Antonio Lettieri da Eguaglianza e Libertà
Nell’antico teatro greco, la tragedia era caratterizzata dall’intervento del fato che incombeva sui comportamenti e le azioni degli uomini, decretandone l’esito al di là delle intenzioni e dei comportamenti, per quanto ragionevoli potessero essere. Qualcosa del genere accade non solo nella martoriata Grecia dei giorni nostri, ma in Europa o, più precisamente, in quella parte dell’Eurolandia investita dalla crisi del debito.
Abbiamo visto apparire sulla scena buone intenzioni e scelte ragionevoli prima con le decisioni della BCE del 6 settembre, poi con la pronuncia della Corte costituzionale tedesca che ha decretato la legittimità, dal punto di vista della Germania, del Meccanismo europeo di stabilità (ESM) e del Patto di bilancio (Fiscal compact).
Come sappiamo, la BCE sotto l’abile direzione di Mario Draghi e con l’opposizione dei falchi della Bundesbank ha deciso di intervenire nei mercati finanziari con acquisti illimitati di bond a scadenza da uno a tre anni in modo da porre un freno alla speculazione, dando così respiro agli stati in difficoltà. Una scelta che pure intervenendo in ritardo e quando grande parte dei buoi è fuggita dalla stalla, ha aperto una prospettiva di inversione della tendenza rispetto all’aggressione dei mercati finanziari, in particolare nei confronti di Spagna e Italia. Una decisione lungamente invocata dagli economisti di mezzo mondo e, in particolare, dal governo americano.
Tutto bene, dunque? La risposta rimane sospesa, perché le condizioni per giovarsi di questa medicina rischiano di essere fatali. L’intervento della BCE è, infatti, sottoposto alle decisioni del Fondo salva-stati (EFSF) e del Meccanismo europeo di stabilità (ESM). I paesi che vorranno avvalersi dell’intervento della BCE dovranno sottostare alle condizioni fissate in un Memorandum d’intesa, tendente a ricalcare lo schema generale di disciplina di bilancio (“austerità”) e riforme strutturali, a suo tempo imposti a Irlanda, Grecia e Portogallo.
Le condizioni di austerità e di riforme strutturali (che non finiscono mai, come gli esami nella famosa commedia di Eduardo) dovranno essere riconfermate, per molti versi aggravate, soprattutto sottoposte al controllo dell’asse Francoforte-Bruxelles con l’assistenza del Fondo monetario internazionale. In parole semplici, anche se esprimono un passaggio sgradevole, si tratta del commissariamento di due dei quattro maggiori paesi dell’eurozona.
In altri termini, si tratta della continuazione di una politica deflazionistica con consumi inesorabilmente in riduzione e investimenti pubblici e privati inesistenti, il cui esito oscilla fra la recessione in corso e la prospettiva di una lunga stagnazione.
Ora se è utile che la BCE intervenga sui mercati per frenare la speculazione sui titoli con scadenza ravvicinata, rimane che la maggior parte del debito italiano, nella misura di duemila miliardi di euro, ha scadenze più lunghe, fino a cinque e dieci anni. Un debito il cui rinnovo non può che essere operato sui mercati finanziari che ne valutano il rischio e ne determinano lo spread in relazione alla capacità di crescita del paese debitore, essendo questa la condizione della sua solvibilità a medio e lungo termine. Sennonché, come ha scritto George Soros in un recente saggio della New York Review of Books, riprodotto dal Corriere della Sera, “le condizioni imposte ai paesi debitori del Fondo europeo di stabilizzazione (EFSF) li spingono verosimilmente verso una trappola deflazionista”. Per Soros, l’eurozona è incamminata verso un doppio standard monetario con la Germania da una parte, e i paesi “periferici” dall’altra. “Se la Germania lasciasse, l’euro (dei paesi periferici) si svaluterebbe. Il debito rimarrebbe invariato in termini nominali. I paesi debitori riguadagnerebbero competitività, riducendosi il prezzo delle loro esportazioni, mentre più costose diverrebbero le importazioni”.
In sostanza, la Germania ha davanti a sé due strade. Può impegnarsi per la continuazione dell’’euro o può decidere di uscirne. Attualmente mantiene i piedi in due staffe. Non a caso la grande stampa tedesca si è senza riserve schierata a favore di Jens Weidmann, prendente della Bundesbank, che si è platealmente opposto alle scelte della maggioranza della BCE. Ma Angela Merkel, una cancelliera capace di muoversi con più abilità di quanto si supponga, si tiene aperte entrambe le porte. Sostiene Mario Draghi, in nome dell’’indipendenza della BCE, senza sconfessare il presidente della Bundesbank, suo assistente fino a pochi mesi or sono. Cosicché la cura della BCE rischia di risolversi in una panacea che non cura la malattia, ma ne affievolisce temporaneamente i sintomi.
Tornando all’iniziale metafora del fato, bisogna introdurre una distinzione. Nella tragedia greca il fato è imperscrutabile e il suo corso s’impone inesorabilmente anche agli dei. Ne discende che una soluzione può esserci solo tramite l’intervento di un “deus ex machina”. Ma anche questo dovrebbe materializzarsi scendendo dai cieli di Berlino.
Se l’analisi di Soros ha un fondamento – ed è difficile negarlo – bisognerebbe che Mario Monti rappresentasse l’Italia – il più importante dei paesi “periferici” in crisi – di fronte all’ambigua politica della Germania invece di rappresentare Berlino in Italia. Ma, disgraziatamente, siamo imprigionati in un dibattito di distrazione di massa sul futuro Monti-bis, e, in alternativa, sulla necessità che chiunque lo sostituisca (per esempio, Bersani) ne continui il programma, verosimilmente reso più gravoso e socialmente disastroso dal probabile prossimo memorandum d’intesa imposto a Spagna e Italia dalla BCE e dalla Cancelleria tedesca.
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