L'etichetta indie e la voglia di maestri

Da Robomana

Ieri il solito Pitchfork ha annunciato il passaggio di Iron & Wine, uno dei nomi simbolo dell'indie americano, alla Warner Bros e alla 4AD. In pratica tutto quello che uno potrebbe desiderare, l'unione tra una delle major più potenti e la label indie per eccellenza. Una notizia di per sé trascurabile, ma che la dice lunga su quanto l'espressione indie sia indefinita e sostanzialmente inutile, da tempo passata a indicare non più una situazione produttiva, ma uno mood artistico, un suono anche in questo caso indefinito ma piuttosto riconoscibile. Qualcuno forse dovrebbe cominciare a fare una mappatura dei suoni, delle influenze e delle caratteristiche dell'indie, naturalmente partendo dagli artisti (ormai una valanga) etichettati in quanto tali. Per esempio, se mai dovessi fare una cosa del genere, potrei subito dire che nel mondo indie, un po' come succede in quello dei festival cinematografici, si è artisti e autori già dopo un solo album. E magari dopo tre o quattro, se non hai saputo confermarti, se non hai avuto fortuna o hai provato a cambiare, sei già fottuto.
Sta succendo con gli Interpol, che dopo il fiasco dell'ultimo album vengono maltrattati da tutti, e potrebbe capitare, chissà, anche con Iron and Wine (in realtà Samuel Beam), che tre anni fa con un solo album, The Shepherd's Dog, conquistò con merito il cuore degli indiefoli, senza però fare nulla di più che riprendere chili e chili di tradizioni folk e brit (proprio i Belle and Sebastian di ieri) con canzoni soffici e delicate. Da allora lo si considera un autore, un modello, e se capita uno che lo ricorda se ne parla come di "uno che sembra Iron and Wine".
Inutile dire che tutto questo è esagerato. Come si fa a crescere artisticamente quando dopo un solo album o film sei già un modello? E ripensando ancora a The Age of Adz, come si fa a criticare la sposmodica, rabbiosa, disperata ricerca di un cambiamento gridando al pasticcio o al tradimento, come si legge in tante recensioni (per fortuna abbastanza bilanciate da altre più intelligenti)? Abbiamo davvero voglia di riforme e di svolte oppure ci culliamo in quello che già conosciamo? Perché abbiamo così bisogno di individuare maestri e poi limitarci a esaltarli o divertirci a demolirli? L'arte non dovrebbe essere una cosa viva, dunque mutevole?
Vabbe'... resta comunque il fatto che The Shepherd's Dog è un album meraviglioso, e magari lo sarà altrettanto l'imminente Kiss Each Other Clean, in uscita a gennaio 2011.


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