“L’ho uccisa perché l’amavo” Falso! di Loredana Lipperini, Michela Murgia

Da Vivianap @vpicchiarelli

Delitto passionale. Raptus. Gelosia. Depressione. Scatto d’ira. Tragedia familiare. Perché lei lo ha lasciato, chattava su Facebook, non lo amava più, non cucinava bene, lavorava, o non lavorava. Nascondendo la vittima, le cronache finiscono con l’assolvere l’omicida: una vecchia storia, nata in tempi lontani e ancora viva fra noi. Per questo bisogna imparare a parlare di femminicidio. Tutti, non solo i media. Dobbiamo farlo noi. Dobbiamo trovare le parole.

«La parola femminicidio, per inciso, nasce con lo sguardo a Ciudad Juarez, fra Messico e Texas, nella cui polvere dal 1993 sono scomparse 4500 donne, e settecento, forse novecento, ma forse molte di più, sono state uccise, e pochissime sono state sepolte. Quelle ritrovate, tutte fra i 12 e i 30 anni, erano a pancia in giù, con l’osso del collo spezzato per strangolamento. Da chi, è ancora impossibile saperlo: si è pensato a un serial killer, ai narcotrafficanti, agli snuff movies, ma forse gli assassini hanno cominciato e poi continuato a farlo senza motivo, perché già accadeva e dunque era logico farlo accadere ancora.»

Nel 2012 sono state uccise 100 donne, una ogni due giorni. Solitamente per mano di mariti, ex fidanzati, padri, o comunque persone molto vicine a loro, all’interno della cerchia familiare. Loredana Lipperini e Michela Murgia decidono di fare chiarezza una volta per tutte sul tema del “femminicidio” con “L’ho uccisa perchè l’amavo” Falso!
Pochissime pagine, circa 100, eppure pesanti come macigni: luoghi comuni sfatati, bugie mediatiche smascherate, una selezione dei titoli di giornali italiani che hanno “urlato” di femminicidio.

Ma non bisogna relegare ai media il dovere di parlarne – anche perché spesso lo fanno in maniera distorta – dobbiamo essere noi tutti i primi ad affrontare l’argomento, a cercare di far morire quell’ignoranza che porta a credere che l’assassinio di una donna sia sempre un gesto folle, dettato da pazzia, dal troppo amore o, peggio, giustificato da comportamenti più o meno riprovevoli messi in atto dalla malcapitata di turno.

È questo il messaggio che ci lasciano le due autrici, un monito ad allargare, a espandere la conoscenza perché non si debba più leggere sulle pagine dei quotidiani: “L’ha uccisa perché non voleva perderla”.


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