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L’estetica del disastro naturale. Una possibile lettura della contemporaneità

Creato il 18 aprile 2013 da Greeno @greeno_com
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Altre volte sulle nostre pagine abbiamo provato a studiare i programmi narrativi che l’informazione, ed in generale le discipline interessate a costruire discorsi sull’ambiente,  imbastiscono per ‘significare’ la Natura. Contestualmente abbiamo indagato quali possibili obiettivi fossero in capo a quelle scelte narrative (far fare a qualcuno?, far sapere a qualcuno? far credere a qualcuno? e cosa?). Questo, ad un livello preliminare di analisi, consente di distinguere la comunicazione ambientale commerciale da quella divulgativa, quella istituzionale da quella di sensibilizzazione. Parliamo di tipi di comunicazione diversi rivolti a pubblici diversi.

Ci pare però che sia possibile individuare una tendenza – fra le altre – che attraversa numerose occorrenze testuali.

Un potenziale punto di partenza dal quale far defluire le diverse possibilità di senso di un testo. Questa continuità interpella il senso estetico del destinatario e funziona sempre come deve, poiché le viene attribuito il compito di ingaggiare il lettore, di metterlo sotto contratto – soprattutto nei testi con immagini. Chiamiamo quest’area concettuale (e pragmatica!) estetica del disastro, e traduciamola con l’atteggiamento contiguo di chi produce e diffonde immagini di eventi naturali catastrofici e di chi riceve quelle immagini e vi si lega, in qualche modo e per qualche motivo.

estetica del disastro

Caspar David Friedrich, Naufragio, 1824. Amburgo, Kunsthalle

Naufragio della Costa Concordia, Isola del Giglio

Esiste un’ampia provincia della comunicazione ambientale che si appropria del disastro per costruire significati. Non c’è nessun giudizio di merito in questo assunto, si tratta di riferire un’evidenza. Le differenti discipline chiamate a parlare di Natura finiscono spessissimo per risemantizzare un’estetica comune, quella dell’attrattività infallibile dei cataclismi e degli sconvolgimenti ambientali. Fra tutte, l’informazione vive questa estetica come una condizione preliminare per l’innesco della fruizione del messaggio e decisiva delle interpretazioni possibili. Più di tutte, l’informazione digitale sembra depositarle la vantaggiosa possibilità di contrattualizzare quante più utenze possibili. Difficile che un video in cui si vede un uragano mietere decine di morti non diventi virale. Di questo si parla. Che piaccia o meno.

Siamo di fronte, dunque, al revival di una stagione sempreverde della storia della Bellezza, sulle cui forme nuove ci piacerebbe discutere – invito che attraverso queste pagine estendiamo ai comunicatori ambientali a vario titolo.

La provocazione, mutuata dal confronto con alcune produzioni testuali di qualche secolo fa e di cui rendiamo conto in quest’articolo, è che addirittura il disastro ambientale sia Sublime, ancora oggi e ancor di più oggi, perché lo si può testimoniare direttamente.

  

disastro e sublime

Ma questa estetica (di cui, da osservatori dei fenomeni, leggiamo il vigore quasi “imbarazzato”) ha una storia lunga e connaturata all’uomo, ci pare, seppure sia cambiata nel tempo e nelle sue produzioni.

È possibile che quel che muove paura e pietà si produca per effetto della vista, ed è anche possibile che si produca per effetto della stessa composizione di fatti, cosa che è preferibile e propria del poeta migliore. Anche senza il vedere, il racconto deve essere composto in modo tale che chi ascolta i fatti che si svolgono, per effetto degli avvenimenti, sia colto da timore e pianga, ciò che si può provare udendo il racconto di Edipo. Procurare questo effetto per mezzo della vista è invece piuttosto estrinseco all’arte e legato alla messinscena. Coloro poi che, per mezzo della vista, non procurano il pauroso, ma soltanto il mostruoso, non hanno nulla in comune con la tragedia, perché nella tragedia non si deve cercare un piacere qualsiasi, ma quello suo proprio. Poiché il poeta deve produrre il piacere che si dà grazie all’imitazione da pietà e terrore, è chiaro che ciò deve essere realizzato nei fatti.

AristotelePoetica, XIV (IV sec. a.C.)

C’è da chiedersi se i produttori di racconti che oggi utilizzano questa estetica (i mezzi di informazione, soprattutto) procurino più il pauroso o il mostruoso, secondo i canoni aristotelici appena citati. E in che modo.

tempesta

Rocce audaci, incombenti, quasi minacciose, nuvole tempestose che torreggiano nel cielo e si appressano con fulmini e tuoni, vulcani in tutta la loro violenza distruttiva, uragani che lasciano dietro di sé la desolazione, l’oceano infuriato e senza limiti, un’alta cascata di un potente fiume, e così via, riducono la nostra capacità di resistere, a paragone con la nostra potenza, a una piccolezza insignificante. Ma la loro vista diventa tanto più attraente quanto più è temibile, purché ci troviamo al sicuro.

Immanuel KantCritica della facoltà di giudizio, 1, 2, 28 (1790)

Ecco, ci pare che il successo di questa estetica del disastro possa alimentarsi solo “al sicuro”.

Se non è “al sicuro”, tendenzialmente l’estetica vira verso forme altre di coinvolgimento.

Un giorno, su queste pagine, ci dedicheremo anche ad analizzare quel fenomeno ‘particolarmente’ contemporaneo dell’alterazione digitale delle immagini di eventi naturali catastrofici. Perché sia ancora più rivelata l’attualità di certe poetiche dell’altrui disperazione.

Ebbene, come certe estetiche romantiche vengono custodite all’interno dei musei, con le loro filosofie dell’informe, del doloroso e del tremendo, così l’informazione contemporanea, il corredo delle sue pinacoteche virtuali, molti degli altri linguaggi che raccontano la Natura, espongono e custodiscono il disastro. È una questione di moda, di attualità delle mode. Che ritornano sempre, solo sotto forma di narrazioni diverse.

Laddove era sublime la tempesta di Samuel T. Coleridge o il ghiacciaio Sermitsialik di William Bradford, adesso è sublime lo tsunami, ma solo a determinate condizioni: che sia ferocemente assassino e che lasci traccia. Non solo a terra, ma soprattutto in video. Altrimenti è come se non esistesse.


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