L'esobiologo

Da Scriptomanti

L'esobiologo aveva viaggiato nello spazio per buona parte della propria vita: seduto su una roccia, spinto dall'inerzia, interpretava il rumore di fondo, analizzava forme di vita non basate sul carbonio ed esplorava pianeti extrasolari.

Durante le sue missioni aveva assistito a prodigi siderali, esperito i limiti stessi della fisica e imparato un sacco di cose strabilianti, ma quando tornava a casa, sulla Terra, nessuno voleva ascoltare gli avvincenti resoconti delle sue spedizioni.

Come comunicatore non era un granché, e capitava che, tra i propri simili, l'esobiologo si sentisse più solo che nelle immense vastità dello spazio profondo.

Decise allora di mettere per iscritto le proprie storie, più che altro per timore di essere tradito dalla memoria durante la vecchiaia e di dimenticare per questo i meravigliosi dettagli del cosmo.

Senza che nessuno potesse prevederlo, capitò che un piccolo pubblico cominciò a leggere e ad apprezzare le sue vicende: gli scrivevano lettere cariche di complimenti, ponevano domande interessanti e gli chiedevano spesso autografi con calorosi sorrisi.

L'esobiologo ne fu felice oltre ogni limite e in poco tempo imparò ad aprirsi con maggiore facilità al mondo che lo circondava: conobbe agenti ed editori, che frequentava durante le apparizioni pubbliche, e instaurò rapporti con altri studiosi, con i quali condivideva le proprie esperienze e le proprie ardenti passioni.

Ahimè, però, il successo dell'esobiologo non durò a lungo: fu un libraio, un giorno, a rivelargli che il suo amato pubblico aveva smesso di leggerlo, preferendogli pacchiani trattati di pseudoscienza su cerchi nel grano e rapimenti da parte di omini verdi.

L'esobiologo si rattristò molto, arrivando a sospettare che i suoi scritti sulla vita nello spazio non fossero in realtà mai piaciuti e che lo avessero preso in considerazione fino ad allora solo perché leggerlo risultava meno noioso di starsene con le mani in mano a far niente, in attesa di una qualche pubblicazione più allettante.

In passato, l'esobiologo era rimasto a lungo inascoltato, e fino a quel momento non aveva mai provato l'inebriante piacere di avere un pubblico che lo apprezzasse.

Né, tanto meno, la straziante sofferenza di perderlo.

Decise comunque di non darsi per vinto e di provare a cercare nuovi lettori: nonostante gli sforzi, sembrava che l'esobiologia non fosse un tema di grande interesse; provò anche a cambiare argomento, provando qualcosa di nuovo, ma la scarsa esperienza negli altri campi del sapere lo ricompensò con risultati sempre troppo prossimi allo zero.

Senza il suo pubblico, l'esobiologo iniziò a sentirsi di nuovo a disagio anche in presenza dei rappresentanti dell'editoria e, in breve, il numero di specialisti con cui riusciva ancora a colloquiare si ridusse tanto da poter essere contati sulle dita di una mano.
Col passare degli anni, il pianeta si fece così stretto e incomprensibile per l'esobiologo che, indossata la tuta spaziale e allacciato il pesante casco a bolla, tornò a vagabondare nello spazio, tra le sue pulsar e le sue supernove.

L'esobiologo mi ha insegnato una cosa: l'esistenza o meno di specie aliene a parsec di distanza non è davvero così importante quando, a volte, le forme di vita più misteriose e affascinanti sono già in mezzo a noi; ben nascoste in silenzio, tra il rumore della folla.