Sul Tfr in busta abbiamo già espresso la nostra opinione che per semplificare riassumiamo con la famosa espressione di Fantozzi riguardo il film La corazzata Potemkin: “E’ una cagata pazzesca”; quello che vogliamo evidenziare oggi è che i governanti italiani e i loro lacché quando si tratta di peggiorare le condizioni dei lavoratori e addirittura togliere diritti sacrosanti già acquisiti ci spiegano che siamo gli unici al mondo ad avere certi “privilegi”. Sì! Perché state attenti, quando hanno intenzione di mettercela in quel posto, i diritti acquisiti, che ci differenziano dagli schiavi, diventano privilegi.
Così è stato per l’articolo 18, che ci salva dai capricci del padrone che preferisce un lecchino incompetente al posto tuo che magari non lavori a testa bassa e ti rifiuti pure di fare straordinari non pagati allo scopo di fargli acquistare l’ultimo modello della Porsche che ancora manca alla sua collezione di auto costose; così è per il Tfr. “In nessun altro Paese al mondo hanno l’articolo 18! Neppure In Germania!”, “In nessun altro Paese hanno la liquidazione! Neppure in Germania”. Tranne, poi, scoprire che i lavoratori tedeschi non hanno alcun bisogno dell’articolo in questione perché le rappresentanze dei lavoratori siedono direttamente nel consiglio d’amministrazione delle aziende e di conseguenza prendono le decisioni in comune. E tranne, poi, sapere, che i lavoratori in Germania percepiscono salari che se non sono il doppio di quelli italiani, poco ci manca, anche tenendo conto dei 50/80€ in più che si percepirebbero in busta con la liquidazione diluita mensilmente. Senza parlare, poi, che siamo quelli che paghiamo più tasse di tutti.
Insomma che quando si tratta di peggiorarci le condizioni ci dicono di guardare le altre nazioni, distorcendo comunque la realtà dei fatti. Mai una volta, che, se davvero così fosse – che noi abbiamo più diritti degli altri lavoratori – i nostri governanti ne siano lieti, considerato che l’evoluzione della società, per quello che mi riguarda, non può essere un ritorno all’Ottocento.
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L’evoluzione della società dev’essere un ritorno all’Ottocento?