L’ happy hour delle onlus

Da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Qualche giorno fa nel commentare i riti di passaggio che si stanno compiendo a San Patrignano, il Simplicissimus lo citava come rappresentativo modello di “business costruito sulla pelle dei sofferenti, emblema di carità pelosa e settaria, insomma un esempio di scuola delle sovrastrutture ideologiche del liberismo”.

Quello stesso giorno si aveva notizia della morte di Francesco Cardella avvenuta a Managua (Nicaragua) dove era riparato dopo che su di lui si erano addensati sospetti in relazione all’uccisione di Mauro Rostagno a Valderice. Rostagno era stato chiamato proprio da Cardella a Trapani nel 1981, per collaborare alla gestione di Saman, centro per il recupero di tossicodipendenti. E nelle campagne trapanesi era stato ucciso sette anni dopo con una fucilata. La sentenza che aveva discolpato Cardella, amico storico di Craxi, aveva lasciato irrisolti molti enigmi su questo discusso personaggio noto per aver gettato alle ortiche la vocazione al porno dopo l’incontro col santone Bhagwan Raynesh, per dedicarsi all’accudimento “di governo”. E non aveva fatto piena luce su quella esperienza, sulle misteriose commistioni, che avevano portato al delitto alla conclusione tragica della piccola utopia di Rostagno.

De Rita nell’indagare su miserie e fasti del volontariato e del terzo settore ha detto una volta che le esperienze sociali del dopoguerra si sono “spente” e hanno cambiato volto perché alla primordiale attenzione alla comunità si è sostituita l’attenzione allo sviluppo. Non mi permetto di fare un uso improprio di nessuna scienza nemmeno delle più inesatte e quindi invece di ricorrere alla sociologia, mi rifarò all’esperienza personale. Il crepuscolo delle militanze politiche tradizionali, di massa o minoritarie, il fallimento che ha sconfinato nella più disdicevole catastrofe corrotta e lottizzata della cooperazione allo sviluppo, ha portato tanti all’adesione a organizzazioni di volontariato e assistenza, come risposta di fronte ai dilemmi posti dai movimenti sociali che non avevano trovato soluzione e alla disfatta delle ideologie del Novecento. Così si è allargato e rinvigorito quel fenomeno, un tempo limitato a dame benefiche e anime belle, a beghine e eserciti della salvezza, passando dalla carità più o meno pelosa al no profit, con un impegno inizialmente ingenuo, disinteressato e coraggioso, di piccoli gruppi fortemente motivati nei confronti non più della cosa pubblica e dell’interesse generale quanto invece dei bisogni dei marginali, dei penalizzati dalle condizioni sociali e dal profitto, dall’ingiustizia e dalla sorte.

Eppure via via che la società aveva più bisogno di questi “sentimenti” e di queste azioni: i ricchi si fanno sempre meno numerosi e più ricchi dissipati avidi sconsiderati aggressivi distruttivi e egoisti e i poveri sempre più numerosi disperati rabbiosi come succede a chi non ha nulla da perdere, via via a fronte dlla coraggiosa resistenza di soggetti che ancora credono e operano nel “fare bene”, molte invece scivolano nella parodia della democrazia, nella burocratizzazione, del narcisismo. Diventano oggetti della cultura parassitaria dell’assistenzialismo oppure pezzi di ingranaggio del primato del business che tramite fondazioni, banche, Confindustria, Rotary dalla tasse, aziende sono andate all’arrembaggio per scaricare e da qualche coscienza non proprio innocente un debito sociale. Compromessi, clientelismo, presenzialismo, dominio dei funzionari, protezionismo delle buone cause e troppi illustri protettori, arbitrarietà hanno eroso credibilità, autorevolezza e potenza.

E se gli italiani si consolano della loro miseria già cominciata con qualche sbrigativa misura misericordiosa e compensativa, mandare un sms e scegliere tra i sempre più improbabili destinatari dell’8 o del 5 per mille, resta il malessere per l’occasione perduta o confiscata dal mercato che ha condizionato anche questo settore, dai media interessati solo alla pietà spettacolare, alla scuola disinteressata al rifornimento di buoni esempi, alla cultura preoccupata di scendere sul terreno retorico della compassione e intenta al suo apparire più che al suo essere e intervenire. Per non parlare della Chiesa che senza tentennamenti ha preferito alla teologia della liberazione il business dalla carità, sempre più esigua e sempre più condizionata dalla ricattatoria imposizione di modelli di comportamento o sottoposta alla pressione morale del suo monopolio salvifico.

Si era illusorio pensare che tra l’antico messaggio cristiano, la verde novella ecologista, tra le istanze della pace tra gli uomini e degli uomini col loro mondo, ci si salvasse dal non muoversi al ritmo del potere e del profitto, dalla tentazione di dedicarsi all’azione senza pensiero, dalla specializzazione senza visione della complessità, dal dinamismo senza strategia, dalla crescita senza sostenibilità.
E è tremendo che l’apocalisse della ragione, in questo mondo di fantascienza realizzata e di operosa barbarie intenta a attuare nuovi insondabili sistemi di dominio esercitati tra consumo e consenso dai paesi ricchi sui quelli poveri che soggiacciono in nome di una speranza illusoria o subiscono per impotente povertà, si è tremendo che sia così circoscritta e timida e marginale quella lucida,radicale generosità, contagiata da troppe risposte di consumo, vitalismo, approssimazione, a quelle poche antiche domande, sempre le stesse, che sono poi il sale della terra e l’alimento del pensiero.


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