L’età pericolosa. La paura di invecchiare e di perdere la propria femminilità

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

“L’eta pericolosa” è un romanzo di Karin Michaëlis, edito nel 1910.

Agli inizi del secolo scorso di femminismo già si dissertava nelle fredde terre del Nord Europa, dove ben si conoscevano dimore con tendine di pizzo che nascondevano lacrime e con tazzine da tè che, se infrante, potevano ferire come lame. Le case di bambole, ossia gabbie d’oro di donne imprigionate in un ruolo imposto da una società fatta di guance barbute, erano citate nei numerosi salotti non certo estranei alle opere di Ibsen.

In tale clima culturale, Karin Michaëlis, la scrittrice danese conosciuta dal grande pubblico per le avventure della piccola “Bibi”, compose un romanzo dallo stile a tratti incerto e dai contenuti controversi, eppur ricco di spunti di riflessione sul periodo storico del quale fu figlio e sulla realtà odierna.

La protagonista, Elsie Lindtner, racconta, attraverso pensieri sparsi, quasi al ritmo di in flusso di coscienza, ed epistole, un periodo preciso della propria vita, fra i 42 e i 43 anni.

Si tratta di un romanzo femminista? No. Ci sono molti preconcetti prettamente sessisti che le donne stesse hanno fatto propri, come cilici sulle carni.

Si tratta di un romanzo maschilista? No. Ci sono molte affermazioni che sottolineano, attraverso un linguaggio diretto, il legittimo desiderio di libertà, l’acuta intelligenza e il sano istinto sessuale delle donne.

È dunque una storia liminare, che si snoda lungo un filo sospeso fra passato, presente e futuro.

La critica ha colto nel finale un irrevocabile segno di sconfitta.

Io, invece, vedo in quella bruna terra ghiacciata delle ultime righe i semi di una rinascita che dall’isola, grembo simbolico, porta al mare dell’autoaffermazione conquistata a fatica.

Leggete il romanzo, se non l’avete già fatto, e dite la vostra.

C’è ancora oggi un’età pericolosa per le donne?

Possiamo posticiparla, è vero, ma non negare che continui ad esistere.

È quella che precede la menopausa e il successivo invecchiamento, in cui la femminilità viene messa a dura prova.

Complici e colpevoli, al contempo, gli ormoni e l’isteria uterina?

Il pericolo è da attribuire alle donne stesse che sono incapaci di fronteggiare l’inevitabile cambiamento e, a causa di ciò, nocciono a se stesse e agli altri?

O, forse, persiste un forte condizionamento sociale, attualmente soprattutto mediatico, che propone un modello femminile che non invecchia o meglio che ingaggia una guerra armata di silicone e botulino per non svilire il proprio ruolo fra le rughe?

Se la capacità riproduttiva non è più ritenuta l’essenza dell’essere donne, lo sono, però, la bellezza e la gioventù, entrambe ostentate e agognate. Chi non si uniforma desta scalpore, in modo particolare se appartiene alla schiera dei cosiddetti “vip”.

Esiste, dunque, un’età pericolosa, ma non è quella delle donne.

È l’età nell’accezione di “epoca storica”, ossia il contesto in cui viviamo che, erede dei precedenti, ancora sforna stereotipi, dando la colpa del loro perdurare alla natura femminea.

Emma Fenu