Mi ricollego a un articolo di qualche giorno fa, circa l'impossibilità di un futuro migliore data dalla nostra incapacità di immaginarlo.
La pellicola in 70mm usata per girare il suo ottavo film.
Il mondo s'è orientato verso il digitale, ha modificato tutti i sistemi di proiezione, in nome del profitto.
Tarantino si mette in testa di usare un formato impiegato per l'ultima volta negli anni Sessanta del ventesimo secolo.
Profondità di campo, bla bla bla, inquadrature ultraspettacolari. Ce ne siamo accorti. Io almeno, l'ho notata, la differenza.
Per far sì che fosse proiettato proprio col formato scelto, la Wenstein Company, la società produttrice degli Odiosi Otto, ha investito una cifra che si aggira tra gli otto e i dieci milioni di dollari per riattrezzare una cinquantina di cinema con proiettori e per istruire nuovo personale ad usarli.
Uno scherzetto mica da ridere, che solo Tarantino e una manciata di altri registi, oggi, possono fare.
Il guaio è che questa resta nemmeno una crociata persa, ma una presa di posizione che tutt'al più andrà, tra qualche anno, a infoltire qualche trafiletto dedicato alle curiosità del film in questione, insieme alla chitarra del 1870 sfasciata da Kurt Russell che non sapeva di avere tra le mani l'originale rarissima, ma una delle sei copie fatte costruire appositamente per essere sfasciate. Ops...
Non un ritorno al passato, quindi, o meglio ancora un tentativo di ridare dignità al cinema introducendo ex-novo un formato spettacolare che salvifica la vecchia celluloide, ma la mania d'un pazzo, un deplorevole eccesso di personalità (cit.).
Ed è triste. Perché il mondo punta verso tutt'altra direzione e gli amanti del cinema d'epoca scompariranno sotto cumuli di banconote verdi, tra gli applausi scroscianti di un pubblico che guarda con ostilità a qualunque tentativo di proporre un'alternativa rispetto al divertente nulla dilagante. Quasi fosse un'offesa alla loro stronzissima mediocrità.
Ecco il futuro: platee di mediocri resi tali dalle megacorporazioni, per di più fieri di esserlo.
Ci si fissa su particolari quali la parola "negro", ripetuta 68 volte. Sugli schiaffi, pugni, vomitate in faccia a Jennifer Jason Leigh, facendone un simbolo di altre lotte che con 'sto film non c'entrano nulla (lotte sacrosante, per carità) sorvolando sulla sua magnifica interpretazione. Ché, non dimentichiamo, qua di lavoro d'attori si tratta, non di politica alla Spike Lee. Lavoro d'attori e intrattenimento, sebbene a qualcuno piaccia fare politica scialba da quando viene al mondo.
Uno regge alle tre ore, abbastanza bene, direi, comprensive dell'intervallo atto a riempire i cesti di popcorn vacanti, gratis, e alla fine ha la sensazione di aver assistito a uno spettacolo spigoloso, caldo a dispetto del clima in cui è stato girato, come lo stufato avidamente ingurgitato dagli attori. Uno spettacolo che forse capiremo appieno tra dieci anni. Una serie di scene fiume che portano, tutte, al medesimo risultato esiziale.
Qual è il messaggio, Quentin? Che il razzismo non muore coi finti ragionamenti e che è solo questione di indole più ancora che di cultura?
Che la violenza non esercitata è ipocrisia e terrore per le leggi e la conseguente punizione e che, venendo a mancare queste ultime, essa è esercitata senza distinzioni?
Probabile.
L'Emporio di The Hateful Eight è il punto di arrivo di un viaggio in un mondo ostile, innevato, è per forza di cose microcosmo dell'umana natura, forse degli Stati Uniti, forse del resto del mondo. E il giudizio è davvero, davvero pessimo.
E le cose non cambieranno, a meno di non cambiare il nostro male esistenziale.