L’importanza dell’occhio nella scrittura (e non solo)

Da Marcofre

Titolo un po’ lungo, ma non potevo agire diversamente.
Nel capitolo “Storie in cui accade qualcosa” del libro “Il mestiere di scrivere”, Carver riporta una frase di Lev Tolstoj per l’Introduzione alle opere di Guy de Maupassant.
Lo scrittore russo definisce il talento come:

la capacità di prestare un’attenzione intensa e concentrata all’argomento (…) il dono di vedere quello che gli altri non hanno visto.

Lo stesso Carver poco dopo rincara la dose, e aggiunge sempre a proposito del talento:

il dono di vedere quello che tutti hanno visto, ma vederlo in modo più chiaro, da ogni lato. Comunque, in entrambi i casi, è un’arte.

Ci sono un paio di concetti che sto riscoprendo, con cui mi sto misurando dopo qualche anno di indifferenza, di lontananza. Lo sguardo (io preferisco parlare di “occhio”, ma posso forzare la mano e affermare che si tratta di due modi un po’ differenti per esprimere lo stesso dovere, la medesima urgenza), e l’arte.

Qualche giorno fa, ho scritto un commento a questo post, e l’autrice ha completato il mio pensiero. Scrivevo dell’occhio, e lei mi ha fatto notare quanto sia importante anche il resto. Si tratta di un buon punto di partenza (magari la gente imparasse davvero a usare l’occhio), ma poi è indispensabile usare

ogni senso come se fosse vista. E forse questo ancora non basta…

In parte mi sono sentito confortato. Mi pare ci sia parecchia roba su cui riflettere, in quella frase. Facendo un esempio leggermente idiota: siamo perseguitati dagli occhi, da sguardi. Peccato siano inutili.
Banche, poste, supermercati sono zeppi di occhi elettronici. Le televisioni sono occhi che dovrebbero svelarci la realtà, ma sono impegnate a celare, a inoculare l’idea che le cose “accadono”.

L’occhio, slegato dal talento della riflessione, del silenzio, è inutile. Proprio come adesso sono inutili certa stampa e televisione; qualunque cosa succeda (persone che dormono in macchina, perdono il lavoro), non ci sono responsabili. Quelli non sono fatti che capitano perché ci sono scelte politiche, economiche; è il fato. Il destino cinico e baro. E ci vediamo dopo la pubblicità.

Al massimo, si può organizzare una bella maratona televisiva per raccogliere fondi. Guai a fare nomi e cognomi. Guarda caso, non è mai il momento della polemica; mica si vuol fare polemica. Solo dire come stanno i fatti, chi ha lavorato perché quei fatti si verificassero.

Non affermo che la scrittura debba essere di denuncia. Al contrario: si deve puntare sempre a qualcosa che rimandi all’arte, e tutto quello che non ha una tale tensione, secondo me, non è interessante. Fare denuncia e basta, è come mettere il carro davanti ai buoi, e pretendere di arrivare da qualche parte.

Come ho già scritto in precedenza, credo che con più arte avremmo un Paese migliore. No, non significa che tutti dobbiamo essere scultori, pittori, eccetera; ma che ciascuno dovrebbe smettere di accontentarsi, e puntare all’eccellenza. Cercarla, vicino a sé prima di tutto, poi attorno a sé, e se non c’è non mollare, e resistere all’omologazione, al gregge.

Ci sarebbe meno spazio per mediocrità, sotterfugi e soluzioni all’italiana. Se apprezzi Giotto, come fai a votare un politico incapace?
Ami Bach, e paghi tangenti?
Adori Zola e ti liberi del frigorifero gettandolo nottetempo nel bosco?

Un altro post lungo, maledizione. A questo punto dovrei trovare una conclusione capace di stendere i lettori (come insegnano i guru della comunicazione). Spiacente, ma finisce qui. Il post, certo; il blog continuerà.


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