E’ rinchiuso ventiquattro ore al giorno in una gabbia senza aria, grande quanto una vasca.
E’ stato condannato all’ergastolo da un non noto tribunale dell’Asia orientale ed ora, senza appello, deve scontare la sua ingiusta pena. Non ha diritti, nessuna organizzazione non governativa tutela la sua causa, i media non sono interessanti ad approfondire questa ordinaria prepotenza che si consuma silenziosamente in ogni angolo del mondo, anche nelle case di insospettabili famiglie «per bene».
Costretto a vivere la sua infelice esistenza in una cella disumana, è privato totalmente della libertà.
E’ il Carassius auratus, un nobile nome scientifico per indicare una razza bistrattata e sottovalutata, i comuni pesciolini rossi.
Il nostro piccolo Abramo è uno dei pochi fortunati, ha goduto dell’indulto ed oggi è un pesciolino libero.
Io ed il mio pargoletto l’abbiamo scarcerato in una dolce mattina di primavera nella grande fontana della villa Floridiana di Napoli con una solenne cerimonia alla presenza di tanti altri bambini, spettatori curiosi ed attenti. Un lungo tuffo dalla piccola prigione casalinga fin dentro il laghetto del parco, in compagnia di tanti altri suoi simili e di piccole tartarughe, ramoscelli, foglie e piante acquatiche.
Periodicamente andiamo a fargli visita.
«Papà, guarda Abramo è cresciuto!» urla mio figlio (6 anni al momento che scrivo) appena scruta un pesciolino rosso nuotare nella grande fontana.
«Visto come è felice quì?» gli rispondo come un adulto sicuro di aver preso la giusta decisione.
Però, se ben ricordo, forse la storia non è andata proprio così, forse quella dolce mattina di primavera Abramo viaggiò verso il Paradiso dove riposano tutti gli Animali e questo happy-end immaginario fu la risposta alla domanda ingenua che pose il nostro marmocchio quando scoprì l’acquario casalingo vuoto: «papà, mamma dove è Abramo?».
MMo