E' davvero un mondo triste, malinconico e nostalgico quello di Tatischeff, un mondo illustrato con una maestria rara da Chomet (Appuntamento a Belleville) e dal suo staff, un salto indietro nel tempo nella delicatezza dei '60 in arrivo e nella brezza inarrestabile del cambiamento. Il mondo degli artisti, non solo quello del protagonista, pennellato in splendida animazione tradizionale, mostra tutta l'inadeguatezza e la difficoltà di sensibili sconfitti, alcuni pronti al gesto più estremo ma facili da pacificare con un buon piatto di minestra.
La sensazione del tutto che cambia, del nuovo in cui non c'è più posto, del giovane che è un poco meglio, della difficoltà di mantenere un rapporto. Tutto mostrato e raccontato in silenzio (il film è praticamente muto) e con delicatezza, sia nella narrazione che nelle scelte cromatiche delle immagini. Poi, come per magia, l'illusione s'infrange, basta una frase, triste, perentoria.
La sceneggiatura de L'illusionista fu scritta da Jacques Tati già negli anni '50, recuperata dalla figlia dopo la sua morte è arrivata nelle mani di Chomet per volontà della stessa, decisa a vedere per un ultima volta il padre sullo schermo, non impersonato da qualcun'altro ma disegnato su carta, così, somigliante a come lui era. Scelta felicissima così come la riuscita di questo film.
PS: Sophie Tatischeff non fece in tempo a vedere il film realizzato, morì diversi anni prima dell'uscita nelle sale de L'illusionista, il film è a lei dedicato.