Erano dati di cui l’Fmi era probabilmente già a conoscenza, visto che proprio due settimane fa, contraddicendo vent’anni di “consigli” e ricette sballate, ma sempre volte a contrarre welfare e diritti, si è accorto che queste misure non pagano e sono controproducenti. Di più: il fatto che i vari Paesi in crisi abbiano rapporti debito- Pil così diversi, tanto che la Spagna pur essendo in piena tempesta ha numeri che l’Italia non si sogna da trent’anni e certamente simili se non inferiori a quelli della Germania, sta a dimostrare ancora una volta l’artificiosità e la strumentalità della crisi del debito. Il fatto è che economie molto diverse tra loro non sono riuscite a darsi un’unione politica, ma solo un’unione monetaria che in queste condizioni si è rivelata fallimentare, come d’altro canto era stato preconizzato. Non potendo agire sullo strumento monetario che è la rappresentazione sintetica di un’economia, nè d’altro canto potendo mettere in comune perdite e profitti, la crisi del debito esprime a questo punto solo le dinamiche di egoismi nazionali rafforzati e non smussati dalla moneta unica.
Tuttavia una moneta fin troppo debole per i Paesi forti del continente e troppo forte per quelli deboli ha incontrato il favore ideologico di molto “europeismo” fasullo sotto cui si nasconde l’ideologia liberista, soprattutto nella sua versione finanziaria: non potendo agire sulla moneta per dosare il mix di inflazione, competititiva, importazioni ed esportazione, per molti grandi Paesi si è scelta la strada obbligata della precarizzazione, della dissoluzione del welfare, dell’erosione dei diritti e delle tutele come succedaneo della svalutazione, distruggendo così il mercato interno, senza però riuscire a compensare con quello esterno. Questa “diminuzione della democrazia” è ciò che viene predicato da più di trent’anni dai vari circoli liberisti di cui il nostro premier è stato tra i membri più attivi, e ha individuato nell’euro, nella sua contraddittoria esistenza di moneta senza banca centrale e nella superficialità con cui si è scatenata la corsa all’adesione , lo strumento principe per ottenere questo risultato. Non c’è che dire, la lotta di classe al contrario ha avuto successo, come del resto il premio nobel Robert Mundell riconosce apertamente: l’euro è economicamente una follia, ma politicamente un toccasana perché espropria gli stati della gestione economica.
Queste cose mi è capitato di dirle molte volte e mi spiace di dover ancora una volta annoiare chi legge, ma visto che ormai ci troviamo di fronte a dati che sono l’espressione certificata di un fallimento globale e visto che persino il fondo monetario non può che arrendersi di fronte alla realtà, mi chiedo come mai tutto il milieu politico e intellettuale continui imperterrito a pensare negli stessi termini di un anno fa, quando Monti appariva il salvatore e nell’ equilibrio incerto sull’orlo del dirupo non si osava mettere in dubbio ciò “che voleva l’Europa” ossia la Bce, la Merkel, i circoli finanziari e quella tetra compagnia di Bruxelles sulla quale non mi voglio esprimere per non correre il rischio di travalicare. Adesso è chiaro che la via intrapresa è sbagliata, che il montismo, con quel un misto di arrendevolezza, ideologismo, astrattezza, non disgiunto dalla consapevolezza dei favori dovuti al sistema politico e ai potentati economici, non ha più alcun senso. Del resto la legge sulla corruzione, quella bavaglio in corso di approvazione, ma anche l’ultima manovra onerosa per i cittadini meno abbienti, con vere e proprie carognate che costringono allo sciopero della fame i malati di sla, ma persino negativa per i conti, sono lì a narrare l’inadeguatezza ontologica del governo tecnico.
Adesso ufficialmente non si può più far finta che l’agenda Monti sia un toccasana e un’ancora nel tifone, che le sue misure e la sua iniquità siano necessarie: anzi simulare qualcosa che la realtà smentisce, significa di fatto aderire a un progetto politico di “riduzione democratica” da attuare mediante l’impoverimento, come del resto accade in tutta la periferia europea. Per lo meno i dati Eurostat e anche le conclusioni del Fmi spazzano via un po’ del colossale accumulo di ambiguità dietro la quale si erano nascosti in molti: sull’agenda Monti sono segnate solo le pagine della corrività opaca e del declino.