Un punto sul quale bisogna riflettere, perché oggi siamo nel tempo della riscoperta delle Identità. Soltanto la testimonianza di una civiltà, ovvero la civiltà che si fa testimonianza, può dare una manifestazione propriamente identitaria. Il rapporto tra l’elemento archeologico e il territorio non significa soltanto definire un perimetro geografico in uno spazio temporale. L’archeologia, cosiddetta pura, non deve avere più un suo senso autonomo rispetto alle altre forme che sono l’antropologia, i fenomeni etno-linguistici, la geografia fisica di un determinato contesto. Così come la storia dell’arte o l’architettura non possono essere scissi da ulteriori manifestazioni che sono il vissuto dei linguaggi comunicanti tra tempo e metafisica. C’è, ormai, una metafisica del bene culturale perché insiste una filosofia dell’approccio tra ricerca e valorizzazione in un processo che è etno-antropologico. Un luogo è l’essenzialità della sua storia che diventa appartenenza. Ma ciò diventa trasmissione di valori nel momento in cui si comprende che in una società sradicata, e in un viaggio esistenziale di popoli sradicanti, si avverte la necessità di ricontestualizzare l’identità nazionale. D’altronde la Legge del 1939 aveva una base forte, che era quella, appunto, della cultura come espressione di una storia nazionale. Una storia che aveva un suo senso in un orizzonte che era quello pedagogico. Il raccordo tra la Riforma scolastica gentiliana e gli Ordinamenti sui beni culturali di Bottai costituivano un architrave fondamentale. Il legame tra patrimonio nazionale della storia interagiva con i processi pedagogici dai quali diventava riferimento il Vocabolario dell’Identità. Ciò è possibile se la storia antica, ovvero il passaggio dall’archeologia alla modernità, assume quella valenza filosofica che racchiude il linguaggio identitario. Questo linguaggio, necessariamente con la Riforma, si apre ad un processo culturale che diventa consistenza (o coesistenze) di conoscenze. La fruizione è il tassello che parte dalla conoscenza per siglare il mosaico della valorizzazione. Il fraseggio “beni e attività culturali” ha una sua filosofia che, comunque, non si contrappone alla tutela e alla conservazione, anzi, ma va oltre perché il tempo che viviamo è “furbescamente” un tempo dell’immagine e dell’immaginario. Il turismo, infatti, vive di immagine e di immaginario. È qui il punto innovativo del discorso sui beni culturali che rappresentano, nonostante la svagatezza dell’attualismo, il patrimonio identitario di una civiltà certamente, ma anche di una comunità, di un popolo inteso come Nazione, di una partecipazione. Occorre partire da una discussione sul concetto di archeologia per aprirsi ad una realtà che non può fare a meno di una identità. L’identità è la priorità di una eredità spirituale che va considerata come principio metafisico. I beni culturali, dunque, a partire dallo sviluppo dialettico intorno al rapporto tra archeologia e culture, sono ricerca, nell’incipit del processo scientifico, ma sono anche pedagogia dell’anima. Da qui un modello per un orizzonte identitario che possa guardare con attenzione ad una cultura occidentale che sappia confrontarsi con un mondo variegato qual ‘ quello dell’Oriente.
I beni culturali sono sempre più l’identità spirituale, oltre ad essere dei beni materiali, di un popolo. In questa visione l’archeologia è l’eredità metafisica di una civiltà.