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L’importanza della cooperazione italiana in Congo: intervista all’Ambasciatore della RDC S.E. Albert Tshiseleka Felha

Creato il 09 maggio 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi
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di Martina Vacca

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Un Paese ricchissimo di materie prime, famoso per i numerosi giacimenti di diamanti e, probabilmente soprattutto per questo, ancora senza pace. Una natura rigogliosa, fatta di grandi spazi ed immense distese di verde, in cui flora e fauna potrebbero convivere armoniose come nel giardino dell’Eden. Una popolazione di donne, uomini e bambini numerosa, fiera e tenace che lotta ogni giorno contro le gravi e irrisolte ingiustizie sociali, le malattie, la malnutrizione e le guerre, le lotte intestine e fratricide. Una cultura caratterizzata da 700 lingue e dialetti locali diversi e 300 tribù. Questo e molto altro ancora è la Repubblica Democratica del Congo, nota anche come Congo-Kinshasa o come ex Congo-Belga, Congo Leopoldville o Zaire.

Una nazione immensa di 2.344.840 Kmq, che, dopo l’incarico a Ministro all’Integrazione, nel neo governo Letta, della italo congolese Cécile Kashetu Kyenge, è divenuta ancora più vicina. La Repubblica Democratica del Congo, pur non rientrando tra i Paesi prioritari nelle linee guida programmatiche per il triennio 2011/2013 della Cooperazione Italiana allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, é comunque beneficiaria dal 1982 di interventi che riguardano soprattutto i settori della sanità, dell’agricoltura, dei trasporti, dell’approvvigionamento idrico. Ma l’Italia, anche attraverso questo Organismo, ha conquistato il primo posto tra i Paesi donatori per la fornitura di aiuti umanitari. E’ peraltro legittimo ritenere che la cooperazione sia uno dei tanti motivi di speranza per il Congo e per il suo futuro sociale ed economico.

Ed è soprattutto di cooperazione che abbiamo parlato con l’Ambasciatore della Repubblica Democratica del Congo in Italia, dal 2006, S.E. Albert Tshiseleka Felha.

Dal 1982 la Cooperazione allo Sviluppo Italiana opera in Congo. Qual é stato il suo contributo?

In realtà dopo l’indipendenza della RDC nel 1960 abbiamo conosciuto un’intensa attività di cooperazione da parte dell’Italia in vari campi: da quello meccanico-agricolo, a quello sanitario, all’assistenza umanitaria. L’Italia ha dato un enorme contributo alla formazione dei congolesi nel campo agricolo e meccanico. Grazie all’Italia l’agricoltura ha beneficiato di nuovi spazi e nuove tecniche di allevamento del bestiame, che molte imprese italiane hanno provveduto a importare. La formazione della popolazione autoctona sulle nuove tecniche agricole ha costituito per i Congolesi anche un nuovo approccio culturale all’agricoltura. Gli italiani hanno facilitato le pratiche agricole e il trasferimento di nuove tecnologie attraverso le quali è stato possibile costruire acquedotti e poter avere l’acqua potabile.

Dunque qual è stato l’impatto dei progetti di cooperazione sulla realtà congolese? Come sono stati accolti dalle popolazioni locali?

I Congolesi hanno un’ottima considerazione dell’Italia, soprattutto per quanto riguarda il campo meccanico. Gli Italiani hanno formato gli operai congolesi e, grazie ai progetti di sviluppo agricolo, sono nati nuovi posti di lavoro. Hanno creato piccole e medie imprese, utilizzando il personale locale e migliorato le condizioni rurali anche al di fuori delle città. Hanno lavorato molto alla creazione di ospedali e di centri di formazione. Dunque l’impatto è stato positivo nella misura in cui l’Italia, tra i maggiori Stati cooperanti, ha cercato di ridurre gli effetti della crisi economica e sociale in Congo.

A proposito di centri di formazione: Lei porta avanti da tempo un grande progetto per la costruzione di un complesso scolastico a Kinshasa, denominato “Centre d’education pour tous”. Qual è stato l’impegno delle ONG nell’attuazione del suo progetto?

Si tratta di un Complesso Scolastico che comprende Scuola materna, elementare, secondaria e professionale. Il CEPT è un esempio concreto di scuola costruita grazie al finanziamento delle ONG (locali e internazionali).

La RDC é tra i Paesi dove gli ostacoli in materia di scolarità e educazione degli adulti rappresentano un grave problema: le scuole sono insufficienti, mancano centri professionali in grado di soddisfare i bisogni dei giovani. La missione di questo progetto è quella di rispondere ai bisogni educativi di bambini e adulti, incrementando i tassi di scolarità nei quartieri a bassa copertura scolastica, assicurando l’alfabetizzazione e lo sviluppo comunitario, creando spazi e centri di ricerca. CEPT é inoltre uno strumento di sradicamento del lavoro minorile dei bambini. Il partenariato tra le ONG congolesi e quelle Italiane ha fatto sì che si provvedesse alla fornitura del materiale didattico e delle attrezzature necessarie a rispondere a bisogni specifici. In questo, la “Fondazione Paoletti”, con il suo programma “Scuole nel Mondo”, mantiene vivo il sostegno all’istruzione degli alunni delle Scuole del Complesso Scolastico Tshiseleka e mira a sostenere la frequenza scolastica di 230 bambini della scuola dell’infanzia, oltre che a garantire assistenza sanitaria alimentare, seminari di aggiornamento per il corpo docente, etc.

Oggi quindi é nel campo umanitario che l’impegno delle ONG è maggiormente presente?

Sì, pur avendo conosciuto un periodo di intensa attività di cooperazione in tutti gli ambiti, quella umanitaria è oggi presente in misura maggiore.

Sembra che molti partenariati in altre aree di sviluppo, come ad esempio la costruzione delle centrali idroelettriche sul fiume Congo per l’approvvigionamento idrico – i progetti INGA 1, 2 e 3 – siano in fase di stallo, lasciando spazio a progetti in cui la cooperazione non è sviluppata su due sensi. Lo sfruttamento arbitrario delle riserve minerarie e la corsa ai diamanti da parte degli altri Paesi, sembra aver oscurato la vera cooperazione. Le ricchezze presenti sul territorio della RDC non hanno concorso al suo sviluppo economico. I benefici tratti dallo sfruttamento delle miniere restano condivisi tra Paesi sfruttatori e ricchi congolesi. In questo contesto la guerra è un business. Lo Stato è povero e l’esclusione di individui e gruppi dalla distribuzione delle ricchezze del Paese, spinge molti giovani ad unirsi a bande ribelli nella speranza di trarne maggiori profitti.

Cosa sta facendo la Comunità Internazionale per mettere fine a tutto questo? Quali sono le prospettive per la rinascita della RDC?

L’accordo globale di pace dell’ONU che coinvolge tutti i partenariati regionali dell’Africa ed internazionali, è volto a favorire la stabilità politica ed economica del Paese. Al momento i gruppi d’interesse che hanno armato i ribelli sono causa del disordine socio-politico. L’ONU, con l’appoggio di tutti i Paesi, lavora per fronteggiare l’emergenza in vista di una svolta per la RDC. Il Congo stesso, le comunità regionali dovranno orientarsi alla ricostruzione di partenariati autentici e la Comunità Internazionale dovrà impegnarsi costantemente nell’auspicio all’avvio di un percorso di pace e stabilità.

* Martina Vacca è Dottoressa in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Bologna

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