Sono trascorse poche ore dal devastante terremoto d’intensità 8.9 della scala Richter che ha colpito il Giappone, e la notizia del governo nipponico, che ha dichiarato lo “stato di emergenza nucleare”, rimbalza nel bel paese. Infatti, come non tutti sanno, il 12 giugno i cittadini italiani saranno chiamati a votare al referendum per abrogare la proposta di legge per la costruzione delle centrali nucleari in Italia.
Ora la domanda è semplice ed intuitiva: il Giappone è uno dei paesi più
Di fronte all’incubo di una catastrofe atomica però la parola d’ordine della lobby nucleare nostrana è “minimizzare”. Basti sentire i vari politici nuclearisti tra cui Pier Ferdinando Casini (UDC), Fabrizio Cicchitto (PDL) che continuano a tener fede alla “follia atomica”, o Gianfranco Fini (FLI) che consiglia di non “farsi prendere dall’emotività”, o il ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo che parla di “centrali italiane con grandi differenze strutturali da quelle incriminate, tanto da rendere tecnicamente impossibile quello è successo in Giappone”, o i vari Chicco Testa (che nel suo Forum Nucleare Italiano negava la fuoriuscita di radiazioni dalla centrale nucleare di Fukushima, notizia riportata da tutti i media e confermata dal governo giapponese) o Umberto Veronesi, tutte personalità che dichiarandosi esperte, più o meno a ragione, fuorviano l’opinione pubblica, forse per il semplice fatto che hanno in ballo ben più loschi fini economici e interessi commerciali?
Anche di fronte all’incidente giapponese quindi, di cui ancora non si conoscono le sorti, ora più che mai, ci vorrebbe una certa cautela nell’avvallare un ritorno al nucleare italiano, ma i nostri politici, fingendo d’essere dei teorici di fisica nucleare, parlano apertamente di argomenti che non conoscono, come sicurezza e pericolosità ad esempio, temi che la tragedia nipponica sta lentamente mettendo a nudo. Basti pensare che le centrali nucleari di Fukushima e Onagawa, oggi in gravissime condizioni, sono state costruite per sopportare un terremoto di 8,5 gradi della scala Richter, ma ne è arrivato uno di 8,9 che ha fatto cedere le strutture. Pensate che se il terremoto dell’Aquila fosse stato della stessa devastante potenza, avrebbe raso al suolo tutto il centro Italia, Roma compresa. Chi ci assicura che un giorno non arriverà una devastazione tale anche nel nostro paese? Vista l’ironia del destino, arriverà subito dopo la costruzione delle fantomatiche centrali, progettate per resistere a scosse di massimo 7,1 gradi. Per scongiurare un disastro alla Chernobyl le autorità nipponiche hanno predisposto l’evacuazione di centinaia di migliaia di persone dalle aree intorno alle centrali. Per ora le informazione sono limitate, si parla di un tecnico morto, undici contaminati e un livello di radiazioni pari a 1000 volte i limiti consentiti, tanto che un’ora di esposizione equivale alla quantità radioattiva assorbita in un intero anno. Certo nelle centrali giapponesi il reattore è stato fermato, ma la sicurezza sta nel riuscire subito a raffreddarlo ed è questo che non sempre si è in grado di garantire. Ora nella centrale di Fukushima lo si sta facendo con acqua marina, ma il pericolo è tutt’altro che cessato. Gli pseudo esperti pro nucleare ovviamente diranno che è tutto sotto controllo, che i danni sono lievi o che comunque la centrale, nonostante tutto, ha tenuto, mentre è un’enorme bomba atomica pronta ad esplodere.
Bastano questi pochi dati a far ragionare sulla pericolosità del nucleare, soprattutto nella nostra malsana Italia, in cui le case sono costruite con la sabbia e in cui il terremoto del 6 aprile 2009 ha causato danni incalcolabili e 300 morti, mentre in Giappone non avrebbe fatto cadere nemmeno un cornicione come ha osservato il geologo Mario Tozzi. Inoltre, se a tutto ciò aggiungiamo i vantaggi, l’efficienza energetica, l’economicità, il risparmio e il bassissimo impatto ambientale delle energie rinnovabili, il nucleare diventa il simbolo macabro di un futuro incerto e pericoloso. Le centrali atomiche quindi sono ovviamente una follia criminale verso l’umanità, non sono convenienti, né economiche, né tantomeno sicure perché sempre più vulnerabili a una combinazione di rischi legati ad eventi esterni come i terremoti o agli errori umani o i difetti progettuali.
È per questo che nel nostro già martoriato paese non possiamo permetterci di correre un rischio così grande. Se
Alice Secchi