“L’Europa è soprattutto il pensiero di ciò che potrebbe essere, meno le mancanze che le vengono attribuite. È quasi nulla. Un errore elegante…
Tutt’al più, è quella macchia capricciosa sulla carta geografica, una fra le tante”.
Il belga Koen Peeters cerca però di scrivere – parole sue - “una sorta di Great American Novel sotto mentite spoglie”. Un libro che riesca a comprendere l’Europa nella sua totalità, come un’unica terra. Ma, dove la frammentazione è la regola, la formula narrativa non può che essere quella della frammentazione. Così questo Grande Romanzo Europeo è un insieme di appunti di viaggio, piccoli aneddoti, atmosfere, voci e colori dei principali luoghi del Vecchio Continente. Incontri smozzicati. Conversazioni fugaci con persone che “non conosci e non conoscerai mai”. Segreti inconfessabili rivelati a perfetti sconosciuti. Suggestioni, donne e sogni lussuriosi. L’intenzione di svelare quel che secondo l’autore è “la bellezza dell’amministrazione, l’erotismo del mondo degli affari di Bruxelles”.
Presente e passato si intrecciano, così, tra angosce ultracontemporanee – l’undici settembre, il terrorismo, la crisi economica, i licenziamenti di massa – e il passato tormentato della vecchia Europa. Lo spauracchio semprepresente dell’ultima guerra mondiale, l’orrore inconcepibile – eppure concepito – dell’Olocausto e dell’atrocità razionalizzata. Un passato che spunta dietro ogni angolo, incarnato dal personaggio di Theo, cosmopolita, ultrapoliglotta, reduce dalle persecuzioni naziste. Suo padre che si suicida dopo i primi violentissimi pogrom nazisti, che affonda un taglierino a fondo nel proprio cuore. Theo che alla fine – dopo i primi licenziamenti – vende la propria azienda. Incapace di reggere lo tsunami dei cambiamenti economico-finanziari. E che fino alla fine si vanta di conoscere personalmente tutti e cento i propri dipendenti.
Interessante commistione, questo raccontare insieme l’Olocausto e il mondo degli affari. Molto significativa l’ambientazione – tra manager, esperti di marketing e businessmen – probabilmente il migliore punto di vista per capire la società contemporanea. Peccato solo per l’eccessiva lunghezza del romanzo. Trecentocinquanta pagine, per un progetto del genere, sono veramente troppe. Una formula così frammentaria, aneddotica, avrebbe funzionato meglio per un volume più snello. E infatti i capitoli totalmente inutili sono francamente un po’ troppi. Però le intuizioni ci sono. Non mancano le belle scene, i bei dialoghi, le idee fulminanti. Anche se l’opera lascia un po’ di amaro in bocca, come un qualcosa di incompiuto – che forse era proprio l’intenzione dell’autore, chissà.
Le foto ritraggono lo stand della :due punti edizioni all’edizione 2010 del Salone Internazionale del Libro di Torino