L'Espressionismo

Creato il 23 novembre 2012 da Sulromanzo

Nel primo ventennio del Novecento si sviluppò in Europa, e in particolare nell’area di lingua tedesca, una tendenza denominata Espressionismo. Chiamarlo “movimento” sarebbe in parte improprio: qualcuno come Rheiner direbbe che si trattava piuttosto di un atteggiamento spirituale, difficile da situare dentro un preciso contesto storico. Basandoci sugli studi condotti fino a questo momento, siamo in grado di stabilire alcune peculiarità tipicamente espressioniste. Partiamo col dire che molti di coloro che vennero definiti espressionisti nacquero alla fine dell’Ottocento: tale dettaglio anagrafico collocava questa folta schiera di intellettuali e artisti proprio a ridosso del primo conflitto mondiale ed è chiaro che la guerra, con tutte le sue implicazioni e conseguenze, sia il primo elemento riscontrabile nella loro opera. 

Altro fattore che condizionò in modo profondo le arti di inizio secolo fu la massiccia opera di industrializzazione, conseguenza diretta del progresso scientifico: lo sviluppo delle macchine comportò la  meccanizzazione del lavoro e uno stile di vita sempre più frenetico e caotico. Il fatto che l’Espressionismo fosse un fenomeno soprattutto tedesco (pur con riscontri anche in altre parti d’Europa, sebbene con minor successo) non fu una casualità: all’inizio del XX secolo la Germania passò con rapidità dall'essere un paese agricolo a una nazione industrializzata. Al consistente sviluppo sul piano politico e industriale corrispondeva, però, una carenza a livello etico, oltre che la mancanza di una vera dialettica fra le varie parti della società civile e un consenso politico ottenuto mediante la retorica nazionalistica, che trasformava il tedesco in suddito prima ancora che in cittadino. Proprio per questi motivi, la cultura germanica necessitava di un rinnovamento sul piano morale: gli impulsi espressionisti si inserirono con facilità nel quadro d’insieme, criticando il conformismo delle idee e l’artificiosità dei rapporti umani. Dapprima sviluppatosi nell’ambito delle arti figurative, l’Espressionismo si estese poi alla musica, alla letteratura e al cinema: alcuni suoi classici leitmotive furono l’immagine della metropoli di cemento, la solitudine e il senso di smarrimento dell’uomo (la crisi del super-io freudiano e la supremazia dell’inconscio), ma soprattutto il desolante ritratto della condizione precaria del sottoproletariato, costretto ai margini della società. Da questo punto di vista, si può dire che l’Espressionismo presentò delle analogie col precedente Naturalismo anche se, in realtà, non si trattava solo di una vicinanza a livello di contenuti, ma anche formale, soprattutto nella ricerca di un linguaggio nuovo, mediante il quale esprimersi: a tale proposito ricordiamo Arno Holz, fautore di veri e propri esperimenti linguistici, in aperta contrapposizione con la metrica tradizionale, nel tentativo di cercare un più «essenziale ritmo interno», grazie all'assenza pressoché totale dei verbi e «il dominio assoluto della proposizione nominale descrittiva».

A coniare il termine “espressionismo” sarebbe stato Julien- Auguste Hervé nel 1901, in occasione di una mostra allestita al Salon des Indépendants a Parigi: allora egli presentò otto quadri intitolati appunto “expressionismes”. Tuttavia, in Francia il termine non attecchì, mentre in Germania venne importato con successo da Walter Heymann, Wilhelm Worringer (che lo utilizzò per indicare lo stile caratteristico dei pittori Cézanne, Matisse e Van Gogh) e Herwarth Walden. Una delle problematiche di base dell’Espressionismo fu la sua esatta collocazione temporale. Senza addentrarci troppo nella questione diremo che, in quanto «fenomeno di vita letteraria», l'inizio dell'Espressionismo coincise con l'anno 1910, con la fondazione del “Neo- pathetisches Cabaret”, in cui Georg Heym, Jakob van Hoddis, Else Lasker-Schüler e Ernst Blaß presentarono i loro versi in pubblico; nello stesso anno Max Brod lesse pubblicamente a Berlino “An den Leser” del praghese Franz Werfel. La sua fine, invece, si collocò all’interno del lustro 1920-1925. Il periodo espressionista è suddivisibile in tre fasi: la prima, anteriore alla Grande guerra, fu una fase proto-espressionista che rifletteva la crisi dei valori di inizio secolo. Segue l’Espressionismo di guerra, dal 1914 al 1918, in cui si sviluppò in prevalenza una poetica di tipo politico e sociale, impregnata di ideali rivoluzionari; infine, si registrò una parentesi tardo-espressionista del dopoguerra, l’apoteosi del movimento ma, in contemporanea, anche il suo veloce decadere a moda letteraria. Nel 1921 Iwan Goll sostenne che l’Espressionismo era morto: all’incontro col Surrealismo e il Dadaismo seguì un superamento dell'avanguardia, intorno al 1927, da parte della “Neue Sachlichkeit”.

Accanto a Frank Wedekind e August Strinberg, trovarono  spazio le figure di Christian Dietrich Grabbe (le cui opere vennero messe in scena dai registi espressionisti) e Georg Büchner, uno dei primi a trasformare i diseredati in soggetti poetici, oltre che a sottolineare la stretta connessione tra bontà umana e ragioni economiche. Altri nomi legati a questo momento storico e culturale furono August Stramm, Gottfried Benn, Alfred Döblin e Georg Trakl. Ci sono poi degli scrittori che non possono essere definiti espressionisti in senso stretto, ma i cui temi sono spesso al centro delle problematiche affrontate dalla nuova tendenza: ricordiamo Carl Sternheim, autore di satire e commedie, i cui personaggi sono inquadrati da una prospettiva distorta, resa grazie all’utilizzo di un linguaggio rotto e spigoloso, e Christian Morgenstern, inventore di una propria lingua, che predilige i neologismi, le parole un po' strane, quello che è stato definito una sorta di «umorismo metafisico». I paesi latini vennero meno toccati dall’influenza espressionista: gli autori di quest’area geografica subirono una mediazione, un riflesso della nuova corrente, più che incarnarla fino in fondo. L’unica eccezione venne rappresentata dalla produzione drammatica del belga-fiammingo Michel de Ghelderode, a partire da La mort du docteur Faust (1926), in cui si avvertivano influenze di Wedekind, Kaiser e Sternheim, oltre che del cinema espressionista tedesco. In Francia, le opere di alcuni autori furono lette in chiave espressionista, come Henri René Lenormand o Jean Victor Pellerin. Anche Mort à credit di Luis-Ferdinand Céline presentava caratteristiche tipicamente espressioniste, sia nelle immagini che nell’uso della parola. In Spagna, il movimento si legò all’ultraismo e si diffuse grazie alle versioni di Jorge Louis Borges in riviste quali Grecia eCervantes. In Italia, l’Espressionismo si realizzò soprattutto a livello formale, con la coniazione di nuovi termini, l’espansione del loro significato e la dissoluzione della sintassi: tali giochi linguistici sono riscontrabili nelle opere di Arturo Onofri, Clemente Rebora ed Enrico Pea, senza dimenticare un grande nome della letteratura nostrana, Carlo Emilio Gadda.

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