere.

“Mia nipote non piange”, dice una frase del diario di Nemi, scritta a bordo di un Frecciarossa fermo a Santa Maria Novella prima di rislanciarsi a trecento all’ora. È un ricordo dei tre anni, età delle memorie prime e uniche: ad una minuscola Nemi in lacrime per la disarmonia che sta spezzando la sua casa, nonna Greca, donna fiera di un altro tempo, lascia in pegno una forza d’animo forgiata per la donna che verrà. “Bambina mia, ti lascio in eredità l’unica cosa che nessuno ti potrà mai togliere: il carattere.” E affilata da quelle parole come quel treno nero, argento e rosso, la trama può riprendere a sfrecciare.

“Io è complesso. Io sa di esserlo. Io pago essere io.” E Milla paga in forma di vortice, di cui è centro e motore tutt’altro che immobile. E a ricordarci che si parla di un essere umano, in questo vortice incontriamo persone, non solo personaggi: Madame dell’accademia di teatro, dura sacerdotessa che non svela per proteggere, l’amico psichiatra Lorenzo Ursidòni, poeta e squisito umanista dal grande cuore – “ti prego, mi dici qualcosa di bello?”, gli chiede Milla durante una telefonata -, il professor Lele dell’Università di Lettere di Genova, l’amico matematico Pascàl, gli amici del mondo metal, tratteggiato con affetto e purezza che stupiranno chi non lo abbia mai vissuto, i folli allegri amici dell’appartamento del Portonaccio a Roma… In una parola, gli Amici: sassi sui quali la ragazza approda, spesso su un piede solo, giusto il tempo per tirare il fiato, ringraziare con un bacio che vola e spiccare il prossimo salto, fra acque spesso gelide.

E senza che ce se ne accorga, i vortici vanno a sommarsi, in un crescendo tambureggiante di ritmi e rimandi interni che, proprio nell’occhio della tormenta, ci svelano man mano che la regia c’è, solida come marmo, in mano a una pilota di uragani. Sapendo la parola collimata che risponde al nome di poesia, Chiara Daino sa bene anche di sintesi, di come tendere e scoccare sillabe e spazi, immagini e segni, quando fiammare vita e quando ghiacciare un’attesa da dietro il sipario.

E se tutto il mondo è un palcoscenico, anche il palcoscenico che ondeggia su queste pagine è tutto un mondo. Pianeta che ruota all’estremo per mantenersi sul proprio asse, un mondo in orbita talmente eccentrica da sfiorare pericolosamente il Sole.

E il resto è Milla. “Buona corsa, mio bucaneve!”


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