L'incendio di una fattoria è una tragedia, la rovina della Patria solo una frase

Creato il 23 aprile 2012 da Presidenziali @Presidenziali
Quando è uscito Romanzo di una strage, nonostante avessi dei timori sull'operazione in se e sulla riuscita stessa del film, sono corsa a vederlo pur sapendo di infliggere un altro duro colpo alla mia coscienza patriottica (e ancora non avevo vista Diaz...!)«Un biglietto per Romanzo di una strage» ho detto quindi con ferma convinzione alla cassiera in biglietteria.  «Sala 6» mi hanno risposto all’ingresso. Sei, come il numero degli spettatori presenti quella sera (me compresa).Il rischio che questo film finisse con l’interessare più che il pubblico, i vari addetti ai lavori (giornalisti in primis) era in fondo, prevedibile. Il tema delicato che affronta, la testimonianza di giorni insanguinati dall’odio e da una guerra civile non dichiarata ufficialmente, ma drammaticamente concreta in termini di uomini assassinati in nome di un'ideologia, ha scatenato, ancor prima di uscire nelle sale, forti polemiche.Ad esempio, quella mossa dal figlio di Luigi Calabresi, lo scrittore e giornalista Mario Calabresi, per la mancata testimonianza della feroce campagna denigratoria di Lotta Continua, nei confronti di suo padre. O Adriano Sofri, che attacca l’ipotesi fatta propria dal film, delle due valigette con esplosivo deposte alla Banca dell’Agricoltura. Ipotesi, mutuata dal libro Il segreto di Piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli. Il quale Cucchiarelli, a me sconosciuto fino a pochi giorni fa, sul Corriere della sera risponde a Sofri ribadendo la sua tesi: doppia bomba e doppia valigia. Insomma, come c’era da aspettarsi, Romanzo di una strage è diventato un succulento caso mediatico, anche perché cognomi coinvolti in quella vicenda e in vicende correlate e successive (Calabresi, Sofri) nel frattempo sono diventati firme di peso nel sistema comunicativo-giornalistico del nostro Paese, e se vogliamo questo è uno degli esiti più strani e meno attesi di quel lontano evento. Mi rendo conto di avere parlato finora quasi niente del film, e invece molto di quello che gli gira intorno, ma era, ed è inevitabile, temo. Come si fa a discettare della regia di Marco Tullio Giordana, e sui valori o disvalori squisitamente cinefilmici, quando è la tematica che viene trattata, ad attrarci completamente? Questo è un caso esemplare di film il cui contenuto divora la forma e la azzera nella nostra percezione di spettatori. Qui davvero ciò che è raccontato è tutto e il “come" lo si racconta (apparentemente) niente. Però, dico che, pur nei limiti invalicabili del “cinema di impegno” nostrano, Romanzo di una strage riesce a essere avvincente, soprattutto nella prima parte. Giordana adotta uno stile vagamente espressionista - che peraltro gli appartiene da sempre - e questo gli consente di non appiattirsi nella (in)espressività e povertà da fiction-del-lunedì-sera-Rai (rischio che è sempre in agguato in questi casi: Rai Cinema per di più, è tra i produttori, dunque la destinazione televisiva è parte del progetto). Le cose migliori di Romanzo di una strage, sono le parti più nebbiose, milanesi e lugubri: l’attentato ad esempio e le cariche della polizia a inizio film, o il personaggio di Aldo Moro, che diventa qui una sorta di Cassandra che vede-sente l’apocalisse avvicinarsi ed è come schiantato dalla propria impossibilità ad agire. Che importa se il vero Moro non era così, conta che drammaturgicamente il personaggio abbia una sua forza, e costituisca l’unica vera invenzione del film (e Fabrizio Gifuni, gianmaria-volontèggiando, mette a segno un’interpretazione di tutto rispetto). Il film si lascia guardare, ma richiede uno sforzo di concentrazione notevole. Ogni battuta e ogni personaggio rimandano a passaggi chiave della nota vicenda, e si rischia spesso di farsi travolgere nel dedalo dei fatti e soprattutto delle congetture.Altro da dire? Gli attori, per esempio. Schierato quasi tutto l’esercito dell’engagement di Cinecittà. Favino (Pinelli) arriva al suo quarto film in poco più di due mesi (sempre bravo, però un po’ di vacanza gli ci vorrebbe). Valerio Mastandrea (Calabresi) è il più bravo di tutti, e con la sua aria mite e la sua interpretazione trattenuta e depotenziata – stile Mastandrea per l’appunto – contribuisce in modo decisivo alla revisione che gli autori fanno del personaggio del commissario. Molto credibile Michela Cescon nei panni di Licia Pinelli e una menzione speciale la meritano il Ventura di Denis Fasolo e il Freda di Giorgio Marchesi, che sembrano usciti da un altro film, più aggressivo e squilibrato, più vicino al genere ma non per questo meno politico. Pressoché inutili invece, il cameo di Luigi Lo Cascio nei panni del giudice Paolillo o quello di Luca Zingaretti al quale è concessa mezza battuta e tre nano secondi di pellicola.Ah sì, c’è anche Laura Chiatti nel ruolo di Gemma Calabresi, sempre incinta: nell’arco del film mette al mondo ben tre figli.
voto: 6.5
Voto redazione:------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Ang: 6.5   |  Presidente: 6

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