By Daria Cozzi
Non è raro sentirsi rispondere in questo modo. Sorrido e penso a come siamo abituati a categorizzare tutto, inscatolare, chiudere entro confini ben definiti le nostre esperienze, le gioie e i dolori, i ricordi, le perdite, le conquiste, i passaggi …. dimenticando che la vita non ha calendari né cassetti dove poter fermare e riporre il suo inarrestabile divenire.
Allora mi chiedo perchè?
Forse perchè questo atteggiamento ci rassicura, ci fa credere di avere il controllo dei nostri programmi e dei loro risultati, di ciò che ci succede oggi o ci succederà domani. Abbiamo disogno di credere di poter aprire e chiudere a piacimento le porte dietro cui c’è la vita, la nostra. Abbiamo bisogno di credere che lo possiamo fare. Una sfida all’ignoto che ci fa paura e ci fa sentire impotenti. E pensare quest’anno finisce e così finiranno anche i miei guai. Chiuso. Stop.
E questo ci fa tirare un sospiro di sollievo, ci alleggerisce, ci dà un attimo di tregua, una speranza e in qualche modo ci deresponsabilizza. Quel momento arriverà, e non dipenderrà da me. Devo solo aspettare.
Credere di non avere responsabiltà lava via il dolore, il senso di colpa, l’amarezza, la vergogna. Ci procura l’illusione che potremo voltare pagina. Ricominciare. Magari con i piede giusto e un programma diverso.
La prossima settimana comincio la dieta. Si, la prossima, non questa. E intanto mangio e procrastino il mio impegno. Poi si vedrà.
La fatica che facciamo per andare avanti, e ognuno ha la sua croce, sembra essere più sopportabile se creiamo, nutriamo e conserviamo dentro di noi un nucleo in cui palpita la convinzione che le cose possano cambiare ad opera di situazioni e passaggi obbligati, scanditi da date, accadimenti, tempi che hanno una vita propria e che così, come sono arrivati, se ne andranno allo scadere del loro iter. O del nostro, quello che noi abbiamo deciso – vorremmo – debba essere. Quello che noi definiamo necessario per compiere il miracolo, con il calendario alla mano, per poter fare un respiro grosso che ci permetterà di arrivare a quel traguardo, un po’ come fa chi vuol raggiungere i 100 metri in apnea.
Non dovremmo invece mai dimenticare che il tempo non si ferma e che la nostra vita è fatta di tanti piccoli piccolissimi passi quotidiani. Continui. Consapevoli. Impegnativi. Spesso dolorosi. Nulla cambierà se noi non ce ne faremo carico, se non ci impegneremo nella nostra crescita e nella nostra capacità di gardare al futuro intravvedendo la strada che dovremo percorrere. Ogni giorno. Con lucidità e tanta buona volontà.
Di certo è necessaria una predisposizione, un’apertura della mente e spesso, una sofferenza troppo a lungo sottaciuta e accettata come parte integrante della nostra vita per far scattare la molla che accenderà la miccia che farà esplodere la scintilla che, con la sua luce, ci permetterà di vedere ciò che a lungo è rimasto avvolto dall’oscurità.
Ma attenzione! Una scintilla ha vita breve, la luce dura un attimo e se siamo distratti, potrebbe non accendersi più.
La parola d’ordine allora è “consapevolezza”, quello straordinario fenomeno in cui, la nostra parte intima e inconscia viene a patti con quella più razionale e ci permette di poter affrontare ed elaborare ciò che ci succede anziché subire; è qualcosa che non si può imparare studiando, non è una nozione e non può essere inculcato. E’ una sorta di sinergia tra mondi diversi uniti in un sistema proteso a garantire un equilibrio che darà nuovo significato alla nostra strada, più equilibrio e meno fragilità.