Gregory La Cava
Gregory La Cava (1892- 1952) rientra nel novero di quei registi della “vecchia Hollywood” che meriterebbero una riscoperta concreta e definitiva, vuoi per la fascinazione visiva espressa dalla elegante composizione delle immagini, vuoi per la grande attenzione rivolta alla recitazione di ogni singolo attore, delineando con particolare efficacia la psicologia dei personaggi femminili.Una caratteristica quest’ultima che lo accomuna a George Cukor, così come, da un punto di vista formale, è evidente nella costruzione complessiva delle sue opere un’impostazione simile a quella di Frank Capra, anche se l’impianto di La Cava appare più moderno e graffiante, volto ad un forte realismo.
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Qui si ferma una lussuosa auto, dalla quale scendono un cicisbeo e due giovani signore, alla ricerca di “qualcosa che nessuno vuole”, una sorta di caccia al tesoro. Un barbone sarebbe certo utile al riguardo, ed allora una delle fanciulle, Cornelia (Gail Patrick), con modi sprezzanti, offre cinque dollari ad un certo Godfrey (W.Powell), ma si vede opporre un rifiuto, con tanto di capitombolo fra il pattume. Ha più fortuna sua sorella Irene (C. Lombard), candida ed eterea, che non solo riesce a condurre l’uomo con sé, ma lo assume come maggiordomo.
William Powell e Carole Lombard
E così il nostro, dopo le due donne e le loro stramberie, può ora conoscerne i genitori, Alexander (Eugene Palette), che deve la sua fortuna a speculazioni in Borsa, ed Angelica Bullock (A. Brady), svagata e con qualche problema d’alcolismo, la quale ospita in casa il suo protegée Carlo (M. Auer), sedicente artista, il cui unico talento espresso è quello di rimpinzarsi in ogni occasione.Una vera e propria gabbia di matti, dove sarà proprio Godfrey, che non è propriamente ciò che sembra, e di cui Irene si è ormai invaghita, a portare, tra l’altro, un minimo di sano equilibrio…
Piuttosto felice il melange tra comicità, in parte debitrice delle vecchie comiche del muto, e la sapida psicologia dei personaggi, espressa anche grazie alla perfetta sintonia tra i vari interpreti, con scene memorabili (tra le tante, oltre l’apertura e il finale, certamente l’arrivo alla festa di Godfrey, il risveglio post sbornia della sig.ra Bullock, la doccia “redentrice” di Irene).
Lombard, Powell e Gail Patrick
Difficile dimenticare l’aplomb di Powell/Godfrey, tra leggiadra sagacia e beffarda ironia, profuse entrambe a piene mani, la volubilità apparente della splendida Lombard/Irene, spirito libero costretto nella etichetta del rango sociale, così amabilmente ingenua nel suo incedere verso la fascinazione amorosa più pura e trascinante, vista come ciò che potrà dare ordine alla propria esistenza. Tutto il contrario della sorella Cornelia, algida e perfida, che si crogiola nei suoi agi da bambina viziata, incapace d’immaginare un diverso percorso di vita nel fronteggiare il conto che quest’ultima, inevitabilmente, finirà col presentarle. Godfrey vede in lei ciò che lui è stato, ricco rampollo finito sul lastrico (moralmente) per via di una delusione amorosa, tornato a vivere dopo aver appreso l’importanza di non arrendersi mai e la necessità del venirsi incontro reciproco, esprimendo riconoscenza per ogni gesto d’aiuto.
Lo stesso happy end è, a mio avviso, solo apparente, e rivela l’indole sardonica propria del regista: la scena del matrimonio tra Godfrey ed Irene, su spinta propulsiva di quest’ultima, lascia in sospeso il fatidico sì, dopo quel “Stai calmo Godfrey, sarà tutto finito in un minuto”, riferibile tanto alla durata della cerimonia che a quella della loro unione … Come scrisse Giacomo Leopardi, “Il più solido piacere di questa vita, è il piacere vano delle illusioni” (Zibaldone di pensieri).