Il primo lupo si svegliò quando l’altro già se n’era andato, ma non potendolo ricordare non vi pose alcuna attenzione. Si levò di terra e prese a strofinarsi con la zampa dove la caduta l’aveva offeso, e dolendosi a sfregare in cima al capo, dove gli era spuntato un piccolo bernoccolo.
La prima cosa che notò fu l’alta quercia che gli stava didietro. Non preoccupandosi troppo delle fondamenta, guardò alle fronde alte e fitte di dove era caduto, come chi ammirandolo volge lo sguardo allo scampato pericolo. Ma non ricordando perché la quercia stesse dove stava lui, osservò solo quanto fosse piú alta e imponente rispetto a sé. Allora, toccandosi le lunghe orecchie da lupo, strette strette e puntate per aria, stupí nel non trovarvi le stesse foglie dei rami e gli stessi nodi del tronco. Deluso dalla propria scoperta si voltò. Allora vide l’agnello.
Stava rimpetto al lupo, chiuso fra due folti cespugli in fondo a un breve sentiero cieco, e immobile per il terrore. Il lupo lo guardò perplesso, pensando ancora alla quercia. Chiese il lupo all’agnello:
- Di’, tu che mi osservi, son forse una quercia?
Ma l’agnello, senza rispondere, saltò oltre i cespugli e si perdette nel mezzo del bosco. Il lupo fece per rincorrerlo, ma si spaventò di quanto naturale fosse stata la sua reazione, come quasi per un’abitudine del corpo. E l’agnello scomparve anche all’udito.
Il lupo stette ancora un poco a pensare, e infine risolse che data la propria reazione, l’agnello aveva certo che fare con lui, e poteva insegnarli chi fosse. Cosí il lupo si mise sulle tracce dell’agnello, puntando il muso al suolo e appiattendo le lunghe orecchie. Non fu difficile per il lupo seguire la pista lasciata dall’agnello, e questo ancor piú lo convinse che potesse davvero aiutarlo. Lo trovò stremato, rincantucciato nel cavo di un albero, con le zampe che ancora gli tremavano. Di lí passò per caso un giovane cerbiatto dalle corna incipienti, e il lupo lo notò. Allora si ricordò del bernoccolo e chiese all’agnello:
- Di’, guardami bene, son forse un cerbiatto?
Ma l’agnello con uno scarto sgusciò dal suo riparo e si gettò per il bosco. Al lupo dispiacque che l’agnello si rifiutasse di aiutarlo, e prese a rincorrerlo piú deciso di prima. Non passò molto che l’agnello fu raggiunto. Disse all’agnello il lupo:
- Agnello, perché fuggi via? Dimmi, che cosa ti paio?
Ma il lupo non poté finire la frase che l’agnello era già scomparso nella boscaglia. Al lupo parve scortese il fare dell’agnello, poiché altro non gli chiedeva che il suo aiuto. Quindi, ora certo di poter avere da lui la risposta che cercava, il lupo rincorse l’agnello per la terza volta. Questi raggiunse presto un’ampia prateria e prese a correre a piú non posso. Il lupo didietro teneva il passo.
- Aiutami, agnello, aiutami! Gridava il lupo.
Ma l’agnello correva e correva, senza voltarsi. Allora il lupo, sconsolato, iniziò a piangere nella corsa, disperando del proprio destino. Piangendo il fiato venne meno, e il lupo dovette sporgere la lunga lingua di fuori, ansimando e soffocando del proprio pianto. E la paura di restar solo gli sorse dalla gola in un ululo acuto e disperato. E il sangue ribollendo didentro le membra prese a correre dirotto nelle vene, mutando il terrore in rabbia e l’amaro sconforto in desiderio. Il lupo, piangendo la propria sorte, condannato all’esilio da sé stesso, non comprese súbito in desiderio di che cosa, e nella disperata corsa per la salvezza raggiunse il suo salvatore. Ma prima che potesse capire, prima di trovar ragione di quella brace che gli ardeva in corpo, il lupo affondava gli artigli nei teneri ricci del manto, e premeva le fauci serrate sul bianco collo del piccolo agnello, mescolando al proprio pianto il sangue caldo della sua preda, e unendo al grido di pietà quello disperato della propria esultanza, e ritrovando nello specchio delle viscere il volto che aveva dimenticato, il volto feroce crudele e affamato della propria identità.
Emiliano Garonzi
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