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L’Europa e la Russia: l’IsAG al XXIII Forum Economico in Polonia

Creato il 18 settembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
L’Europa e la Russia: l’IsAG al XXIII Forum Economico in Polonia

Fra il 3 e il 5 settembre una delegazione dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), composta da Fabrissi Vielmini e dal Presidente Tiberio Graziani, ha partecipato al XXIII Forum Economico a Krynica Zdroj in Polonia. Dal 1990 la “Davos orientale”, sforzo preponderante della diplomazia pubblica di Varsavia, mobilitata qui ai massimi livelli del governo e dell’economia nazionali, è cresciuta fino a divenire un evento politico ed economico di rilevanza continentale. Nel dolce scenario alpino della cittadina termale, esperti, uomini d’affari e politici (non pochi i capi di Stato intervenuti negli anni; nel 2013, oltre al premier Donald Tusk, quello croato Zoran Milanović), imprenditori eminenti ed attivisti del terzo settore internazionale si ritrovano per dibattere delle questioni chiave e delle sfide del nostro tempo.

Quest’anno gli oltre 3000 partecipanti (tra cui quasi quaranta dall’Italia) hanno per tre giorni animato 150 dibattiti, tavole rotonde, in diversi formati, dedicati ad aree di interesse quali macroeconomia, politica e sicurezza internazionali, energia ed innovazione, assistenza sanitaria e regionalismo europeo1. Come d’abitudine, fra gli ospiti provenienti da tutto il mondo del resort, si distingueva la presenza di delegati dalla Russia e dagli altri paesi dell’ex-URSS, favorita dalla posizione di Krynica in quel crocevia dell’Europa centrorientale che fu la Galizia austro-ungarica.

Russia: What Kind of Neighbor Is It?

La sezione in cui l’ISAG era coinvolto verteva appunto su uno dei temi centrali che gli incontri di Krinyca affrontano regolarmente: il rapporto fra Russia ed Europa. Che tipo di vicino è la Russia, si chiedevano sin dal titolo gli organizzatori, i quali invitavano i relatori a volgere lo sguardo ai secoli precedenti, interrogandosi se “un dialogo costruttivo ed aperto con Mosca fosse del tutto possibile”. Nel suo intervento il Presidente Graziani si è chiesto se, con una simile intestazione, il simposio non rischiasse di focalizzare sin dall’inizio la discussione su un’immagine negativa della Russia. Tradizionalmente, almeno da quando la Russia venne inserita nel gioco europeo delle potenze da Pietro il Grande, gli europei si confrontano ad essa tramite il dilemma fra le opportunità offerte da uno Stato-continente, proiezione della propria civiltà verso l’Asia interiore e in tal modo ponte verso i popoli e le risorse del Pacifico e la potenziale minaccia che un tale gigante pone alla propria sicurezza, sensazione di minaccia che diverrà col tempo la matrice della Russofobia2.

Come abilmente illustrato da Dieter Groh3, il dilemma dell’Europa di fronte alla “Sfinge” russa costituisce un topos alla base della definizione stessa dell’identità del subcontinente ai limiti occidentali d’Eurasia. Un’Europa che anche come una reazione di difesa di fronte all’unica potenza rimasta in grado di minacciarla, si erge di fronte ad essa quale katechon, rappresentandosi quale bastione della libertà, del progresso, della tecnica, etc.4, rappresentazione divenuta tanto più intensa nel momento in cui la Russia venne identificata con lo spettro del comunismo. Pienanmente nel solco di questa seconda visione del rapporto Europa-Russia, l’intervento del parlamentare polacco Piotr Naimski ricordava come le tragedie sofferte dalla Polonia diano al paese una memoria proiettata sui tempi lunghi della storia. Naimski si è soffermato sul fatto che la nuova Russia abbia scelto quale festa nazionale (in sostituzione della Rivoluzione d’Ottobre) il giorno in cui si levò la rivolta anti-polacca a Mosca nel 16125. Secondo il relatore ciò starebbe a significare come l’atavico astio che Mosca nutre nei confronti dei vicini sarebbe sempre là a determinare una politica pericolosa per gli stessi. In tale prospettiva, l’Europa centro-orientale e la Polonia debbono continuare ad essere guardinghe verso il vicino orientale. L’autorevole relatore successivo, Grzegorz Schetyna, Presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento polacco, pur cercando di bilanciare il quadro delle relazioni bilaterali con i non pochi esempi positivi intervenuti a costruire un rapporto di buon vicinato con Mosca negli ultimi anni, ricordava tuttavia anch’esso il valore simbolico di episodi quali la tragedia nazionale vissuta per mano bolscevica a Katyn.

Coerentemente con la visione che ne anima l’istituto, i rappresentanti dell’IsAG hanno sollevato la questione di quanto simili rappresentazioni siano adeguate alla realtà del mondo del XXI secolo. Tiberio Graziani ha in particolare posto l’accento su come, nell’attuale ridefinizione degli assetti internazionali che vede il declino dell’influenza dell’Occidente, la Russia, membro attivo di differenti clusters geopolitici sulla scena globale, quali i BRICS e l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai, costituisca una controparte indispensabile per l’Europa, che avrebbe accesso tramite essa a differenti aree ed economie dello spazio globale. Del pari l’Europa ha finora ignorato le proposte russe per la costruzione di una nuova architettura dei rapporti internazionali.

Gli altri due membri del panel, il moderatore statunitense Robert Nurick e l’esperto britannico David Clark (di «The Russia Foundation»), si sono soffermati sui paradigmi ideologici discordanti che animano l’azione dei diplomatici di Mosca e quelli Bruxelles. Da parte dei primi, una visione gerarchica delle relazioni internazionali definita dalla dimensione della potenza. Agli antipodi della concezione post-moderna ed incentrata sul primato del diritto internazionale sulla Realpolitik propria all’odierna politica europea.

Alla fine del dibattito, risultava un quadro non ben bilanciato, a cui hanno reagito alcuni dei numerosi ospiti russi convenuti in sala per assistere ad una discussione che li riguardava direttamente. Questi hanno dapprima sottolineato come in una prospettiva storica anche i russi riscontrino non poche ombre nell’atteggiamento polacco nei loro confronti. Coscienti di ciò, ha osservato il prof. B. Zaritskij, tutti i diplomatici di Mosca inviati a Varsavia sono stati istruiti a dimostrare il massimo d’apertura e flessibilità. In particolare, nella coscienza dell’importanza della dimensione della memoria, la Russia sostiene la Commissione storica bilaterale creata ad hoc per la riesamina dei differenti episodi laceranti in modo da trovare interpretazioni mutuamente accettabili dalle società dei due paesi. Ancora, è stato notato l’importanza che il dialogo cattolico/ortodosso riveste nel processo di riconciliazione fra i due paesi. Senza voler togliere nulla alle specificità della prospettiva polacca e alle tragedie della sua storia, forse maggiori distinguo sarebbero necessari. Ad esempio, nel citato crimine di Katyn, come è possibile attribuire una responsabilità “russa” quando esso venne ordinato da un georgiano (Stalin) ed effettuato dalle forze multi-nazionali dell’URSS?

L’impressione è che, trattando con la Russia, gran parte degli europei continui a confondere i secoli XIX e XX con il XXI, proprio nel momento in cui le esigenze e le sfide di quest’ultimo impongono a tutti i paesi del continente eurasiatico un sforzo di revisione delle vecchie idee. Come si può infatti continuare a rappresentarsi una Russia quale minaccioso Leviatano, sempre desideroso d’espansione nel momento in cui, per le molte e perduranti fratture interne, Mosca continua ad avere difficoltà nell’affermare la propria piena sovranità sui territori rimasti sotto il suo diretto controllo di dopo il 1991? Sembra vero piuttosto il contrario. Quale paese gigantesco che vive per la prima volta nella sua storia secolare una drammatica transizione demografica quale quella l’odierna, la Russia del XXI secolo, secondo l’acuta analisi di E. Todd, tenderà a porsi sulla scena internazionale quale attore alla ricerca della stabilizzazione del sistema6. Tanto più che l’odierna società russa, anche quale effetto dell’elevata esposizione a valori e modelli occidentali, risulta ancora oggi largamente de-ideologizzata, ciò che rende del tutto improbabile una mobilitazione dell’opinione pubblica verso progetti espansivi.

Se percezioni opposte rimangono dominanti in Europa, pur essendo così distanti dalla realtà odierna, difficile non pensare che ciò avvenga quale risultato di una sollecitazione accurata ed artificiale da parte di attori interessati al perpetuarsi dei malintesi. Ad esempio, uno dei massimi ideologi della contrapposizione dell’Occidente alla Russia, quale Z. Brzezinski, evidenzia bene nella sua ultima opera le numerose debolezze della Russia contemporanea7. Ciò nonostante, Brzezinski non si esime dall’apparente contraddizione del continuare a definire un paese, descritto a tratti quale sull’orlo del collasso, come una minaccia per la sicurezza dell’Occidente e degli interessi statunitensi in Europa8

Fra Europa ed Eurasia

Altre sessioni del Forum hanno riflesso come, al di là dei contenziosi storici, le odierne contraddizioni russo-europee s’incentrino su un confronto-scontro di schemi d’integrazione che le due parti propongono contemporaneamente ai paesi divisisi dalla Russia vent’anni fa. Dal 2009, sull’onda dello spartiacque segnato dalla guerra in Georgia, l’Europa, su spinta svedese e polacca, ha sviluppato un progetto di “Partenariato Orientale” (EaP nell’acronimo inglese) con la prospettiva di associare Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldavia, Ucraina e Bielorussia ad una più profonda e vasta zona di libero scambio con l’UE, implicante la convergenza di questi paesei su modelli e norme dell’acquis communitaire.

Inizialmente Mosca ha reagito in modo negativo alla creazione dell’EaP, al punto d’accusare l’UE di voler creare una nuova sfera di influenza nell’Europa orientale. Contemporaneamente la Russia ha iniziato con Bielorussia e Kazakistan (paese fuori dall’EaP) la creazione di spazio economico comune, inizialmente solo doganale ma prevedente la realizzazione entro il 2015 di un’Unione Eurasiatica (UEA), dai meccanismi integrativi ancora più avanzati. Essendo questi direttamente mutuati dall’esperienza dell’UE (si prevede una Commissione sopranazionale UEA con funzioni esecutive), Mosca ha presentato l’iniziativa come non in contraddizione con la politica UE. Al contrario, l’UEA sarebbe la premessa per la creazione di una “grande Europa”, unificante sotto i due ombrelli l’economia di tutto lo spazio compreso fra Atlantico e Pacifico9. La Russia non ha quindi posto alcun aut aut ai paesi contesi. Dal canto loro invece, le diplomazie europee, fra le quali molti sospettano l’iniziativa russa di mire egemoniche (sentimento ben riflesso nel titolo di una session dedicata all’argomento: Towards an Empire: Euroasiatic Union or Pax Russica?), hanno più volte ribadito l’incompatibilità tra l’appartenenza all’UEA e la partecipazione agli Accordi di Associazione dell’EaP10.

Di fronte all’inefficienza del sistema-Russia, la gravitazione verso l’UE rappresenta per i cittadini dei paesi del “vicinato” la via al superamento della corruzione e ad uno Stato di diritto che elimini le disfunzioni che ancora attagliano i loro sistemi politici ed economici dopo oltre vent’anni di “transizione”. Allo stesso tempo, come espresso durante il Forum, negli stessi paesi molti vedono nell’UEA, più che le ambizioni di leadership di Mosca, uno sforzo volto a superare la de-industrializzazione che ha ne ha falciato le potenzialità a partire della rottura delle reti economiche sovietiche. Tale intreccio dei progetti russo-europei è più che mai vivo in questi giorni, precedenti il vertice EaP a Vilnius, quando l’UE dovrà decidere quali di questi paesi presenta le condizioni per accedere agli accordi bilaterali di associazione con essa, uno dei principali strumenti del partenariato. Tale confronto investe in primo luogo l’Ucraina, descritta in uno dei dibattiti del Forum come “divisa fra Europa ed Eurasia” al bivio fra Accordo di associazione con l’UE e adesione all’UEA, prospettive a cui tendono, lacerandolo, le differenti anime del paese. Un autentico nodo di Gordio per Kiev, il cui affrettato scioglimento potrebbe inasprire pericolosamente le molte tensioni interne dell’Ucraina. Proprio durante i dibattiti del Forum, è risuonata la notizia che l’Armenia, che a tratti era stata indicata a Bruxelles quale l’”allievo modello” dell’UE fra le tre repubbliche post-sovietiche del Caucaso, aveva rotto gli indugi decidendo d’aderire all’UEA a svantaggio del progetto europeo. Tale sviluppo ha confermato che la partita ed il confronto per definire l’orientamento di questi paesi è più che mai aperta. Quaesto soprattutto nel momento in cui mantenere aperti i canali con Mosca risulta per i paesi in oggetto una questione vitale, data l’importanza dei flussi migratori ed umani che legano le due parti generando importanti rimesse economiche, fondamentali per i bilanci nazionali.

Di fronte a tali nodi insoluti nel rapporto Russia-Europa, il forum si è anche interrogato su un possibile “ritorno ad est” della Russia, di una sua scelta determinata verso dimensioni extraeuropee alla quale la apre la sua natura continentale. Da tenere presente come l’espansione esponenziale della Cina attira la Russia in direzione del Pacifico, dove, dati i vantaggi, potrebbe accontentarsi della posizione di Junior Partner di Pechino. Tale prospettiva è stata sviluppata nel dibattito dedicato ai BRICS, il gruppo che lega la Russia alle altre quattro principali economie nazionali emergenti sulla scena mondiale, le quali si apprestano a superare il potenziale degli Stati della Trilaterale (Stati Uniti, Giappone ed Europa). Tale associazione costituisce per la Russia uno scenario alternativo, sia al declino dell’Europa che all’attitudine giudicata sempre più irrispettosa delle questioni interne altrui riscontrata presso i suoi rappresentanti. In tal modo, come consigliato nell’intervenuto di uno dei pochi partecipanti indiani all’evento, i paesi europei dovrebbero fare attenzione alla volontà politica alla base dell’intesa dei BRICS, volta a sostenere il tradizionale sistema di relazioni internazionali basato sul primato della sovranità statuale.

Ma, in definitiva, il destino europeo della Russia non è stato messo in forse da nessuno dei partecipanti eurasiatici. Anzi, da parte russa sono ancora risuonati appelli per sforzarsi tutti di trovare le basi per un nuovo accordo, un necessario great bargain da cui formare una Grande Europa, la quale fornirà ai suoi membri le risorse necessarie per affermare le proprie posizioni nel mondo del XXI secolo, affrontandone adeguatamente le sfide epocali che questo pone ad entrambi. Una tale intesa sarebbe richiesta in primo luogo dalla crisi in atto nel Vicino Oriente. Qui europei e russi agendo di concerto e operando sulle reti diplomatiche dei secondi fra i popoli della regione, potrebbero delineare uno schema di cooperazione mediorientale atto a pacificare Siria ed Iraq con la partecipazione di Damasco e Teheran. In connessione a tale scenario, l’Afghanistan rappresenta nella visione russa un altro terreno privilegiato d’intesa coi vicini occidentali, a lungo impegnati sul terreno ed interessati a contenere e ricomporre il potenziale di caos qui contenuto. Poco discussa ma ben presente sullo sfondo di tali ragionamenti sull’inevitabilità dell’intesa russo-europea, l’ascesa della Cina e la connessa prospettiva della perdita delle risorse dell’Asia interiore a suo vantaggio.

Potranno Russia ed Europa disgiunte affrontare adeguatamente tali sfide? A Mosca sono convinti di no. Ben coscienti di minacce di cui avvertono gli effetti sulla propria pelle, sin dalla catarsi del 1991, i russi hanno sempre dichiarato di voler essere un partner degli Stati Uniti e delle altre potenze occidentali, anche tramite l’adozione di loro regole ed istituzioni. Purché questo non significhi essere un satellite USA od UE, memore dell’esperienza, quella si ben vivida presso la maggioranza dei cittadini, del tracollo vissuto negli anni di Eltsin. Comprensibile altresì che su tale sfondo, i russi vogliano essere partner si ma riconosciuti quale centro di potere indipendente, legittimati dall’unicità della propria posizione e traiettoria storica ad essere portatori di tradizioni e di una cultura politica diverse da quelle occidentali.

Inerzia di luoghi comuni inveterati e pregiudizi della guerra fredda impediscono dunque all’UE di costruire relazioni normali con un soggetto quale la Russia. Lo sguardo autistico nella percezione europea del vicino, miope sul senso della crisi internazionale e rivolto al passato più che all’avvenire, va all’opposto delle esigenze del mondo attuale anche in campo economico. Come ha osservato durante uno dei maggiori dibattiti (Russia and the World of the 21st Century) il Segretario Generale dell’Eurispes, Marco Ricceri, le relazioni fra EU e Russia rimangono dominate da un’ambiguità che impedisce di cogliere il potenziale enorme per le proprie economie rappresentato dal processo di modernizzazione della Russia. Così l’UE, al di là delle dichiarazioni d’intenti in questo senso, non è stata finora in grado di avviare quel reale partenariato necessario allo sviluppo e dunque alla stabilità del continente comune. La necessità più grande è conseguentemente quella di chiarezza, una chiarezza dimostrata da Mosca segnalando in modo netto tramite l’iniziativa eurasiatica l’importanza che la ripresa economica dei paesi dell’ex-URSS riveste per il proprio futuro.

Potrà dunque l’Europa uscire dagli schemi del passato e comprendere finalmente le prospettive dei vicini orientali? Permane il dubbio che una visione più appropriata di questi delicati rapporti potrà emergere solo dopo che il ricambio generazionale avrà reso protagonisti dei negoziati i politici formatisi al di fuori della Guerra fredda. In ogni caso, anche quest’anno, il Forum di Krynica ha costituito per i rappresentanti delle due anime del nostro continente un’utile piattaforma dove molti attori direttamente implicati nei delicati processi in esso in corso si sono potuti riunire per confrontare le loro diverse opinioni. Possa il motto del Forum di quest’anno, “Verso un new deal“, essere d’auspicio alle trasformazioni economiche, sociali e politiche richieste dalla crisi globale. In tale dialogo l’IsAG continuerà a cercare di portare il suo contributo, segnalando in ogni caso che nella vecchia Europa ci si interroga sulla crisi in atto anche su altri presupposti.


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