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L’espansionismo dei sardi nuragici nel mediterraneo occidentale

Creato il 07 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
nuragiciuno studio di Massimo Pittau. La peregrina e perfino ridicola tesi dei nuraghi intesi come “castelli” e “fortezze” per mezzo secolo ha impedito che in Sardegna si intravedesse una sia pure pallida idea di che cosa sia stata effettivamente la “civiltà nuragica”, sia rispetto alla sua caratteristica interna o civile e culturale, sia rispetto a una sua eventuale politica esterna di espansione fuori dell’isola.

Si consideri che, rispetto a queste due prospettive, interna ed esterna, se si accettava come valida la tesi dei nuraghi intesi come “castelli” e “fortezze”, si era costretti a concepire la Sardegna come un immenso “campo trincerato”, guarnito e difeso da circa 7 mila fortilizi, cioè da una immensa quantità di fortificazioni, che probabilmente il “Vallo Atlantico” messo su da Hitler nella II guerra mondiale contro il previsto sbarco degli Anglo-Americani in Europa, non riusciva a equiparare. E dietro il “Vallo Mediterraneo” messo su dai Sardi Nuragici contro le eventuali invasioni dei nemici esterni, essi se ne stavano continuamente intanati nei “castelli” e nelle “fortezze” in attesa del “nemico che viene dal mare”, oppure vivevano in una perpetua guerra fratricida tra una tribù e l’altra.

Invece in realtà il nuraghe non era altro che l’“edificio pubblico cerimoniale” per eccellenza di ogni tribù o di ogni piccolo insediamento umano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano tutte le funzioni principali che scandivano la vita degli abitanti: cerimonie e riti di nascita, della pubertà, dei matrimoni, di vaticinio e di oracolo, stipula di contratti e di patti, rimedi contro le calamità naturali, rimedi contro le malattie degli uomini e delle bestie, riti e cerimonie per la morte degli abitanti. In effetti il nuraghe corrispondeva insieme e contemporaneamente alle odierne “casa comunale” e “chiesa parrocchiale” di ogni centro urbano, edificio entro e attorno al quale si svolgevano – in perfetta sintonia laico-religiosa, come avveniva dappertutto in quei secoli – tutte le citate funzioni comunitarie.

Caduta nel ridicolo e ormai quasi del tutto abbandonata la tesi della destinazione militare dei nuraghi, adesso finalmente siamo in grado di mostrare e dimostrare che invece una loro “politica esterna od estera” i Sardi Nuragici l’hanno indubbiamente attuata e addirittura nella forma di un “espansionismo” esplicato a 360 gradi in tutte le terre del Mediterraneo occidentale che circondavano la Sardegna. Appunto procediamo adesso a mostrare in quali terre si è svolto questo “espansionismo nuragico” e lo facciamo secondo le linee di un movimento che risulterà essere circolare o a raggiera.

Premettiamo che d’ora in avanti i Nuragici o Sardi Nuragici li chiameremo anche Sardiani in virtù della loro origine dalla Lidia, nell’Asia Minore o Anatolia, dalla cui capitale Sárd(e)is avevano derivato il loro nome. E li chiameremo anche Tirreni o Tirseni, che significava «costruttori di torri» (týrrhis, týrsis «torre») e tali erano in primo e principale modo per l’appunto i Nuragici, mentre gli Etruschi ebbero in seguito pur’essi questa denominazione per effetto della loro parentela coi Nuragici, dato che gli uni e gli altri provenivano dalla Lidia, secondo un famoso racconto di Erodoto (I 94), condiviso da 30 autori greci e latini e respinto dal solo Dionigi di Alicarnasso.

Questo passo di Erodoto narra il trasferimento della metà della popolazione della Lidia dall’Asia Minore nell’Occidente mediterraneo, e precisamente in quella regione che finirà per essere denominata Tuscia od Etruria, posta fra i due fiumi Tevere ed Arno ad oriente e il Mar Tirreno ad occidente. Ebbene, già l’assai autorevole archeologo e storico catalano Pedro Bosch Gimpera aveva sostenuto che gli emigranti Lidi erano arrivati in Etruria soltanto dopo aver soggiornato per qualche secolo in Sardegna, nelle vesti dei Sardi Nuragici, i quali dopo erano sbarcati in Etruria richiamati dalla scoperta degli importanti giacimenti di ferro nell’isola d’Elba in Toscana e nella Tolfa del Lazio, presso Cerveteri (StSN § 11).

Inoltre precisiamo che chiameremo protosardo un lessema appartenente alla odierna lingua sarda, ma che risale a quella parlata dai Nuragici prima che la Sardegna venisse conquistata dai Romani e da loro totalmente romanizzata o latinizzata nella lingua.

La Corsica meridionale

Sicuramente la prima terra nella quale si affermò l’espansionismo dei Sardi Nuragici fu la Corsica meridionale e ciò di certo in virtù della sua più stretta vicinanza alla Sardegna settentrionale. Tanto più facile era questa direzione dell’espansione dei Nuragici, in quanto in epoca preistorica il passaggio da un’isola a un’altra vicina era un fatto frequentissimo, anzi era il principale modo di muoversi in tutto il bacino del Mediterraneo.

La Corsica inoltre risultava molto utile ai Nuragici perché si trovava nella via diretta che, lungo la costa orientale della Corsica e delle isole dell’Arcipelago Toscano, costituiva per essi la via più facile per arrivare in Etruria e precisamente alla città etrusca di Populonia (odierno Piombino).

Le risultanze degli scavi archeologici effettuati fino al presente nella Corsica meridionale, confermano la nostra tesi ed hanno i caratteri della piena evidenza archeologica. In primo luogo sono da citare i menhir o betili ivi esistenti, i quali sono tuttora in posizione verticale. Ma sono da citare soprattutto le «torri», le quali erano templi-tombe, esattamente uguali nella struttura architettonica e anche nella destinazione sacrale e pure funeraria alle «torri», cioè ai «nuraghi» della Sardegna.

La «civiltà torreana» della Corsica meridionale, molto opportunamente chiamata in questo modo per il riferimento alle solite «torri» dei Tirreni o Tirseni non si può fare a meno di interpretarla come una propaggine della “civiltà nuragica”, anzi tirreno-nuragica della Sardegna (StSN § 54). E si intravede abbastanza facilmente che la presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale è precedente al passaggio – molto più tardo – dei Còrsi dalla Corsica nella Sardegna settentrionale, cioè nella odierna Gallura.

Altre conferme vengono da alcune significative corrispondenze tra la Corsica e la Sardegna: alcune linguistiche ed altre etnografiche. Nella Corsica meridionale esiste una cittadina chiamata Sartena o Sartene, la cui radice toponimica richiama chiaramente quella di Sard-i e Sard-inia e il cui suffisso -èn- è notoriamente tirrenico ed anatolico; suffisso che del resto si ritrova anche nei toponimi vicini Altagene, Aullene, Bisene, Quinzena e Scopamene, sempre in Corsica.

La presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale è indiziata anche dal toponimo Sardani (Bonifacio/Porto Vecchio) e dall’antico cognome còrso Sardena.

Ma molto più importante è la circostanza che vocaboli dei dialetti còrsi, finora privi di etimologia, corrispondano a vocaboli protosardi: si tratta, a nostro avviso, di vocaboli che in epoca molto antica sono stati importati nella Corsica dai Sardi Nuragici.

Qui, una volta per tutte, precisiamo che la effettiva dimostrazione della validità della connessione linguistica tra i vocaboli protosardi che citeremo e quelli corrispondenti còrsi, iberici, gallici e berberi viene da noi presentata nelle nostre opere La Lingua Sardiana o dei Protosardi (LISPR), I toponimi della Sardegna – significato e origine (TSSO) e Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico (NVLS).

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C’è poi da ricordare che fin dall’antichità esiste nelle isole di Sardegna e di Corsica, il muflone «specie di pecora selvatica», il quale ha un nome sicuramente prelatino. Ebbene, sembra che questo animale sia stato importato in queste due isole dall’area del vicino Oriente, dove risulta ancora attestato nella zona dell’Asia Minore che confina con la antica Persia (= odierno Iran), oltre che nell’isola di Cipro e pure nell’odierna Algeria (vedi).

Il lat. musmo,-onis (suffisso -on-) «asino o cavallo di piccola taglia» (tipici della Sardegna e della Corsica antiche) è da riferire agli asinelli e ai cavallini sardi tuttora esistenti nell’isola e probabilmente da connettere con l’antroponimo etrusco Nusmuna.

Sul piano etnografico è notevole l’usanza della covata, cioè del fatto che il marito si coricasse accanto alla moglie che stava per partorire, usanza che Diodoro Siculo dice essere stata propria degli antichi Còrsi e che nella Sardegna centrale e settentrionale si è mantenuta fino a un settantennio or sono (StSN § 54).

Altro dato etnografico notevole è che a Sartene c’è l’usanza di confezionare e mangiare il formaggio coi vermi; cibo che è molto comune ed apprezzato in tutta la Sardegna interna e montana.

Infine una certa conferma indiretta della presenza dei Sardi Nuragici nella Corsica meridionale viene dalla notizia di Varrone, secondo cui Phorco era il re della Corsica e della Sardegna. E sarebbe questo il nome di un re nuragico tramandatoci dalla storiografia antica o almeno dalla mitologia (StSN § 54).

 

Le Isole Baleari

Circa l’espansionismo dei Sardi Nuragici nel Mediterrano occidentale interviene una importante notizia di Stefano di Bisanzio, il quale parlando delle Baleari le definisce «isole tirreniche» e «isole attorno alla Tirsenia» (perhì tēn Tyrsēnían) (StSN § 55). A questa notizia i moderni studiosi della civiltà degli Etruschi – come abbiamo visto, chiamati anch’essi Tirreni o Tirseni in virtù della loro parentela coi Sardi Nuragici o Tirreni/Tirseni della Sardegna – non hanno attribuito mai alcuna importanza, anzi l’hanno lasciata cadere del tutto. E ciò è avvenuto evidentemente perché già a prima vista risulta molto problematico accettare la tesi di una presenza dei Tirreni dell’Etruria nelle troppo lontane isole Baleari e inoltre queste non risultavano affatto «attorno all’Etruria».

Quella notizia di Stefano di Bisanzio invece può e deve essere accettata come fondata, purché si ritenga che i Tirreni presenti nelle Baleari fossero non gli Etruschi della lontana Penisola Italiana, bensì i loro consanguinei Tirreni della vicina Sardegna e inoltre che la «Tirsenia» attorno alla quale si trovavano le Baleari fosse non l’Etruria, bensì l’isol di Sardegna. Questa nostra interpretazione è confermata in maniera clamorosa dal fatto che esiste in Sardegna, a stretta vicinanza della costa sud-orientale, cioè “tirrenica”, dell’isola il villaggio di Tertenía, il cui nome corrisponde quasi perfettamente alla Tyrsēnía, citata da Stefano (TSSO 926).

Però anche a questo proposito sono in primo luogo i numerosi e chiari monumenti e reperti archeologici quelli che spingono a ritenere che la civiltà degli antichi abitanti delle Baleari fosse anch’essa una propaggine della civiltà nuragica della Sardegna. Sia sufficiente fissare l’attenzione su queste strettissime e chiarissime corrispondenze archeologiche: innanzi tutto i cosiddetti talayots balearici corrispondono esattamente, nella struttura architettonica e nella destinazione religiosa e pure funeraria, ai nuraghi della Sardegna. Considerato poi che nella sola piccola isola balearica di Minorca ne sono stati contati ben 195, si aveva ben ragione a considerare anche i Baleari “Tirreni”, ossia «costruttori di torri»! (StSN § 55).

In secondo luogo le tombe baleariche chiamate navetas (= «navicelle») corrispondono perfettamente alle tombe nuragiche chiamate “tombe di gigante” o gigantinos, le quali anch’esse hanno la forma di una barca capovolta e con una poppa tagliata e appiattita. Solo che in generale i gigantinos sardi hanno assunto anche un’altra forma architettonica e pure simbolica, dopo che la originaria sagoma della navicella si è trasformata in quella della sacra protome taurina, col prolungamento della poppa tagliata della barca nelle due ali laterali imitanti le corna del toro. Inoltre è certo che sia le navetas baleariche sia i gigantinos sardi a forma di barca in effetti corrispondono, nel loro valore simbolico e religioso, alle «navicelle funerarie» nuragiche, che si ricollegano alle «navicelle funerarie» degli antichi Egizi, con le quali essi ritenevano che i defunti facessero il loro ultimo viaggio verso l’oltretomba. Però la simbologia funeraria della barca “capovolta” innanzi tutto rispecchia il tumulo di terra che si determina sempre su una salma che sia sepolta nel terreno; in secondo luogo è legata all’altra concezione propria degli Egizi secondo cui quello dei morti sarebbe il “mondo dei capovolti”; in terzo luogo è legata alla concezione, comune a molti popoli antichi, secondo cui l’astro della Luna/Proserpina, dea della notte e del mondo tenebroso dei morti, fosse anch’esso una navicella che navigava nel cielo (StSN § 55).

Ancora è da citare il fatto che il culto della bipenne, quello della svastica e quello del toro, come simboli del dio Sole, sono attestati nelle Baleari proprio come nella Sardegna nuragica. Poi è ancora da citare il ritrovamento a Maiorca di spade che hanno l’impugnatura a forma di “antenne”, simili a quelle ritrovate in Sardegna e pure in Etruria.

Infine sul piano delle usanze funerarie è da ricordare quella degli antichi Baleari di gettare dei sassi sul cadavere di un individuo morto, fino a crearvi sopra un grosso cumulo; usanza che è esistita anche nella Sardegna interna fino ai primi decenni del Novecento (StSN § 55).

Sul piano linguistico innanzi tutto è da citare la quasi perfetta corrispondenza del toponimo Baleari (lat. Baleares, greco Baliarheĩs) col nome di un antico popolo della Sardegna chiamato Balari (Balarhói) da Pausania (X 17, 9).

In secondo luogo è notevole il fatto che dal noto Itinerario di Antonino di epoca imperiale romana l’isola di Minorca sia chiamata Nura, ossia esattamente come viene chiamata dal medesimo Itinerario l’importante città sarda di Nora, nel golfo di Cagliari, e così pure un antico centro abitato della Sardegna nord-occidentale, che ha lasciato il suo nome alla zona della Nurra, posta fra Sassari, Porto Torres ed Alghero. D’altra parte è anche molto probabile che l’appellativo *nura, corrispondente al nome delle tre citate località sarde e balearica, sia la base del vocabolo nuráke/nurághe, come lascia intendere anche una antica favola eziologica che presentava la città di Nora come fondata da Norake proveniente da Tartesso nella Iberia meridionale (Pausania X 17, 5; Solino IV, 1; Sallustio hist. rel. II, 5). Questa città era famosa per la ricchezza dei suoi giacimenti di argento, come è chiaramente indicato pure dal nome del suo più famoso re, Argantonio, che è connesso appunto col vocabolo argentum. La favola di Norake come fondatore di Nora va ovviamente respinta, dato che dal punto di vista linguistico c’è da ritenere che sia Norake ad aver derivato il suo nome da Nora e non viceversa; esattamente come è stato Romolo ad aver derivato il suo nome da Roma e non viceversa. Quella notizia però avrà un qualche fondamento di verità, perché è stata confermata da reperti archeologici rinvenuti nel territorio della attuale Huelva e cioè proprio nella zona di quel favoloso regno, reperti che già da tempo sono stati accostati ad altri del tutto simili rinvenuti in siti nuragici della Sardegna.

Molto significativo è anche il fatto che non soltanto il tratto di mare situato fra la Sardegna e le Baleari, ma addirittura l’intero bacino occidentale del Mediterraneo, posto fra la Sardegna e le Colonne d’Ercole, venisse chiamato Mare Sardo (StSN § 55).

E pure notevole e significativa è quest’altra corrispondenza lessicale: protosardo galoppo/u, goloppo/e, coloppo, paloppo, baroffu, taloppo, toloppo/e, tzoloppe «pizzutello, varietà di uva bianca pregiata ad acini grandi e allungati, da tavola e per uva passa», che è da confrontare col catal. calop, palop «specie d’uva grossa e saporita» (Baleari, Valenza), finora di “origine sconosciuta” per il Corominas (DECLC). Le varianti con la p- saranno l’effetto di un incrocio col lat. palum, dato che i pali sono molto usati nella viticoltura (LISPR).

Circa le strette connessioni esistenti fra le Baleari e la Sardegna in epoca preistorica molto notevole è questa considerazione di recente espressa dall’archeologo spagnolo G. Rosselló Bordoy: «Intrusione di un nuovo gruppo umano attorno al -1300 che si stabilisce nell’isola di Maiorca e soggioga i precedenti occupanti. Gruppo umano di origine orientale, imparentato più o meno direttamente con le culture che si stabiliscono in Corsica e Sardegna» (StSN § 55).

La presenza dei Sardi Nuragici o Tirreni della Sardegna nel bacino occidentale del Mediterraneo non poteva non scontrarsi col nascente imperialismo, marittimo e terrestre, di Cartagine. E ciò sarà avvenuto non molto tempo dopo la fondazione nell’814/813 a. C. di questa città che, da colonia fenicia, finì col diventare la capitale e l’erede di tutta la potenza marittima, economica e politica dei Fenici-Punici. I punti di attrito e di scontro fra i Sardi Nuragici e i Cartaginesi si trovavano innanzi tutto in zone marittime e precisamente nelle Baleari, nelle quali si erano stanziati i primi e nelle quali i Cartaginesi avevano nel 654/653 conquistato l’isola di Ebuso (= Ibiza), strappandola molto probabilmente proprio ai Nuragici (StSN § 72).

In secondo luogo c’è un’altra importante e addirittura stupefacente notizia che lascia intravedere che i Tirreni della Sardegna non solamente navigavano oltre le Colonne d’Ercole, fino al favoloso regno di Tartesso, ma addirittura affrontavano anche l’aperto Oceano Atlantico. Narra infatti Diodoro Siculo (V 20, 4) che i Tirreni avrebbero avuto l’intenzione di mandare una loro colonia in un’isola dell’Atlantico – probabilmente Madera – ma che furono contrastati in questo loro progetto dai Cartaginesi, molto verosimilmente poco prima o poco dopo lo stesso anno 654/653. Anche questa notizia è stata completamente trascurata dagli storici della civiltà etrusca, evidentemente perché, essendo stata fino al presente riferita ai Tirreni dell’Etruria, essa è stata ritenuta del tutto inverosimile. Questa notizia invece cessa di essere inverosimile se venga riferita non ai troppo lontani Tirreni dell’Etruria, bensì a quelli molto più vicini della Sardegna, cioè ai Sardi Nuragici, i quali potevano partire alla volta dell’isola dell’Atlantico partendo dalle loro basi della Sardegna oppure senz’altro da quelle più vicine delle Baleari (StSN § 72).

 

La Penisola Iberica

L’espansionismo dei Sardi Nuragici o Tirreni della Sardegna non si è fermato nelle isole Baleari, ma quasi certamente si è imposto anche nella costa nord-orientale della penisola iberica, proprio dirimpetto alla Sardegna.

Innanzi tutto sono già molto significativi due accenni del poeta latino Ausonio, il quale da una parte afferma che il fiume Ebro (Hiberus) getta le sue acque nel mare che egli chiama «Tirreno», dall’altra presenta la città di Tarraco,-onis (odierna Tarragona) come «tirrenica».

La prima notizia – l’estendersi del Mare Tirreno sino alle coste orientali della Iberia – è confermata da altri tre autori latini, sia pure piuttosto tardi, Giulio Onorio, Paulino di Nola, Pseudo Aethicus e inoltre da una lunga iscrizione latina del I-II d. C. (StSN § 56). Questa notizia, a nostro giudizio, va spiegata nella stessa maniera in cui si spiegano la denominazione e l’estensione del Mare Sardo. Questo era l’intero mare che circondava la Sardegna, ad occidente ma anche ad oriente (è del tutto ovvio ritenere che la famosa «Battaglia del Mare Sardo», combattuta da Caere (= Cerveteri) e Cartagine contro i Greci di Alalia si sia svolta ad oriente della Sardegna). In maniera perfettamente analoga il Mare Tirreno era l’intero mare che circondava la Sardegna, ad oriente ma anche ad occidente, e propriamente significava mare che circonda l'”isola delle torri”, cioè l'”isola dei nuraghi”. Pertanto dire Mare Sardo e dire Mar Tirreno era la stessa identica cosa. E con ciò viene confermato chiaramente e fortemente che la «Tirsenia» attorno alla quale – per testimonianza di Stefano di Bisanzio – si trovavano le isole Baleari era la Sardegna e non affatto l’Etruria.

L’altra notizia di Ausonio che presenta la città di Tarraco,-onis come “tirrenica” è anch’essa del tutto accettabile se si considera che il toponimo è stato già connesso con Tarracina (odierna Terracina), località laziale fino a cui si estendeva il dominio dell’etrusco re di Roma Tarquinio il Superbo, ed inoltre entrambi i toponimi da un lato sono caratterizzati da altrettanti suffissi “tirrenici” (-on-, -in-), dall’altro richiamano i toponimi protosardi Tarácculi (Galtellì) e Taraculu (Tonara) (corrige TSSO 273). Oltre a ciò, nella stessa regione della Tarraconese antica erano ricordate due città, Celsa e Lesa, le quali trovavano esatto riscontro nell’etnico Kelsitanói e nella città di Lesa della Sardegna antica (StSN § 56).

Ovviamente anche qui s’impone il problema se i Tirreni che, secondo l’accenno di Ausonio, si erano stanziati nella costa iberica e precisamente a Tarragona, fossero i Tirreni della Sardegna oppure i Tirreni dell’Etruria. Ed anche in questo caso non crediamo che possano sorgere dubbi consistenti: erano i Tirreni della Sardegna: lo dimostrano in primo luogo la vicinanza maggiore che c’è fra la Sardegna e l’Iberia che non fra questa e l’Etruria, in secondo luogo alcune stringenti corrispondenze linguistiche, toponomiche e lessicali.

Innanzi tutto è da richiamare il nome della regione della Spagna nord-orientale chiamata Cerdanya, il quale finora risultava privo di etimologia: a nostro avviso lo si può riportare all’antico nome Sardanía con cui i Greci chiamavano la Sardegna, ma pronunziato Sardánia alla latina. Notevole inoltre è il fatto che nella medesima zona della Cerdanya esistano anche i seguenti toponimi, che sono anch’essi molto significativi per la tesi che stiamo sostenendo di una effettiva e consistente presenza di Sardi nella zona: Cerdà, El Cerdanyès, Coll de Cerdans, Cerdeja, Cerdanyola, Serra de Cerdanyola.

Inoltre è da citare il ballo popolare della Catalogna chiamato sardana, il quale è stato già avvicinato al «ballo tondo» dei Sardi in termini di affinità coreografica e anche di derivazione etimologica. E noi aggiungiamo che è soprattutto la corrispondenza linguistica a legare quel vocabolo catalano – pur’esso fino ad ora privo di etimologia – al nome degli antichi Sardiani o Sardani della Sardegna (StSN § 56).

In generale, a proposito dei rapporti che sono intercorsi fra la Sardegna da un lato e la Iberia dall’altro, è molto importante fare la seguente considerazione e precisazione: tutti i linguisti, con in testa il grande Max Leopold Wagner, fino ad ora si sono inconsciamente fatti condizionare dai rapporti che sono intercorsi fra le due terre in epoca piuttosto recente, quando abbiamo visto la Iberia prevalere ed espandersi nella Sardegna, coi Catalani prima e gli Spagnoli dopo. Senonché questa situazione si determinò realmente proprio in epoca storica, mentre in epoca preistorica i rapporti sono stati del tutto opposti: è stata la Sardegna ad espandersi in Iberia e non il contrario. E ciò è accaduto in virtù del fatto che gli antichi Sardi Nuragici erano più forti nelle armi e nei mezzi e più avanzati nel progresso tecnico e pure civile rispetto alle varie e piccole popolazioni che abitavano la penisola iberica. Anche in fatto di incontri di culture e di civiltà ovviamente vale la norma che “il più spiega il meno e non viceversa”.

In questo modo e per questa ragione trova una adeguata spiegazione una quarantina di corrispondenze lessicali fra la lingua dei Sardi Nuragici e quelle dell’antica Iberia, compresa la lingua basca, corrispondenze che sono state già osservate e studiate con particolare cura dai linguisti Max Leopold Wagner e Johannes Hubschmid: a nostro avviso si tratta di appellativi e di toponimi protosardi entrati nell’Iberia per effetto della espansione dei Sardi Nuragici in quella penisola. Eccone l’elenco, probabilmente non completo:

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Uri (Comune di U., SS). Questo toponimo trova riscontro in almeno altri sette Uri esistenti in Sardegna nei territori di Nulvi, Oschiri, Osilo, San Vito, Sarule, Sennori, Simaxis. Secondo tre linguisti, Johannes Hubschmid (Mediterrane Substrate, Bern 1960, 75-76), Giovanni Alessio (RIL, LXXIV, 732) Max Leopold Wagner, La Lingua Sarda², pag. 260) questo toponimo protosardo Uri potrebbe corrispondere al basco ur «acqua». A favore di questa ipotesi etimologica noi aggiungiamo che la radice ur(r)- da una parte si trova in numerosi idronimi sardi, dall’altra è diffusa in tutta l’Isola, per cui è abbastanza probabile che effettivamente significasse «acqua» e anche «fonte, fontana» e pure «abbeveratoio». C’è infatti da considerare che in una terra perennemente sitibonda, come è ed è stata la Sardegna, il conoscere le fonti, anche col loro nome, era una questione veramente importante e perfino essenziale per la vita degli uomini e dei loro bestiami. Presentiamo qui di seguito l’elenco – certamente non completo – di questi toponimi e idronimi, tutti di evidente matrice protosarda come dimostrano i vari suffissi e suffissoidi da cui sono caratterizzati: Uralái (Irgoli), Uralla (Albagiara, fontana e rivo), Urasa (Solarussa, rivo), Urasala (Sorradile), Urassala (Scano M.), Urau (Cuglieri, fontana), piskina d’Urea (CV XIII 7), Uredda (Siamanna), Uréi (Laconi, canale), Urele (Baunei), Flumini Uri (San Vito), Úrighe (Birori), Urulu (Orgosolo, sorgente), Roja Urossolo (Ortueri, canale), Urotzo (Sorradile, sorgente), Uruspa (Sorso); Uraressi, Urei, Ures(s)a, Uri, Urieke, Urule (CSPS); Urasanna, Uria, Urosolo, Urri, Urrolo, Urru (CSMB), Ures (CSLB), Urri (Orani), Úrighe (Birori), Úrigu (Aidomaggiore). Infine è significativo pure il fatto che una città etrusca Uri esistesse anche in Campania.

Un’altra importante considerazione finale: la presenza di lessemi (appellativi e toponimi) protosardi nella Penisola Iberica si inquadra alla perfezione nella situazione che si è verificata in epoca preistorica e protostorica nelle terre del bacino del Mediterraneo: essa costituisce un nuovo e chiaro esempio del fatto che la “civiltà” si è espansa dall’Oriente all’Occidente, dalla zona della Mezzaluna fertile verso l’Asia Minore e le isole del Mar Egeo, verso la Penisola Ellenica, la Sicilia, la Penisola Italiana, la Sardegna, le Baleari e la Penisola Iberica. Ex Oriente lux!

 

La Gallia Narbonese e l’Aquitania

Oltre a tutto ciò è molto probabile che la presenza dei Sardi Nuragici fosse attestata pure nella zona della Gallia Narbonese e di quella pirenaica o Aquitania, confinante con la Cerdanya, cioè nell’odierno Midi francese.

Lo fanno intravedere queste significative e perfino stupefacenti corrispondenze linguistiche:

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Circa la verosimile presenza dei Sardi Nuragici nell’antica Gallia Narbonese, sia sufficiente ricordare che connessioni culturali fra questa area geografica e la Sardegna sono state già trovate e indicate sia per l’epoca prenuragica sia per quella propriamente nuragica, ad esempio fra le allées couvertes francesi e le tombe di gigante sarde; e questa presenza sarà da attribuirsi anche al grande interesse che i Sardi Nuragici avranno avuto per la seconda rotta dello stagno e dell’ambra, quella che dai paesi del Mare del Nord e del Baltico arrivava nel Mediterraneo passando attraverso i fiumi Senna e Rodano. D’altra parte è opportuno precisare, sul piano geografico, che la Sardegna risulta più vicina a Marsiglia che non a Genova.

A questo punto si impone una domanda e un’obiezione: perché non risulta segnalata la presenza di nuraghi nell’Iberia e nel Midi francese? Noi riteniamo che è molto probabile che i nuraghi esistessero anche in quelle terra, ma siano andati distrutti per la continua e massiccia presenza di insediamenti umani in un’area che è fra le più popolate dell’Europa. Sarà dunque avvenuto quello che è successo nella parte meridionale della Sardegna, quella più abitata, e in particolare nella pianura del Campidano, dove i nuraghi non esistono più, dato che purtroppo i privati hanno molto spesso trattato i nuraghi come “cave di pietra”, adoperata per la costruzione delle case personali.

 

La Numidia nell’Africa settentrionale

È verosimile che i Sardi Nuragici abbiano effettuato sbarchi in forze e stanziamenti permanenti anche nella costa dell’Africa settentrionale, cioè l’antica Lybia, e precisamente nella Numidia, la quale corrisponde alla odierna Algeria ed era abitata dai Berberi. Sempre sul piano geografico si deve considerare che la Sardegna risulta più vicina all’Africa settentrionale che a qualsiasi altra terra continentale circostante, la Penisola Italiana compresa. Dalla cima della torre di san Pancrazio del Castello di Cagliari si intravedono le cime della catena montuosa dell’Atlante, che va dalla Tunisia al Marocco.

Ebbene, proprio in questa prospettiva c’è da ricordare che in Algeria sono state segnalate costruzioni fatte con soli massi di pietra, senza alcun cemento, chiamate «bazina» oppure «coucha», le quali sono del tutto simili ai nuraghi sardi e le quali raggiungono la considerevole somma di un migliaio (E. Pais, Prer. pagg. 299-300; Tav.7 num. 1, 2, 3).

Inoltre lo scrittore greco Diodoro Siculo (III, 49, 3) riferisce che «i capi (dei Numidi) posseggono non città, ma “torri” (pýrgoi) poste nelle vicinanze delle sorgenti, nelle quali depongono il sovrappiù del bottino di guerra». Ed è evidente che essi procedevano in questo modo perché le “torri” erano considerate e adoperate come “templi”, alle cui divinità appunto venivano fatte quelle offerte.

Il geografo greco-alessandrino Claudio Tolomeo (IV 3, 3) poi segnala nell’Africa provincia romana, questi toponimi Noúrholi, Noúrhon, i quali sono chiaramente corradicali col vocabolo protosardo nuraghe e coi toponimi sardi Nurò (Orune), Nurule (Galtellì), Nurvoli (Nùoro) (TSSO); poi segnala il toponimo Narhággarha, che sembra corradicale col protosardo muragadda, mugoradda «pietraia, mucchio di pietrame accatastato per spietrare il terreno», «muriccia, muro di contenimento» (Orgosolo), «rudere di muratura» (gallur. e centr.) (NVLS).

Qualche corrispondenza linguistica è stata riscontrata pure tra la Sardegna e la Numidia antiche, cioè tra lessemi protosardi e lessemi berberi. Eccone, anche qui, l’elenco probabilmente non completo:

 

aurri, áurri «càrpino bianco e nero», «carpinella» (Carpinus betulus, Ostrya carpinifolia Scop.); toponimi Aurracci (Ussassai), Aurreddus (Gergei, diminutivo plur.): relitto protosardo da confrontare col berbero auri “pianta la cui scorza viene usata per fare corde, cinture, ecc.”. Vedi Iberia (basco, navarrese) (LS, 255).

buda, (b)uda, guda, vuda «biodo, sala palustre, tifa» (Typha angustifolia e T. latifolia L., usate per fare stuoie) deriva dal lat. buda, che per M. L. Wagner (LS 263) sarebbe di origine africana, corrispondendo al berbero (t)abuda, tibudda. Questo fitonimo berbero è molto importante e significativo, per il fatto che risulta preceduto dal prefisso-articolo ta-, te-, ti-, tu-; tha-, the-, thi-, thu-; tza-, tze-, tzi-, tzu-, il quale tanti riscontri ha fra i lessemi protosardi (NVLS).

gangorra «strolaga minore» corrisponde a ganga piccolo gallinaceo dell’Africa (vedi anche Iberia).

narvu, navru (Irgoli), narvone, nalvone, narbone/i «debbio o bruciatura degli sterpi o delle stoppie», «novale o terreno bruciato e pulito da pietre e sterpi pronto per l’aratura»; (suffisso -on-); narvonare/ai «debbiare», «dissodare il terreno»: relitto protosardo da confrontare coi topononimi Monte Narbone, Narboni, Narboneddu (Sicilia), Narbonne (ant. Narbo,-onis; Gallia), Narbo (Africa settentrionale) (OPSE 155, 156; LISPR 161; NVLS).

sèssiri, sèssini, sèssene «cìpero» (specie di giunco usato per fare legacci, stuoie e oggetti artigianali) ed «erba rossa» (Cyperus longus, C. rotundus): probabilmente relitto protosardo, da confrontare con quelli berberi thiizzi «alfa secca», sezzerth «stelo d’alfa» (DES II 412; LS 263).

síntziri, sintzurru «equiseto palustre» e «correggiola» (Equisetum palustre L. e Polygonum aviculare L.) (camp.): da confrontare – non derivare – col lat. zenzur, sensur, zunzur, sunsur «Polygonum aviculare L.», il quale probabilmente è di origine berbera (NPRA 279).

tramatzu, tramatza «tamerice» (Tamarix Gallica L., Tamarix Africana Poir.); toponimi Tramatza, Gonnostramatza (Comuni, OR), Tramatzunele (Fonni), Tramasuri (Samugheo), Tamarithái (Oliena): probabilmente relitti protosardi (suffissi e suffissoide) da confrontare – non derivare – col lat. tamarice/a/um/scus «tamerice, tamarisco» e inoltre col berbero tabarkat (NPRA 254). Per motivi fonetici è meno probabile che il fitonimo protosardo e soprattutto i toponimi citati derivino da quello latino; invece le varianti tamariche, tamariscu possono senz’altro derivarne come doppioni. È probabile dunque che il fitonimo esistesse già in Sardegna, nella lingua protosarda, prima che ve lo importassero i Romani (NVLS).

tzonni, tzònnia, sònnia, t(h)innía, thinniga, tinniga, tzinni(g)a, sinniga «alfa, sparto, giunco marino», «carice» [Lygeum spartum, Iuncus acutus, I. articulatus, I. bufonius, I. maritimus; Carex distachia, C. diversicolor, C. divisa; Holoschoenus romanus (L.) Fritsch] (tutte piante usate per fare stuoie, materassi, ceste, corde); toponimi Tinnura (Comune di T., noto per la confezioni di cestini, fatti pure con la tinnía, la quale è abbondante in una località chiamata appunto Tinnía); Tinnurái (Arzana), Tinnuras (Bonorva), Tunnuri (Lanusei), Zinnuri (Barumini, Bauladu, Tramatza), Zinnuredda (Barumini, Bauladu) (accento e suffissoidi): probabilmente relitti protosardi da confrontare col berbero tsennît «sparto, alfa».

 

Pure il muflone «specie di pecora selvatica», esistente fin dall’antichità in Sardegna e in Corsica, risulta ampiamente attestato anche nella odierna Algeria.

Sul piano etnologico è molto curiosa e significativa la seguente congruenza fra la Sardegna e i Berberi notata e segnalata da M. L. Wagner: «La via lattea porta in tutta la Sardegna [….] il nome di (b)ia dessa bádza (dessa bàlla), dunque “via della paglia”. In tutta la Romània non esiste una denominazione simile [….] In Sardegna vi sono leggende di un Orunese che, avendo rubato della paglia al compare di Nuoro, la vide, per la strada, uscire a poco a poco dai sacchi e andare a formare la via lattea» [….] Ora è notevole che la stessa denominazione è la più usuale fra i Berberi veri e propri e i Berberi arabizzati dell’Africa settentrionale (StSN § 39).

Precisiamo che nella cartina che mostra le linee dell’espansionismo dei Sardi Nuragici nel Mediterraneo occidentale non è per nulla indicata la direzione meridionale dell’Africa settentrionale, e ciò è avvenuto per la ragione che questa prospettiva storica, culturale e linguistica, è una nostra acquisizione molto recente.

Giunti a questo punto c’è da fare una importante considerazione generale a proposito di questo nostro studio. In effetti noi abbiamo visto numerose congruenze linguistiche, archeologiche, etnografiche e storiche fra la Sardegna e quasi tutte le terre che le stanno attorno: Corsica, Baleari, Iberia, Aquitania, Gallia Narbonese, Africa settentrionale. Queste congruenze linguistiche e culturali in effetti si sviluppano a forma di raggiera, la quale ha come suo centro principale la Sardegna. Orbene, dal punto di vista strettamente metodologico è immensamente più verosimile che quelle congruenze linguistiche e culturali siano partite dal “centro” verso le “periferie” che non il contrario: da una periferia al centro o addirittura da una “periferia” all’altra opposta. È immensamente più verosimile che il lessema narbo,-one «debbio» sia partito dall’antica Sardegna verso il nord e verso il sud dando luogo rispettivamente a Narbo,-onis nella Gallia, e Narbo nell’Africa settentrionale, che non il processo inverso: dalla Gallia all’Africa o da questa a quella.

Oltre a ciò, anche a proposito dell’Africa settentrionale siamo di fronte a momenti ed episodi di espansione dei Sardi Nuragici pure nella Numidia. In generale, a proposito dei rapporti che sono intercorsi fra la Sardegna da un lato e l’Africa settentrionale dall’altro, è molto importante fare la considerazione e precisazione, del tutto analoga a quella che abbiamo fatto a proposito dei rapporti intercorsi fra la Sardegna Nuragica da un lato e la Penisola Iberica dall’altro: tutti gli studiosi, storici e linguisti, con in testa Raffaele Pettazzoni, Ettore Pais, il grande Max Leopold Wagner, fino ad ora si sono inconsciamente fatti condizionare dai rapporti che sono intercorsi fra le due terre in epoca piuttosto recente, quando abbiamo visto l’Africa settentrionale prevalere ed espandersi nella Sardegna, prima coi Cartaginesi e più tardi coi Vandali. Senonché questa situazione si determinò realmente solo in epoca storica, quando Cartagine appunto si impadronì di quasi tutta la Sardegna e pure i Vandali per un sessantennio, mentre in epoca preistorica i rapporti sono stati del tutto opposti: è stata la Sardegna ad espandersi nell’Africa settentrionale e non il contrario. E ciò è accaduto in virtù del fatto che gli antichi Sardi Nuragici erano più forti nelle armi e nei mezzi e più avanzati nel progresso tecnico e pure civile rispetto alle varie e piccole popolazioni che abitavano l’Africa settentrionale. Abbiamo già detto ed insistiamo nel dire che in fatto di incontri di culture e di civiltà vale la norma che “il più spiega il meno e non viceversa”.

È un fatto assolutamente strano, però succede realmente: tutti gli studiosi riconoscono e dicono che “la civiltà nuragica è stata la prima e la più importante civiltà dell’antico Mediterraneo occidentale”, precedente perfino alla brillante civiltà etrusca di circa tre secoli. Ma se questo riconoscono pacificamente tutti e d’accordo, perché non riconoscono ai Sardi Nuragici anche le capacità di animo, di intelligenza, di forze e di organizzazione necessarie e sufficienti per perseguire una politica di espansione verso tutte le terre che stavano attorno, spinti e grandemente favoriti anche dal comune modo di muoversi degli uomini in quei secoli, la navigazione sul mare?

Circa lo sviluppo civile e culturale raggiunto dai Sardi Nuragici basta citare un solo esempio: col meraviglioso edificio architettonico che è il pozzo di Santa Cristina di Paulilatino, essi erano riusciti a costruirsi un orologio solare e un calendario lunare!

 

Nuragici ed Etruschi nel Mar Tirreno

In base ad antiche testimonianze storiche si possono ricostruire con notevole sicurezza le tappe dell’itinerario marittimo che i Sardiani della Lidia e quelli della Sardegna percorrevano nei loro viaggi di andata e di ritorno tra la madrepatria anatolica e la colonia sarda.

Intanto è opportuno ritornare alla citata preziosissima testimonianza di Erodoto relativa alla grande trasmigrazione dei Lidi verso l’Italia e ricordare che essi acquistarono la denominanzione di «Tirseni» dopo il loro trasferimento nell’Occidente. E noi abbiamo già detto altre volte che i Lidi acquistarono la denominazione di «Tirseni/Tirreni», cioè di “costruttori di torri”, dopo che si erano resi famosi per le numerosissime “torri nuragiche” da loro costruite in Sardegna.

Ciò premesso, si deve dire che abbiamo numerose testimonianze storiche che parlano di una presenza dei Tirreni lungo l’itinerario marittimo che collegava la Sardegna colonia alla Lidia sua madrepatria.

Innanzi tutto è molto importante e molto significativa la denominazione del Mare Tirreno, situato tra la Sardegna, la Penisola Italiana e la Sicilia. Questa denominazione parla chiaramente della supremazia marittima o “talassocrazia” che i Tirreni vi esercitarono in lungo e in largo e per molto tempo. Se poi si considera che l’etnico Tirreni/Tirseni è praticamente sinonimo di Nuragici, siamo autorizzati ad affermare che nella sostanza «Mare Tirreno» significava anche «Mare Nuragico». Questa notazione trova conferma in due diversi riferimenti storici e in uno archeologico.

In primo luogo è da considerare che alcune testimonianze storiche antiche accennano al fatto che, prima dell’ingresso dei Greci nel Mar Tirreno e cioè prima della fondazione delle loro colonie di Ischia (Pithekoũsai) e di Cuma (rispettivamente negli anni 770 e 750 a. C. circa), quel mare era infestato dai “pirati” e più precisamente dai “pirati tirreni”. A questo proposito anzi è da ricordare che molti antichi autori greci hanno presentato i Tirreni come un popolo dedito in maniera particolare alla “pirateria”, con un giudizio che fu concordemente condiviso dai Greci in generale. Siccome però si tratta di un giudizio di “parte greca” e quindi di una parte interessata, noi moderni abbiamo l’obbligo almeno di attenuarlo. E infatti tutti gli storici moderni sono d’accordo sul fatto che nei tempi antichi il commercio e la pirateria di un qualsiasi popolo – Tirreni, Liguri, Greci, Fenici, Cartaginesi – andavano di pari passo, con un continuo scambio di ruoli e strettamente intrecciati e confusi tra loro (StSN § 42). D’altronde, a distanza di tempo, a noi moderni riesce del tutto facile comprendere come e perché i Greci fossero piuttosto corrivi a chiamare e definire “pirati” quei popoli o gruppi di uomini che si opponevano al loro espansionismo marittimo e commerciale. Nel caso specifico del Mediterraneo centro-occidentale si intravede facilmente che quei “pirati” che si opponevano all’ingresso dei Greci nel Tirreno, erano appunto i Tirreni, sia quelli della Sardegna sia quelli dell’Etruria.

In secondo luogo un famoso trattato di amicizia fra i Sibariti da una parte e i Serdaioi o Sardi dall’altra (StSN § 22) dimostra in maniera chiara e certa che effettivamente i Tirreni, sia quelli della Sardegna sia quelli dell’Etruria, erano i padroni quasi assoluti del Mar Tirreno; tanto è vero che si era vista costretta a venire a patti con loro, per poter commerciare in quel mare, nientemeno Sibari, che all’inizio era la più ricca e potente colonia greca della Magna Grecia. Infine è pure molto significativa la circostanza che nell’isola di Lipari, che è nel Tirreno, proprio di fronte allo stretto di Messina e quasi a suo controllo, siano stati trovati numerosi vasi o frammenti di vasi di sicura matrice nuragica. Il primo archeologo che si è interessato di questo vasellame nuragico di Lipari, ha messo in risalto che esso riguardò un arco di tempo che andava dalla seconda metà del secolo XII a. C. fino al X e alla prima metà del IX (StSN § 42), cioè – diciamo noi – al periodo della massima potenza dei Sardi Nuragici.

Da queste due considerazioni a noi sembra che si possa trarre questa assai verosimile conclusione: che i Sardi Nuragici si fossero installati a Lipari e nelle isole Eolie, sulla rotta diretta che portava, attraverso lo stretto di Messina, dalla Sardegna alla Lidia e viceversa. E queste isole servivano ai Sardi Nuragici sia come tappa intermedia nella lunga rotta fra la Sardegna e la madrepatria anatolica, sia per controllare lo stesso stretto di Messina, esercitando nella zona adiacente anche la pirateria.

Sempre con molta verosimiglianza si può anche ipotizzare che i Sardi Nuragici delle Eolie fossero i 500 misteriosi abitanti indigeni di queste isole, della mitica stirpe di Eolo, quelli che in séguito, attorno agli anni 580/576 a. C. (50ª Olimpiade), accolsero i coloni greci di stirpe Cnidia e Rodia. «Ebbero una benevola accoglienza», afferma Diodoro Siculo (V 9), ma c’è da dubitarne parecchio; ed infatti Pausania (X 11, 3-5) dice invece che i nuovi coloni greci cacciarono via gli antichi abitanti delle Eolie, probabilmente costringendoli a ritornare in Sardegna.

In periodi successivi per i nuovi coloni greci delle Eolie si hanno notizie di scontri con i Tirreni, senza però che si possa chiarire se questi fossero Tirreni della Sardegna o Nuragici oppure Tirreni dell’Italia o Etruschi. Assai probabilmente si trattava sia degli uni che degli altri, a seconda dei siti, delle circostanze e dei tempi (Diodoro V 9; Strabone VI 2, 10; Pausania X 11, 3-5; 16, 7).

È importante considerare che, nel periodo che va dalla metà del X secolo a. C. alla metà dell’VIII, i Tirreni della Sardegna o Nuragici controllavano tutta la costa occidentale del Mare Tirreno, con l’importante stretto di Bonifacio compreso, e probabilmente anche le isole Eolie e lo stretto di Messina, e che i Tirreni dell’Italia od Etruschi erano padroni della parte settentrionale dello stesso mare, col possesso dell’intera costa della Penisola Italiana fra il Tevere e l’Arno e inoltre dell’isola d’Elba e di una porzione della costa orientale della Corsica, ad Alalia o Aleria. Per conseguenza di tutto ciò si può ben vedere e comprendere come e perché in quel periodo il Tirreno abbia acquistato la caratteristica di un mare chiuso, sotto il quasi totale predominio dei Tirreni, sia di quelli della Sardegna sia di quelli dell’Etruria, e come in quel periodo quel mare abbia per l’appunto preso la sua molto significativa denominazione di Mar Tirreno. Non è certamente a caso il fatto che – come abbiamo già visto in precedenza – esiste in Sardegna, a stretta vicinanza della costa sud-orientale e cioè “tirrenica” dell’isola, il villaggio di Tertenía, il cui nome corrisponde quasi perfettamente alla Tyrsēnía = «terra dei Tirseni», citata da Stefano di Bisanzio.

A maggior ragione vale questa considerazione, quando si consideri che – come abbiamo pure visto in precedenza – Mare Tirreno era chiamato anche il mare posto tra la Sardegna e la penisola iberica (StSN § 56).

Le isole Eolie e lo stretto di Messina dunque erano due punti obbligati di approdo e di passaggio per i Sardi Nuragici nel tragitto di andata e di ritorno alla e dalla loro madrepatria anatolica, la Lidia.*

Massimo Pittau

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*Sento il dovere e pure il piacere di ringraziare il collega ed amico Mauro Maxia, professore associato di “Linguistica e dialettologia italiana”, perché ha accettato di revisionare, con piena competenza, questo mio studio e perché mi ha fatto conoscere un suo studio, che prima non conoscevo: “Toponimi ricorrenti nel Mediterraneo occidentale”, pubblicato negli Atti del convegno “La toponomàstica de les illes del Mediterrani occidental”, L’Algher, maig del 2008. Questo importante studio mi ha consentito di arricchire il mio materiale toponomastico.

 

 

Bibliogafia e Sigle

DECLC Corominas J., Diccionari Etimòlogic i Complementari de la LLengua Catalana, Barcelona, V ediz., 1988.

DES  Wagner M. L., Dizionario Etimologico Sardo, I-III, Heidelberg 1960-1964.

LISPR  Pittau M., La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari).

LS   Wagner M. L., La Lingua Sarda – storia spirito e forma, Berna 1951, II ediz. Nùoro 1997.

NPRA André J., Les nomes de plantes dans la Rome antique, Paris 1985.

NVLS   Pittau M., Nuovo Vocabolario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico, Domus de Janas edit. Selargius 2014.

OPSE Pittau, M., Origine e parentela dei Sardi e degli Etruschi – saggio storico-linguistico, Sassari 1996.

Prer. Pais E., Sardegna prima del dominio romano, in «Atti della R. Accademia dei Lincei», VII, 1880-1881.

StSN   Pittau M., Storia dei Sardi Nuragici, Selargius (CA) 2007, Domus de Janas edit.

TSSO   Pittau M., I toponimi della Sardegna – Significato e origine, 2 Sardegna centrale, Sassari, 2011, EDES (Editrice Democratica Sarda).


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