L’Europa e la sfida del mondo che sale

Creato il 01 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

A vent’anni dalla fine della Guerra Fredda sembra evidente che il mondo sia guidato da una nuova forma di governance globale. Numerosi analisti internazionali sostengono che stiamo attraversando una fase di transizione da un sistema mondiale a guida unipolare dominato dall’egemonia statunitense, emersa al termine del confronto con l’Unione Sovietica, a un ordine mondiale multipolare. Due report pubblicati lo scorso mese evidenziano i cambiamenti contemporanei che sfidano il dominio occidentale. Questi documenti sono: Global Trends 2030: Alternative Worlds predisposto dal Consiglio Nazionale d’Intelligence statunitense e US Strategy for a Post-Western World: Envisioning 2030 realizzato dall’Atlantic Council.

Malgrado Washington rimanga ancora l’unica superpotenza globale dal punto di vista militare, è innegabile il fatto che, a differenza di un decennio fa, l’egemonia statunitense sia diminuita a livello mondiale. In generale sembra volgere al termine il dominio occidentale, nonostante tutti i limiti storici delle connotazioni geografiche che uniscono Europa e Nord America. Si potrebbe parlare in questo senso della conclusione dell’egemonia anglosassone o del dominio dell’uomo bianco a livello mondiale. Un evento epocale considerata la sua durata per più di cinque secoli. Nuovi poli di potere politico sono emersi nei centri economici che stanno emergendo con forza. Su tutti, quelli asiatici, come Cina, India, ma anche sud-est asiatico, e quelli in America Latina, come il Brasile e l’Argentina. Nel caso dell’Asia si dovrebbe parlare di paesi ri-emergenti, dal momento che i territori corrispondenti agli attuali Stati di Cina e India durante il XVI secolo erano caratterizzati dalla presenza di vasti imperi, economicamente e militarmente più avanzati e anche più popolosi rispetto ai regni europei dello stesso periodo.

Oggi numerosi storici s’interroggano su quali siano state le motivazioni che hanno spinto piccoli regni europei, spesso divisi da sanguinosi conflitti religiosi, a cercare nuove rotte commerciali che hanno reso possibile le scoperte geografiche, fondamentali per la loro successiva egemonia a livello mondiale. Numerosi importanti strumenti della vita sociale moderna dell’Europa provenivano dall’Asia, in particolare dalla Cina, se si considerano per esempio le Quattro Grandi Invenzioni (bussola, polvere da sparo, carta e stampa). Perché le grandi ed epocali scoperte geografiche non furono ad opera dell’Impero Cinese, più popoloso e politicamente stabile rispetto ai piccoli regni europei e con a disposizione una potente e moderna flotta? La storia è andata in una direzione diversa e alcuni secoli successivi gli stessi paesi europei e gli Stati Uniti sfidarono la sovranità economica e l’integrità territoriale della Cina, durante il XIX secolo.

Oggi l’Asia potrebbe tornare a ricoprire un ruolo di primo piano nel mondo, soprattutto grazie all’ascesa della Cina a livello regionale e globale. Pechino rappresenta ora la seconda più importante economia e per questo motivo la strategia in politica estera del rieletto presidente Barack Obama sarà maggiormente focalizzata sull’area Asia-Pacifico. Tuttavia il perno statunitense verso l’Asia ridurrà probabilmente l’influenza di Washington in altre aree del mondo, data la superiore importanza strategica di questa regione. L’area dell’Asia-Pacifico presenta diversi aspetti di dinamismo economico ed è la regione dove aumenterà la concorrenza tra diversi attori globali e locali.

La Cina sta emergendo come una potenza di primo piano a livello globale ed è il paese più importante nel settore manifatturiero, nella produzione e nel commercio. Pechino ha oggi importanti investimenti in tutto il mondo, in particolar modo in Africa, Asia Centrale, Sud-est asiatico e America Latina. Vi sono ancora naturalmente degli aspetti negativi nella crescita cinese, come ad esempio le diseguaglianze sociali tra la popolazione delle grandi città e delle campagne e milioni di cinesi vivono ancora al di sotto della soglia di povertà. Ma certamente non si può negare la spettacolare ascesa cinese, mediante le misure adottate dai leader politici durante gli ultimi tre decenni che hanno aiutato il paese a superare in parte le sfide e gli aspetti negativi che caratterizzano la società contemporanea cinese.

Anche l’India ha evidenti squilibri sociali e diseguaglianze interne, così come un’elevata presenza di popolazione povera. Inoltre, ha risentito in maniera superiore rispetto ad altri paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) gli effetti della crisi economica globale, un fattore rispecchiato dai deludenti risultati economici del 2012 rispetto agli anni precedenti. Tuttavia, l’India ha un potenziale significativo come paese emergente e può ambire ancora a diventare un importante centro del nuovo ordine mondiale multipolare. Un fattore importante per l’India è capire se adotterà un sistema capace di riconoscere e sfruttare le potenzialità delle propria antica civiltà e cultura, piuttosto che importare semplicemente modelli economici e sociali dall’estero, in particolare dall’Occidente. L’India dovrà anche affrontare efficacemente i propri problemi politici interni, spesso basati sullo scontro tra i numerosi e differenti caratteri identitari del paese, un prezzo del sistema democratico indiano, ma talvolta un freno alla sua crescita.

Cina e India diventeranno, inoltre, due potenze fondamentali per la stabilità dell’Asia, malgrado una continua competizione tra loro, soprattutto nell’Oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale. Il rapporto sino-indiano è contraddistinto da una duplice situazione di competizione geopolitica e di forte cooperazione economica in diversi settori. In ogni caso, il sistema rappresentato dal triangolo Stati Uniti-Cina-India, con la possibile inclusione della Russia, segnerà la politica internazionale futura dell’Asia.

Nonostante tutto ciò, il declino occidentale e l’emergere di un nuovo ordine definito da molti come multipolare è evidente dall’ascesa di altri centri di potere, non solo in Asia, ma anche in altri continenti, come l’America Latina. In questo caso, l’esempio più importante è offerto dal Brasile. Brasilia si è fatta promotrice di una politica d’integrazione regionale economica, favorendo il consolidamento di organismi locali come il Mercato comune del sud (Mercado Comun do Sur – MERCOSUR) tra Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Venezuela; e più recentemente l’Unione delle nazioni sud-americane (Union de Naciones Sudamericanas – UNASUR, Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Venezuela, Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Cile, Guyana e Suriname) e la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribenos – CELAC, 33 paesi). L’azione in politica estera dei governi dell’ex presidente Luiz Inacio Lula da Silva e dell’attuale presidente Dilma Vana Rousseff ha comportato un sempre più decisivo ruolo del Brasile non solo a livello regionale, ma anche globale, con un aumento dell’influenza brasiliana soprattutto in Africa e Asia mediante una serie di cospicui investimenti. Il Brasile fa parte assieme a Russia, Cina, India e Sudafrica del BRICS e sta cercando di sviluppare una politica comune a riguardo di differenti questioni globali, in particolar modo economiche, commerciali e ambientali. Questa politica è presente anche in altri forum, come il BASIC (Brasile, Sudafrica, India, Cina) e l’IBSA (India, Brasile, Sudafrica).

Ci sono altri centri importanti di potere, ad esempio nel Sud-est asiatico, dove paesi come l’Indonesia e il Vietnam stanno aumentando la loro influenza regionale. A questo proposito, si può fare riferimento a un’altra sigla includente alcuni paesi che potrebbero avere un ruolo fondamentale nel futuro, ovvero il CIVET (Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia). Per quanto riguarda il BRICS, questo è un importante raggruppamento di economie che si trovano più o meno allo stesso livello dal punto di vista economico e che intendono presentare delle istanze unitarie alternative al tradizionale sistema di potere rappresentato dai paesi occidentali. Organismi come il G7 o il G8 non possono più farsi promotori di una politica che possa decidere efficacemente per tutti. Non rappresentano più l’attuale sistema di potere. Durante il 2012 c’è stato un tentativo da parte dei paesi BRICS volto a favorire una riforma dell’attuale sistema rappresentativo all’interno del Fondo Monetario Internazionale, durante l’ultimo incontro del G20 avvenuto a Los Cabos in Messico nel mese di giugno. Questo è stato un vertice molto importante perché le economie dei paesi emergenti hanno destinato miliardi di dollari al fondo d’emergenza del FMI per fornire un sotegno aggiuntivo alle economie dell’eurozona nel caso di un aggravamento della crisi del debito. Le nazioni BRICS hanno invitato il FMI a far passare le riforme delle quote concordate nel 2010, al fine di riconoscere il contributo delle economie emergenti ed incrementare la rappresentanza del BRICS nel sistema di votazione. La configurazione attuale del sistema di voto all’interno del FMI è anacronistica e non riesce a riflettere gli enormi cambiamenti nell’economia globale avvenuti nel corso degli ultimi decenni.

Un altro importante fattore contemporaneo è rappresentato dall’emergere di raggruppamenti geopolitici e geoeconomici. Non solo il BRICS, ma anche l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN – Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia, Brunei, Myanmar, Cambogia, Laos e Vietnam); l’Unione Eurasiatica (Russia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan); l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS – Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan; con la probabile futura inclusione di India, Pakistan, Iràn e Afghanistan, oggi membri osservatori); l’Associazione dell’Asia Meridionale per la Cooperazione Regionale (SAARC – Sri Lanka, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan, Bangladesh e Afghanistan); e i già menzionati UNASUR, MERCOSUR e CELAC in America Latina. Questo nuovo tipo d’approccio geopolitico mette in discussione vecchi modelli focalizzati solamente su entità a base nazionale e offre nuove opportunità per affrontare efficacemente questioni di carattere economico, sociale e politico del mondo contemporaneo. Questo sistema in cui i processi d’aggregazione sono evidenti porta alla strutturazione di quello che è stato definito come ordine mondiale multipolare o multicentrico dove è messo in discussione il tradizionale dominio dei paesi occidentali. In questo quadro, un sistema multipolare con organizzazioni di aggregazione regionale potrebbe essere efficace anche per favorire un mondo maggiormente equo e offrire l’opportunità per il dialogo tra le diverse civiltà mondiali, invece che uno “scontro tra civiltà”, vista l’assenza di un unico potere egemone o di due/tre centri d’influenza ideologica come durante la Guerra Fredda.

Un modello particolare e concreto che può essere offerto a riguardo della coooperazione regionale concerne l’attuale politica estera dell’India, la quale intende rafforzare la sua presenza geopolitica in Asia e potenzialmente anche a livello globale. L’azione di Nuova Delhi è fondamentale ad esempio in organismi quali il SAARC, nel quale il paese asiatico ha cercato di presentare una politica erede della cosiddetta “dottrina Gujral” degli anni ’90, il cui promotere, l’allora primo ministro I.K. Gujral, è deceduto lo scorso dicembre. Questa politica è caratterizzata da un “accomodamento unilaterale” nei confronti dei piccoli paesi dell’Asia Meridionale, senza aspettarsi qualche forma di reciprocità in cambio. L’obiettivo principale è lo sviluppo generale della regione e la sua stabilità, una condizione essenziale per la crescita della stessa India come potenza matura e rispettata in Asia. Questa politica può essere di difficile realizzazione per quanto riguarda l’approccio indiano nei confronti del Pakistan, il limite principale di questa teoria geopolitica. Ma, considerando la situazione dell’Asia Meridionale degli ultimi vent’anni, ha garantito la stabilità nella regione e può ancora rappresentare un’importante politica per favorire la crescita sociale ed economica di tutta l’area.

Un altro concreto esempio di cooperazione regionale intrapreso dall’India, seguendo la tradizionale strategia geopolitica del “Guardare ad est”, è connesso ai suoi rapporti con gli Stati del sud-est asiatico. La connessione tra l’India e l’ASEAN è emersa fortemente nell’ambito dell’ultimo summit India-ASEAN dello scorso novembre in Cambogia e in occasione dell’incontro Commemorativo India-ASEAN di dicembre a Nuova Delhi. Dopo la firma di un accordo di Libero Scambio (Free Trade Agreement – FTA) negli investimenti e nei servizi tra l’India e paesi dell’ASEAN, sarà possibile un maggior dialogo a livello politico, così come favorire e rafforzare la cooperazione in ambito difensivo e in operazioni di lotta al terrorismo e anti-pirateria. L’FTA tra l’India e l’ASEAN potrebbe portare a un aumento del commercio bilaterale tra l’India e il Sud-est asiatico, raggiungendo potenzialmente 200 miliardi di dollari dal 2022 e permettere l’avvio di un dialogo maggiormente concreto in campo economico anche con altri paesi asiatici, ad esempio quelli facenti parte della Regional Comprehensive Economic Partnership, un organismo che include Australia, Cina, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda. Sono in corso inoltre trattative per aumentare la collaborazione nell’ambito delle comunicazioni e nel miglioramento delle infrastrutture regionali; in questo senso si può fare riferimento ai progetti di collegamenti stradali e ferroviari che unificherebbero l’India al Vietnam, via Myanmar, Tailandia, Laos e Cambogia, e ai piani concernenti la costruzione di un’autostrada che colleghi Singapore a Nuova Delhi, passando per Kuala Lumpur, Ho Chi Minh, Phnom Penh, Bangkok, Vientiane, Yangon, Mandalay, Dhaka e Kolkata.

Vi sono evidenti tentativi nel favorire la cooperazione e l’integrazione economica nella regione, un processo che coinvolge anche la Cina, le cui potenzialità sono enormi per il numero di paesi coinvolti, forza delle economie e peso di una popolazione numerosa. Come affermato dal primo ministro indiano Manmohan Singh «l’India e l’ASEAN rappresentano assieme una comunità di 1,8 miliardi di persone, un quarto della popolazione mondiale» e dunque «è naturale che l’India debba attribuire la massima priorità al suo rapporto con l’ASEAN». Inoltre il rafforzamento del rapporto India-ASEAN permetterà una sorta di equilibrio regionale, vista la conteporanea ascesa della Cina e il suo legame con gli stessi paesi del Sud-est asiatico, di gran lunga superiore rispetto a quello indiano (nel 2011 il commercio della Cina con l’ASEAN era pari a 363 miliardi di dollari). Le tensioni legate al controllo del Mar Cinese Meridionale tra Pechino e alcuni paesi dell’ASEAN potrebbero incoraggiare la presenza indiana nell’area e favorire una situazione di maggiore equilibrio fra i due giganti asiatici che potrebbe però portare anche a una maggiore competizione tra loro.

In questo quadro contemporaneo l’Europa si trova in un’evidente situazione di declino. Come deve comportarsi il Vecchio Continente di fronte all’ascesa di nuovi centri di potere? La classe media di paesi come Cina, India e Brasile non è certamente ai livelli di quella europea, se consideriamo i salari o alcuni elementi connessi al tenore medio di vita. È evidente tuttavia che quest’ultimo è in graduale aumento nei singoli paesi presi in considerazione e che ci troviamo in una fase di redistribuzione della ricchezza a livello mondiale. La disoccupazione giovanile in Europa è in aumento, in particolare nei paesi meridionali, soprattutto in Portogallo, Spagna, Grecia e Italia. Vi è una situazione generale di scarsa crescita del PIL se confrontata con quella di Cina, India e Brasile, così come un aumento della popolazione anziana che creerà futuri squilibri sociali. Gli abitanti europei durante la Prima Guerra Mondiale rappresentavano il 25% della popolazione mondiale, oggi sono scesi all’11% ed è previsto che calino del 3-4% nei prossimi vent’anni. Affinché l’Europa possa contare ancora nel futuro contesto mondiale, una possibile soluzione potrebbe essere quella di favorire una maggiore integrazione politica a livello comunitario, anche se questa opzione potrebbe far crescere un comprensibile malcontento per la perdita della sovranità nazionale. Oggi però i paesi dell’eurozona hanno già perso la propria sovranità economica poiché decisioni fondamentali di carattere economico sono state suggerite e predisposte a livello europeo, piuttosto che dalla tradizionale attività dei Parlamenti nazionali. Un problema basilare dell’eurozona è rappresentato dal fatto che è stata decisa prima l’unificazione di carattere economico rispetto a quella di tipo politico e i diversi Parlamenti nazionali hanno evidenti difficoltà nel potere agire in maniera autonoma.

Per fronteggiare le sfide poste dal nuovo sistema multipolare e dagli attori emergenti come Cina, India e Brasile, è necessario che l’Unione Europea vada avanti verso una maggiore integrazione di carattere politico. Le istituzioni europee dovrebbero però cercare un giusto, seppur complicato, equilibrio tra i diversi membri. Così come una maggiore partecipazione popolare alla costruzione dell’architettura europea e una nuova politica che affronti il graduale diminuire della popolazione autoctona. A livello mondiale l’Europa dovrebbe cercare di presentare una politica estera maggiormente unitaria e autonoma da centri di potere esterni, un elemento che è sovente mancato negli ultimi anni poiché sono stati favoriti interessi particolari piuttosto che quelli dell’insieme comunitario. Il rischio è che a seguito di un’implosione futura dell’Europa, i diversi membri nazionali si trovino impreparati di fronte alle sfide poste dal nuovo sistema multipolare.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :