Qual è il rapporto fra dislessia e comunicazione? Per rispondere a questo interrogativo è possibile prendere in prestito una frase di Giacomo Stella tra i massimi esperti di disturbi specifici di apprendimento in Italia: "La prima vera causa degli errori che si fanno con i bambini dislessici è l’ignoranza del problema."
L’ignoranza non fa altro che aumentare la percezione e l’incidenza di questa "neurodiversità" attraverso la produzione di ulteriori ostacoli nella vita di ogni dislessico.
Da ciò si deduce l’importanza di un’accurata informazione sul tema che sia in grado di generare la conoscenza necessaria per evitare di compiere gli errori cui Stella si riferisce e che sia, inoltre, utile a combattere l’ignoranza che giornalmente circonda e attacca la dislessia.
Parlarne significa sicuramente fare riferimento ad un argomento che riguarda la sfera prettamente genetica, biologica e psicologica di alcuni individui in particolare (circa il 5% della popolazione scolastica in Italia), ma che nel suo profondo ha un fortissimo legame con la comunicazione in generale.
Infatti, a mio modo di vedere, la dislessia è anche definibile come “disturbo della comunicazione” perché ritengo che la vita di un dislessico sia caratterizzata, parafrasando Eco, da continue “decodifiche aberranti” causate sia dalla scarsa informazione sul tema che dall’invisibilità propria della dislessia. A causa di tale invisibilità le sue manifestazioni vengono mal interpretate e scambiate con altri fattori, quindi ignorate e non riconosciute. Di conseguenza molti bambini e ragazzi DSA, a causa dei cattivi risultati scolastici ottenuti nonostante l’impegno profuso e il tempo dedicato allo studio, si ritrovano ad essere etichettati come «svogliati», «asini» o perfino «stupidi». La loro vita scolastica diventa, così, un inferno. Ritenuti “brutti anatroccoli”, costretti a subire continue umiliazioni da parte degli insegnanti, dei genitori e dei compagni di classe, e non capendo l’origine delle proprie difficoltà di cui solo all’interno delle pareti scolastiche hanno percezione, i dislessici sono portati col tempo ad odiare la scuola, ad abbandonarla il più presto possibile, e, nel peggiore dei casi, a sviluppare anche gravi problemi psicologici. Tutti effetti evidentemente più gravi della dislessia stessa.
Per tutte queste motivazioni penso che se qualunque individuo fosse in grado di considerare nel modo giusto la dislessia di sicuro ogni dislessico avrebbe la possibilità di vivere una vita migliore.
Ecco perché trovo che il superamento delle difficoltà che la dislessia, direttamente o indirettamente, comporta dipende anche dalla nascita di una stretta collaborazione fra tutte le parti in causa (dislessici, genitori, insegnanti, operatori sanitari).
Per questi motivi è indispensabile comunicare, e nel modo più accurato possibile, il "disturbo della comunicazione". Questo perché è certo che solo la reale conoscenza della dislessia possa renderla finalmente visibile agli occhi di qualsiasi persona, genitori e insegnanti in particolare, affinché sia assicurato anche ai bambini dislessici il diritto al successo scolastico, con la speranza che non siano più considerati brutti anatroccoli ma cigni fra altri cigni.
R.M
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