L’incontro: parlami

Da Andrea Venturotti

Terzo appuntamento con la mia collaborazione con giulia di nuccio.
Il tema della storia di oggi è “l’incontro”.
Come sempre ognuno di noi ha scritto una storia senza influenzarci a vicenda. Ovviamente, i risultati sono stati diversissimi. Buona lettura!


PARLAMI

Incontrai me stesso in un posto nuovo.
Nulla da bere, nulla da mangiare, nulla che ci potesse in qualche modo distrarre da quello che da li a poco ci saremo dovuti dire.
Adesso ci diciamo tutto quello che non ci piace di noi ok?
“ok” rispose l’altro me.
“Io odio quando accenni quel cazzo di sorriso alle persone che non ti danno nulla e alle quali dici sempre e comunque di si. Per cosa poi? Per sentirti utile e avere uno scopo nella vita?” cominciai.
“Ah si? Vogliamo parlare dei tuoi datori di lavoro che ti hanno fatto tante promesse per poi lasciarti a casa senza dirti nemmeno addio? Ah, è vero, non ti avevano nemmeno dato il benvenuto, che pretendo!” ribatte quella carogna.
“Senti bello, non è colpa mia se incontro tutti stronzi che macinano parole su parole e poi quando devono mettere una mezza sigla su un contratto si tirano indietro!”gli risposi senza battere ciglio.
“Certo, il problema è che sei tu il sognatore che pensa sempre che tutto andrà per il meglio. Cosa credi? Credi davvero che impegnandoti al 110% a gratis quei due stronzi che ti danno lavoro ti pagheranno di più? Ah no! Ritorniamo al discorso della soddisfazione personale. Tutte puttanate, che ti piaccia o no!”. Rincarò la dose.
“Ma parli proprio tu che hai intenzione di scrivere non uno, ma ben due libri in contemporanea senza aver mai studiato mezzo poeta? La poesia non la capisci, i romanzi non li ricordi a meno che non ti scrivi dieci pagine su chi sono i personaggi e tutto il resto. Come puoi pretendere di scrivere un TUO libro eh?”
“Ce la farò, rincoglionito! Sempre meglio che stare davanti ai videogiochi e comprare centinaia di cose elettroniche che manco ti servono! Devo ricordarti gli ottimi 160€ spesi in una console portatile che hai acceso due volte?”. Lo punzecchiai.
“Quello si chiama collezionismo e passione, se non te ne fossi accorto, camera nostra è una figata pazzesca con tutta quella roba, e comunque, pensi davvero che un giorno riuscirai a pubblicare un libro? Davvero pensi che potrai guadagnarci qualcosa? Conoscendoti lo pubblicherà il primo stronzo che passa e prenderà i soldi che ti spetterebbero a te”.
“Sinceramente non trovo che un sacco di videogiochi messi su uno scaffale rendano la nostra camera bella. Lo sai che abbiamo due gusti differenti in quanto a bello. Tu pensa ai videogiochi che io penso a comprare montagne di libri e un sacco di film belli. Quelli si che sono ricordi belli!”
“Mi dispiace, perchè comunque ci metti l’anima, e qualcosa in cambio meriteresti, e invece mi tocca sopportarti quando giustamente ti tocca prenderti del tempo per te stesso semmai rischi l’esaurimento. Dimmi. Ma a te. Che cazzo ti piace fare? Non te l’ho mai chiesto in 21 anni!”.
“Odio il silenzio. La parte peggiore della giornata è quella che mi costringe ad andare a letto e prendere sonno, senza dover pensare a nulla, in attesa della modalità stand by. Odio non avere il tutto sotto controllo, il non sentire nulla attorno a me, il sentirmi ovattato da tutto il resto. Devo sempre restare a contatto con la realtà. Si dice che ogni sera si sogna. Com’è che io sogno una volta ogni 4 anni come le olimpiadi? Mi piace circondarmi di gente, musica, odori, film, libri… ogni cosa che possa raccontare una storia. La vita per me è circondarmi di tante storie diverse e passarmele in testa ogni sera e cadere nel sonno per sfinimento più che per piacere. Mi piace viaggiare. Se penso che vivendo Parigi per soli tre giorni avrò materiale sufficiente da raccontare centinaia di storia, mi chiedo come sarebbe vivere ogni posto del mondo anche per solo un ora. Vivendo una vita che corre spedita come un TGV ho capito che i cinque minuti che la gente definisce come “attimo” in realtà sono cinque minuti che possono cambiare l’andamento di una giornata. Non ragiono più a minuti da anni. Ormai viaggio la mia vita secondo per secondo, apprezzando o disprezzando ogni cosa. Ho un’idea e un pensiero su tutto. Questo è quello che mi piace fare. Appena scopro di non sapere un qualcosa cerco di arricchirmi in qualunque maniera possibile. Amo arricchirmi. Ecco cosa mi piace fare. Ogni cosa che ho intorno in qualche modo, nel bene e nel male, mi arricchisce. Poi come ovvio che sia ci sono le cose, cosi come le persone, che passano nella tua vita per cinque minuti e vengono ricordate come una foto sbiadita, altre, passano e ti si incastonano nel cuore come un diamante si alloggia in un anello secolare. Che tu ci creda o no, caro me stesso, serpe che non sei altro, a me la mia vita piace e sono orgoglioso delle passioni che mi porto dietro. Tu pensa a farmi la paternale quando le cose vanno male. Io, nel mentre, continuo a vivere e godere di ogni cosa che questo gigantesco viaggio, tutt’altro che infinito, mi regala secondo dopo secondo”.

Mi alzai da quel posto che nuovo più non era. Diedi uno schiaffetto affettuoso al me stesso li davanti e lo lasciai con la bocca spalancata e gli occhi vitrei.

Questo racconto, ovviamente personale, vuole essere un incontro, più che con se stessi, con la vita in generale. Non possiamo sapere il posto in cui andremo, ma possiamo e dobbiamo essere consapevoli di chi siamo.


LUCKY

IL DESTINO HA SEMPRE RAGIONE

Il caldo non ne voleva sapere di concedere una piccola e breve tregua.

Milano alle due del pomeriggio era deserta, nessuno osava mettere nemmeno un dito fuori casa. I giorni di caldo sembravano non terminare mai e nemmeno un misero tuffo nella piscinetta della nipote del suo fidanzato l’avrebbe salvata da quel martirio.

Quel giorno, aveva deciso di sfidare qualsiasi regola ed era uscita.

Aveva girato tutte le case editrici di Milano e persino della provincia, tutte quel giorno! Le sembrava di aver girato mezzo mondo. Possibile che in tutto quello spazio immenso nessuno volesse almeno dare un’occhiata al suo romanzo? Una piccola occhiata distratta? No nulla! Niente di niente!

Francesca era stufa, si era ripromessa di emigrare se nessuno le avesse dato una possibilità. Forse in un altro paese le cose sarebbero andate meglio, forse le chance bisogna cercarle meglio?

Possibile che in Italia non si dà mai spazio alla creatività e al talento?”continuava a pensare ogni volta che usciva da una casa editrice e ne rimaneva delusa.

Si diresse verso la metropolitana, l’aria calda la stava facendo impazzire, doveva tornare assolutamente a casa, dalla sua aria condizionata e la sua pace nella periferia di Milano.

Imboccò il tunnel della metropolitana, con lo sguardo fisso verso l’ignoto e il vuoto. Si sentiva sola in mezzo a tanta gente, il vociare delle persone di ritorno da chissà quale lavoro, che lei non avrebbe mai avuto, la facevano sentire come in una campana, i suoni erano assordanti e sopiti dalla sua mente impegnata a pensare a cosa era andato storto anche quel giorno.

La voce falsa e metallica della linea rossa annunciò l’arrivo della sua metro, le porte si aprirono e come un fiume in piena all’apertura della diga, la gente scese freneticamente, quasi stesse raggiungendo qualcosa di incredibilmente desiderabile. Francesca lì osservò annoiata e spazientita, odiava quell’aspetto della metro, sempre piena, ma mai di gente interessante.

Salì e si posizionò in piedi vicino all’uscita. Non doveva fare molte fermate, poteva lasciare il posto a qualcun altro. Come al solito c’era sempre l’ultimo, quello che correva e apriva le porte al volo prima che il macchinista le bloccasse definitivamente.

Francesca guardava sempre storto quelle persone, che fretta potevano avere? C’era una metropolitana ogni minuto. Che sarà mai un minuto?

Alzò lo sguardo pronta a maledire quella persona, ma nel momento in cui il suo sguardo incontrò quello del malcapitato ritardario, Francesca ebbe come un sussulto, come se si trovasse nel film Sliding Doors.

Lo riconobbe, era lui, proprio lui, il suo compagno di università, il figlio di uno dei più grandi editori di Milano, quello che non aveva voglia di scrivere neanche un tema, ma che avrebbe pubblicato tre libri solo durante la sua carriera universitaria.

Girò lo sguardo, fece finta di non aver capito, di non essere lei, di non aver visto nessuno, aveva voglia di sprofondare, di fuggire, ma mancavano ancora tre fermate.

Ma perché ho il vizio di osservare la gente! Accidenti!” pensò fra se e se, mentre si malediceva per non essere più spavalda e andare a parlare con Pierandrea! “Ma poi che razza di genitore sano di mente può dare un nome del genere al proprio figlio?” pensò divertita Francesca.

Proprio quando aprì il suo libro, si immerse nella lettura, senza degnare di uno sguardo Pierandrea, si sentì chiamare.

Francesca, ma quanto tempo!”

Oh Pierandrea, non ti avevo riconsociuto!”

Per favore, chiamami solo Andrea, siamo amici no?”

Ehm si, certo!”

Che fai di bello?”

La disoccupata!”

Ma come? Una ragazza brillante come te?”

Si vede che non basta!”

Senti, scrivi ancora?”

Certamente, ma credo che il mio futuro non sia più la scrittura!”

Non dire sciocchezze, sarò anche un tipo come dire..”

Raccomandato?”

Hai ragione, sono raccomandato, ma ho fiuto per i talenti e di te mi ricordo molto bene!”

Allora perché non mi hai mai chiamata inutile idiota!” pensò nervosamente Francesca.

Scusa forse sono troppo sfacciato!”

No figurati!”

Senti so che magari può sembrare come dire, un calcio d’angolo, ma questo è il mio biglietto da visita, chiamami!”

Francesca prese quel minuscolo pezzo di carta, lo osservò, la grafica era semplice, ma efficace, lo prese e lo mise in tasca, non aveva nulla da perdere in fondo.

Grazie Pierandrea! Ne terrò conto!”

Andrea…please! E non tardare, il treno passa una volta sola!”

Andrea please!!” bonfonchiò Francesca tra sè con un lieve sorriso.

Scese dal treno così come ne era entrato: di corsa! Francesca non sapeva cosa pensare, mise il biglietto in tasca e scese alla fermata successiva. Il sole si era nascosto dietro le nuvole, il vento si era fatto fresco, forse il tempo voleva darle una tregua per farla riflettere bene sul suo futuro. Per tutto il tragitto pensò a cosa fare, si sentiva combattuta. Non voleva chiamare, non voleva essere raccomandata, ma il suo sogno poteva realizzarsi.

Tornò a casa, si preparò una tazza di caffè e accese il suo pc. Aprì il programma di posta elettronica e per la prima volta la pagina bianca sembrava volesse rimanere tale.

Scrisse una mail breve, concisa e piuttosto formale, era il massimo che poteva fare. Aggiunse il suo file in word e con un attimo di esitazione cliccò sul tato “INVIO”.

Dormì tutta la notte, non aveva nulla da perdere e in fondo una bella dormita non le avrebbe fatto di certo male.

La mattina seguente si azlò presto, si sentiva ispirata, avrebbe scritto un bel articolo sul suo blog, quel giorno sarebbe stato dedicato alla scrittura!

Il computer si accese, era pronto per l’uso, Francesca esitò per un attimo, non sapeva se guardare la posta elettronica o lasciare passare almeno quel giorno. Pierandrea era stato piuttosto chiaro, doveva sbrigarsi, ma Francesca temeva che questa fretta riguardasse solo lei. Aveva paura di rimanere delusa per l’ennesima volta, ma poi pensò che non aveva nulla da perdere, perciò aprì la posta.

Gent.ma Francesca,

il nostro ufficio stampa ha visionato il suo operato. Siamo lieti di informarla che troviamo il suo romanzo interessante, le proponiamo un incontro con il nostro responsabile Pierandrea Garzanti, lunedì alle ore 08:00 presso la nostra sede.”

Un lieve e speranzoso sorriso fece muovere le sue piccole labbra, i suoi occhi si aprirono in un piccolo e silenzioso pianto di gioia.


GIULIA DE NUCCIO


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