Pare proprio che sia la Puglia il nuovo territorio conquistato dai predoni della malavita, a sentire il sindaco Decaro che come è costume consueto in vigore a tutti i livelli di governo, si sorprende come se fino alla sua elezione fosse stato sulla luna e non su qualche scranno autorevole e influente, che parla di nuove “fibrillazioni criminali in atto”, tanto che su suo pressante invito, ora che è un po’ più libero dall’attività di antropologo e studioso delle relazioni familiari, arriva domani il ministro Alfano a portare la buona novella, quella della militarizzazione della città tramite il rinnovo dell’operazione strade sicure e la mobilitazione dell’esercito. Eh si, perché a preoccupare il sindaco Pd così come il diversamente premier al Viminale ci sono due fronti aperti: le mafie che stringono la città nella loro morsa e l’arrivo dalle rotte balcaniche di nuovi flussi di profughi, spinti a cercare rifugio dopo la chiusura dei confini sulle coste pugliesi, molto più pericolosi, inquietanti e insinuanti del propagarsi della diossina e dei fumi dell’Ilva.
Si sa l’arrivo dell’esercito, l’ho letto sul giornale, proprio come una volta, e ce lo dice la tv, avrebbe un effetto rassicurante per i cittadini e scoraggiante per chi trasgredisce. Pare che vedere giovanotti svogliati che fischiano al passaggio delle ragazze, fumandosi una sigaretta sulla porta dei palazzi del potere proprio come i commessi di Prada o di Gucci davanti alle fastose boutique, indifferenti alla ostensione da parte di cronisti di scoop di zainetti abbandonati e viaggi di babbi affettuosi che recano fucili giocattolo accuratamente scartati, rechi sollievo e mitighi l’allarme per i pericoli dei quali nutrono il nostro immaginario. Abituati a pensare che ci beviamo qualsiasi ciancia, menzogna, illusione erogati generosamente dalla loro narrazione, sembrano persuasi che manifestazioni di muscolarità, rinuncia a libertà e privacy, conferimento coatto di disperati in lager, in accampamenti o sulle panchine di giardinetti, come spot viventi dei rischi che corriamo, costituiscano un efficace deterrente per clan, che sappiamo essere intenti alla scalata a società e banche, alla partecipazione a appalti opachi ben poco contrattati da autorità sempre più depauperate di poteri e quattrini, o per terroristi e foreign fighters, ben poco “foresti” , solitamente ben radicati nel pingue Belgio o i Franca e che non sono soliti procurarsi “vacanze-avventura” su precari barconi.
È lo stato d’emergenza su modello Hollande de noantri, la sicurezza alle cime di rapa, che cura l’esteriorità come ormai è costume nazionale, che mostra i denti per non affrontare radicalmente antichi problemi lasciati a incancrenirsi in modo che deteriorino e diventino emergenze da governare con pugno forte, sospensione delle leggi, poteri speciali, armi, in casa e fuori. Così concediamo il Mediterraneo alla Nato per supposte missioni di vigilanza, Sigonella per altrettanto improbabili missioni di controllo della spazio aereo, come offriamo le nostre vite quotidiane a un controllo sociale che ha lo stesso effetto, limitare le libertà, ridurci in servitù, tenerci d’occhio con le strumentazioni della cybersecurity, che usa gli stessi mezzi del mercato per censurare o indirizzare consumi, comportamenti e, possibilmente, reprimere critica, pensiero, opposizione.
Da anni gli organismi di studi strategici ammettono esplicitamente che la necessaria guerra imperialistica si combatte su due fronti, ma con gli stessi eserciti: quelle esterna per far regnare l’ordine secondo il format della civiltà occidentale, quella interna, con lo stesso fine e contro gli stessi nemici pubblici, minoranze, emarginati, oppositori, immigrati. Insomma i maledetti “poveri”, come sa bene la Banca Mondiale che da più di un decennio ammette: : “La povertà urbana è diventato il problema principale e politicamente più esplosivo del secolo”. E la guerra interna ha come teatro le città, quando sotto alle torri di cristallo nelle quali si specchia l’indifferente e algida modernità, crescono insediamenti di rottami e cartoni, quartieri di rottami paglia e legname di recupero, quando secondo Habitat, l’ente della Nazioni Unite, le più alte percentuali (sopra il 90%) di abitanti negli slum si trovano in Etiopia, Ciad, Afghanistan e Nepal, ma anche ormai a “Bombay, con dieci o dodici milioni di occupanti abusivi e abitanti di casamenti, Città del Messico e Dhaka (tra i nove e i dieci milioni ciascuna), e poi Lagos, Il Cairo, Karachi, Kinshasa-Brazzaville, São Paulo, Shanghai e Delhi (tra i sei e gli otto milioni ciascuna), sicché l’urbanistica della miseria si diffondendo come un contagio che lambisce Washington, Roma, Parigi, Londra. Quando le scienze dell’abitare e dell’assetto urbano sono diventate solo discipline del controllo sociale e della repressione. Quando la risposta al malessere delle banlieu, dei dormitori fuori Londra o Liverpool, delle periferie romane, si declina con la repressione o l’affidamento, la delega del problema a soggetti privati e speculativi. Quando la Nato, già impegnata a assolvere al ruolo di poliziotto del mondo, si presta a quello di poliziotto di quartiere secondo un approccio mirato a frantumare la coesione tra cittadini investiti dagli stessi problemi e la volontà di combattere, l’impiego su larga scala di mezzi di sorveglianza, l’incremento degli strumenti investigativi e di polizia per controllare i flussi di informazioni e persone, la collaborazione delle forze militari con “agenzie” ufficiali e non ufficiali, oltre a una incessante propaganda, che, c’è da sospettare, insinui allarme, diffidenza, inimicizia e quindi sorveglianza incrociata, delazione, ostilità.
Non ci aspetta un bel futuro con spioni veri e virtuali, aerei senza pilota che ci bombardano e che mandiamo a bombardare, battaglie e vigilantes navali, le nostre belle città, quelle culle di democrazia, ridotte a geografie da depredare, a scenari di guerra, a territori dell’ingiustizia e dell’emarginazione. non ci salverà andare in campagne un tempo fertili oggi avvelenate o in montagne dove ghiacciai cristallini si sciolgono in rivoli di grigio fango che precipita a valle, a dimostrare che arrendendoci, abbiamo perso definitivamente l’innocenza.