Girando per il web nelle ore scorse mi sono accorto di una cosa in un certo senso molto triste, una sorta di bagarre che ha come oggetto e "campo di battaglia" l'hip hop italiano.Ora, non so quanti tra i miei lettori ascoltino hip hop, anzi, rap. Non so quanti considerino questo genere un (non) genere, (non) musica e, soprattutto, quanti siano disposti a parlare di hip hop come di cultura. Di certo qui in Italia è difficile. Di certo qualcuno potrebbe obbiettare che, se di cultur si tratta, di cultura importata si parla, quindi di qualcosa che non ci appartiene, qualcosa di troppo lontano da noi per poter essere metabolizzata, fatta nostra. Cosa non vera visto e considerato che in altri paesi, europei (Francia, Germania) e non (Giappone) l'innesto è avvenuto con successo da almeno un decennio. Probabilmente il limite qui da noi è la mancanza di un reale melting pot ma non voglio lanciarmi in simili considerazioni, troppo vaste per un post su un blog.Quello di cui voglio parlare è: esiste un rap italiano? Per alcuni sì e per altri no. Il punto di partenza di tutto è stato una frase infelice inserita in uno "spot" che pubblicizza un film sull'hip hop, un film americano dal titolo The Art of Rap, diretto dall'artista/attore/produttore Ice T, uno della vecchia scuola americana. Documentario (che spero di recensiere al più presto) sulla cultra Hip Hop nella sua terra natale, che oltreoceano ha cercato di conciliare nuova scuola e vecchia scuola e qui da noi ha acceso un dibattito: gli anni '90 sono stati l'età dell'oro per l'hip hop in Italia o un semplice periodo di gestazione che ha portato alla nascita del "prodotto" vero, maturo, in questa prima decade del 2000? Come dire: ha un qualche valore l'old school italiana o è semplicemente stato un periodo preparatorio alla new school che sta mettendo i primi denti proprio in questi anni?
Non voglio entrare nella polemica. Amo l'hip hop perchè è un genere che ho seguito e una cultura di cui, anche se ai margini, ho fatto parte. La spinta a scrivere i primi versi e i primi racconti. Proprio per via di questo amore ma anche per l'estranietà verso uno sviluppo che non ho vissuto e che non mi ha entusiasmato, non voglio dire quello che penso a proposito di una polemica che secondo me non ha fondamento. Sterile perchè non porta a nulla. Lo scambio e lo scontro di idee deve essere un moto che generi qualcosa, non che risucchi quello che già esiste centrifugandolo e demolendolo. Quello che più mi preme è capire se un genere musicale di nicchia ha la stessa importanza di un genere di massa. Se si può parlare di successo se e solo se un prodotto vende o quando può definirsi semplicemente di qualità, anche solo per chi ne apprezza il gusto. Il rap in Italia negli anni 90 non era di certo un prodotto venduto. Più che altro era a uso e consumo degli addetti ai lavori e pochi altri. Ma questo lo rende peggiore di un qualcosa che a scapito della qualità ha vissuto una massificazione che l'ha portato alle orecchie di gente che magari non ne apprezza le sfumature?Il problema è che qui da noi si confonde troppo spesso la quantità con la qualità. La gente pensa che se una cosa piace a milioni di persone allora deve per forza essere buona. Nessuno pensa che l'industria (l'editoria) veicoli i gusti: se ad un affamato darai da mangiare solo della merda, alla fine quello ti dirà che è buona. In questa occasione lo spunto è stato l'hip hop, ma il discorso si può allargare a tutto: a tutta la musica, al cinema, alla letteratura.Il rap anni novanta sarà anche stato di nicchia, ma questo non vuol dire che non fosse professionale e che non fosse bello. Che fosse meno professionale e meno bello di quello di adesso. Solo perchè in questi anni sono in 1000 ad ascoltarlo e prima erano in 10, non significa che quello di ora sia migliore. E' passato un decennio. Sono cambiate molte cose. Qui continuano a trattare questo genere come un non genere ("non è musica", dicono ancora) quando negli U.S.A. ai tempi del suo arrivo, artisti come Miles Davis ne dichiararono il loro interesse. Se ci pensate non è molto diverso dalla morte del cinema di genere nel nostro paese: ma siamo davvero sicuri che le pellicole del '70 fossero peggiori di quelle di adesso solo perchè quel tipo di cinema è morto? Solo perchè a guardare quel genere di film eravamo in 8 mentre milioni guardano le Vacanze di Natale ogni inverno?
Quel che mi spaventa di più è che qualsiasi cosa, in questo paese gravemente in crisi (non solo economica ma anche artistica), assume dimensioni colossali: ogni minima incomprensione innesca polemiche infinite, ogni scusa è buona per screditare il lavoro altrui. Non mi riferisco a questa occasione in particolare ma è un discorso generale. Invece di vedere persone che in nome di una passione comune si stringono e lavorano (cosa che, con le dovute eccezione, succedeva un tempo - e la prova è proprio l'Hip Hop anni '90) per far sì che l'oggetto di quella passione possa elevarsi, ci ritroviamo con cani pronti a spolparsi l'ultimo osso rimasto e avvoltoi pronti a girarci attorno. Questo finchè ancora una volta il rap non cadrà nel dimenticatoio nelle cantine dei discografici e allora rimarranno in pochi (quelli che ci credono davvero) a lavorare per qualcosa che non è solo moda e non è solo un momento.