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L'imbarazzante bestiario del chemioterapico. Ovvero: l'unico male incurabile è l'idiozia!

Da Romina @CodicediHodgkin
mercoledì, 06 luglio 2011

L'imbarazzante bestiario del chemioterapico. Ovvero: l'unico male incurabile è l'idiozia!

Mercoledì 22 Febbraio 2006.
E'una data che ricordo molto bene.
Ricordo quel giorno come uno dei giorni più tristi e carichi di rabbia di tutta la mia esperienza con la chemio e col cancro, e io sono una persona che tende a scherzare su tutto...

Il lunedì avevo fatto chemio. Non fu una bella esperienza. Diciamo che dalla sesta chemio in poi le cose si fecero più difficili, nonostante facessi finta di niente. La nausea era sempre più pressante e la stanchezza si faceva sentire.
All'epoca studiavo lingue e comunicazione internazionale. Studiare mi piaceva moltissimo. Purtroppo, non potevo più frequentare le lezioni, ma continuavo comunque a dare esami. Avendo molto tempo libero a disposizione (la chemio preclude una vita sociale particolarmente, come dire, frizzante...) nella sola sessione di febbraio diedi 5 esami:
-9/2: storia contemporanea
-19/2: filologia germanica
-22/2: geografia regionale
-27/2: filosofia della comunicazione
-28/2: lo sviluppo dell'interlingua
Cinque esami in 10 giorni. I risultati non erano stati brillantissimi (tutti voti tra il 24 e il 27) ma date le condizioni, sono gli esami di cui vado più fiera in assoluto.

L'esame di geografia regionale, tuttavia, fu una tragedia. Non per il voto, ma per il modo in cui venni trattata.
Nelle mie condizioni non era il caso di prendere i mezzi pubblici o frequentare l'università. Troppa gente, troppi virus. Un'influenza su una persona sana passa presto, quando fai chemio è un altro paio di maniche.
Assecondando il mio desiderio di normalità (nonchè la noia che deriva dallo stare sempre tappati in casa!) decisi di andare all'università con la metropolitana.
Arrivai nell'aula piena di amici e altri studenti. Ero felicissima. I miei amici dell'università mi mancavano. Mi mancava la biblioteca, mi mancavano le lezioni, mi mancavano le aule, il laboratorio linguistico...persino il bar della facoltà mi mancava! Era come se per qualche ora tutto fosse tornato normale. Ero come Cenerentola. Per una mattina potevo essere di nuovo come tutti.

In realtà, un pò di paura l'avevo. La chemio di due giorni prima, infatti, non era stata proprio semplicissima. Avevo avuto la febbre alta. Avevo ripassato l'ultima volta il lunedì mattina mentre aspettavo di entrare in day-hospital e avevo modo di riprenderli solo il martedì sera.
Quella mattina, però, mi feci bella e andai. Ricordo che indossavo un completo giacca-pantalone marrone e scarpe alte. Mi ero truccata alla perfezione perchè ero ridotta come un mocio vileda con le gambe: praticamente non uno straccio, ma uno straccio fatto a strisce!
Comunque, l'umore era alle stelle e mi sentivo wonder-woman, tant'è che non chiesi (come mi era stato raccomandato dall'ematologa) di poter essere interrogata per prima per potermene andare presto e non dover rimanere lì troppo al lungo. In realtà mi pare che avesse anche detto qualcosa a proposito della mascherina e della metropolitana ma...vabbè.

Arriva il mio turno. Mi siedo davanti alla docente di geografia regionale e poggio i libri sulla cattedra. In quanto non frequentante, io portavo un programma più vasto rispetto agli altri.
La professoressa mi guarda, fa un sorriso a tagliola e mi dice:
"Vedo che lei è non frequentante. Io i non frequentanti li penalizzo sempre."
Mi strinsi nelle spalle e, quando lei ebbe finito la sua filippica sull'importanza del frequentare le lezioni, risposi alla domanda che mi aveva posto. Non fu un'interrogazione brillantissima, rispetto ai miei standard, lo ammetto, ma date le condizioni...fui un femonemo! Secondo me, un 26 ci stava tutto...

Finito l'esame, porsi alla professoressa il mio libretto. Lo guardò e riprese la tiritera sull'importanza di partecipare alle lezioni. Per tre volte mi chiese perchè non frequentavo e aggirai la domanda. Mi disse che il fatto di non aver presenziato al corso mi avrebbe penalizzata nel voto. Mi chiese di nuovo perchè avessi mancato di partecipare al corso.
Ero stanca, volevo andare a casa e lei mi stava irritando. Decisi di rispondere.
"Non frequento perchè sto facendo chemioterapia. Devo curarmi il cancro."
Lei mi guardò in modo strano, forse non riusciva a capire se ero seria o se scherzavo (come se si potesse scherzare su una cosa del genere) e rispose:
"Non è un problema mio":
Rimasi di sale. Sarà che quando si è malati si è ipersensibili ma penso di non essermi mai sentita così ferita in vita mia.  Tutto quello che fui in grado di rispondere fu:
"Infatti è un problema mio. Questo lo so."
Afferrai il mio libretto con un odioso 24 scritto sopra e, a passo svelto, mi diressi verso la metropolitana.
Ero sulla metro e mi veniva da piangere. Pensavo a quella carogna di insegnante e tremavo. Pensavo che solo due giorni prima mi ero sentita malissimo, al punto da vomitarmi addosso perchè non ero riuscita a sporgermi dal letto per dar di stomaco nella bacinella che era lì per quello scopo. Quando si fa chemio, anche una cosa banale come un esame può essere un'impresa apparentemente al di là delle proprie possibilità. E lei cosa mi veniva a dire? Che non era un problema suo?
Ok, forse pensò che stavo mentendo ma...lei dall'inizio aveva deciso di penalizzarmi, e in quel contesto particolare la cosa mi turbò moltissimo.
Mi lasciai andare e iniziai a piangere appena scesa dall'autobus che mi lasciava proprio sotto casa. Entrai a casa tra i singhiozzi. Mia madre e i miei nonni mi videro in quello stato e si preoccuparono moltissimo. Pensarono che mi fossi sentita male. Raccontai loro l'accaduto.

Mi feci un gran pianto e mi lasciai coccolare un pò.
Mia madre, cogliendo in pieno il punto della faccenda mi guardò e disse:
"non fare così. Tu hai un linfoma. Ma guarirai. Quella è una stronza. Per lei speranza non ce n'è..."
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