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L’India di Modi tra spinte nazionaliste e aspirazioni mondiali

Creato il 20 maggio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Guido Travaglianti

Le elezioni politiche indiane, le più grandi al mondo di un Paese democratico, si sono svolte nell’arco temporale di cinque settimane (dal 7 aprile al 12 maggio) registrando un’affluenza record di votanti (oltre 551 milioni), pari al 66,4% degli aventi diritto. Il voto popolare indiano ha sancito l’ascesa al governo del Partito Nazionalista Hindu (Bharatiya Janata Party, BJP) guidato da Narendra Modi. Gli elettori hanno punito il governo dell’Indian National Congress (INC) – partito laico di centro-sinistra che ha guidato quasi ininterrottamente il Paese dal 1947 – a seguito di politiche economiche poco incisive, di un diffuso malcontento per il carovita e per una corruzione ormai dilagante. Il nazionalista Modi, decisionista e pragmatico, si è imposto come l’uomo forte dell’India, conquistando 282 seggi e ottenendo così la maggioranza assoluta del Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Se consideriamo l’intera coalizione di centro-destra guidata dal BJP, i seggi conquistati salgono a quota 336.

Narendra Modi, 63 anni, figlio di un venditore di tè di casta ghanchi, uno dei ranghi più bassi del sistema delle caste che ancora permea la società indiana, ex governatore dello Stato del Gujarat dal 2001, nell’India occidentale, è riuscito nell’ardua impresa di detronizzare la potente dinastia Nehru-Ghandi che guidò l’India verso l’indipendenza dalla madrepatria inglese e ne ha retto le sorti per ben quattro generazioni. Il National Congress di Sonia Ghandi, del figlio candidato Premier Rahul e della figlia Priyanka, ha registrato una sonora sconfitta, crollando da 206 a 48 seggi: il peggior risultato dalla sua fondazione. Complessivamente, la coalizione di centro-sinistra a guida INC ha ottenuto soltanto 59 rappresentanti, contro i precedenti 231.

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Risultati ufficiali dell’Electoral Indian Commission

Gli Indiani hanno voluto premiare il “modello Gujarat” di Narendra Modi, sviluppatosi negli ultimi dieci anni a un tasso di crescita record del 10% del PIL, a fronte di un tasso nazionale del 5%. Durante i tredici anni alla guida del Gujarat, Modi ha perseguito una politica economica di stampo liberista, innescando un rapido sviluppo economico attraverso una politica fiscale espansiva, un poderoso piano d’infrastrutture pubbliche e un sostegno all’imprenditoria diretto ad attrarre un flusso d’investimenti esteri necessario per uno sviluppo economico di lungo periodo. Sin da quando ha dichiarato la sua corsa a candidato Premier dell’India, le corporazioni finanziarie e industriali, le quali possiedono gran parte dei mezzi d’informazione, hanno lanciato una efficace campagna elettorale. Dalla sua candidatura a Premier l’indice Sensex della borsa di Mumbai ha guadagnato il 22%, e negli ultimi mesi, 16 miliardi di dollari sono arrivati dai mercati esteri sui listini azionari e obbligazionari indiani.

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Confronto risultati elettorali – Fonte: Press Information Bureau India

Tuttavia, gli analisti e i governi occidentali temono che il nazionalismo hindu del BJP di Modi possa minacciare le minoranze etniche e religiose che caratterizzano il sub-continente indiano. Modi è stato accusato, infatti, di non aver fatto nulla per fermare o quanto meno ostacolare la strage del 2002 a Godhra, nel Gujarat, dove più di mille musulmani furono uccisi e centinaia costretti a fuggire a causa della rivolta scoppiata dopo che 59 pellegrini hindu persero la vita in un incendio procurato ad un treno di ritorno da una festività induista. All’epoca dei fatti il neo-Premier in pectore si disse addolorato per l’accaduto ma non si è mai scusato pubblicamente e fu accusato dalle comunità musulmane indiane (l’India conta oltre 180 milioni di musulmani, circa il 10% della popolazione totale) di aver ridotto i mezzi d’informazione al fine di tacere le violenze interreligiose che periodicamente attraversano i 29 Stati della Repubblica federale indiana. Da allora fu ritenuto “persona non grata” da Stati Uniti e Unione Europea, che gli ritirarono il visto d’ingresso, e soltanto di recente nuovamente concesso.

Modi dovrà dimostrare di essere il Primo Ministro di tutti gli Indiani e non soltanto dell’etnia religiosa maggioritaria hindu. Gli Indiani con il loro voto hanno espresso il loro disagio per le promesse tradite dal National Congress dell’ex Premier Singh, che dopo dieci anni di governo non è riuscito a introdurre le opportune riforme economiche, appiattendosi su una politica di sussidi saliti al 2,4% del PIL che ha portato ad un disavanzo pubblico al 68% del PIL. Inoltre, il partito del Congresso si è dimostrato incapace di bloccare la corruzione dilagante, inadeguato ad attrarre nuovi investimenti diretti esteri e non ha saputo innalzare le condizioni di vita della maggioranza della popolazione che versa in uno stato di povertà assoluta. Il 30% degli indiani vive infatti sotto la soglia di povertà, mentre il 45% della ricchezza nazionale è polarizzata nelle mani del 10% della popolazione. I sussidi pubblici non bastano più a una popolazione di oltre 1 miliardo e 242 milioni che chiede un sistema di welfare moderno che assicuri l’accesso all’educazione pubblica, alla sanità, all’approvvigionamento elettrico e idrico, ad infrastrutture che consentano il commercio di beni e il movimento delle persone. Inoltre, il governo di Singh non ha saputo porre un argine al preoccupante incremento annuo del numero di stupri di giovani donne indiane, a prova della discriminazione di genere, accentuata dalla rigida divisione in caste, di cui soffre la società indiana.

Gli Indiani chiedono dunque al futuro Premier di estendere quel modello vincente dal Gujarat a tutta l’India, in modo da riportare il PIL a un tasso di crescita del 10% annuo, rilanciare l’occupazione per un Paese che ogni anno ha un aumento della forza-lavoro di 12 milioni e che per essere assorbita necessita di un tasso di crescita dell’8-10% annuo. L’India di Modi, quale terza economia del mondo, dovrà dimostrarsi all’altezza delle attese dei suoi elettori. Altrimenti, New Delhi rischia di dissipare in breve tempo i milioni di laureati e i lavoratori specializzati di cui gode.

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Comparazione PIL tra Stati – Elaborazione dati Reserve Bank of India (RBI)

In politica interna, Modi dovrà in pochi mesi assicurare una stabilità politica tale da varare un piano di riforme strutturali in economia, nel farraginoso e spesso corrotto apparato burocratico e giudiziario, al fine di convincere gli investitori esteri a impegnare risorse in India e rilanciare il tasso di crescita annuo, assorbire la disoccupazione, diminuire il debito pubblico ed aumentare le entrate fiscali attraverso una redistribuzione della ricchezza nazionale che consenta la nascita di una classe media che spinga i consumi interni in modo da inaugurare un sentiero di crescita sostenibile, con una bilancia commerciale che non sia troppo sbilanciata sulle esportazioni di materie prime. La strada verso una crescita bilanciata dell’India passa necessariamente attraverso un’adeguata rete d’infrastrutture, il contrasto della corruzione a tutti i livelli, il miglioramento del sistema burocratico e giudiziario, gli investimenti in educazione, sanità, ricerca e sviluppo, la formazione di lavoratori specializzati e un armonico programma di privatizzazioni che favorisca la riduzione dell’inflazione (in questo momento all’8,6%) e del disavanzo pubblico anche attraverso una rivalutazione monetaria della rupia, nonché un potenziamento del settore industriale che pesa attualmente soltanto il 26,4% del PIL contro il 56,4% rappresentato dal settore terziario, vero pilastro dell’economia indiana. Lo stile pragmatico e decisionista di Modi aiuterà il suo governo a implementare le riforme necessarie allo sviluppo, benché non sarà facile né rapido e indolore estendere il “modello Gujarat” su scala nazionale.

In politica estera, l’India di Modi dovrà tentare di accrescere la propria assertività internazionale: «Il XXI secolo sarà il secolo dell’India», queste sono state le sue prime parole dopo la vittoria ufficiale. La crescita economica registrata nell’ultimo decennio ha accresciuto l’influenza dell’India quale attore regionale di primo piano in un’Asia dalle tendenze sempre più nazionaliste (ne sono il maggior esempio l’attuale governo giapponese di Shinzo Abe e quello cinese di Xi Jinping).  L’India odierna è una potenza nucleare, possiede il terzo esercito del mondo (la spesa per la difesa è pari al 2,5% del PIL), è membro del G20 ed esponente di spicco dei BRIC e aspira ad un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Tuttavia, la politica estera di Modi sarà probabilmente all’insegna del realismo politico piuttosto che dell’ideologia. Il pragmatico Narendra Modi seguirà come direttrici della sua agenda di politica estera le rotte commerciali indiane al fine di accrescerne l’influenza strategica nella contesa per la preminenza sul continente asiatico. L’India ha recentemente abbandonato la tradizione cautela nei confronti dei Paesi limitrofi inaugurando una politica regionale più dinamica.

Il deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Pakistan ha avvicinato Islamabad al dialogo con New Delhi allo scopo di allentare i controlli di frontiera e rimuovere parte dei vincoli all’export così da espandere gli scambi commerciali tra i due Paesi confinanti. L’aumento del flusso commerciale tra India e Pakistan potrebbe, di fatto, congelare l’annosa questione territoriale del Kashmir. Tale miglioramento delle relazioni indo-pakistane potrebbe spingere l’Amministrazione Obama ad avviare una rinnovata collaborazione politica ed economica con l’India, anche al fine di limitare l’espansione dell’influenza cinese nel sud-est asiatico, coerentemente con la direttrice di politica estera americana del Pivot to Asia. Da qui un miglioramento delle relazioni diplomatiche indiane con il Myanmar, anche grazie alle buone relazioni di Aung San Suu Kyi con l’India.

I rapporti bilaterali tra India e Sri Lanka, legato alla Cina da rapporti di collaborazione e reduce da una sanguinosa guerra civile culminata nel 2009 dalla definitiva sconfitta dei ribelli tamil dell’LTTE, restano tuttora problematici.

Anche nei confronti del Bangladesh, l’India ha adottato una politica estera di estrema cautela giacché il Bangladesh occupa una posizione strategica dal punto di vista geopolitico, considerato l’interesse cinese per Chittagong, base portuale sul Golfo del Bengala. New Delhi ha praticato un atteggiamento di non ingerenza nei confronti del Bangladesh, considerata l’instabilità politica di cui soffre il Paese. Tuttavia, data la posizione egemonica dell’India in Asia meridionale, è lecito ritenere che l’India di Modi accrescerà progressivamente il proprio dinamismo regionale in vista di un assetto stabile. Alla luce di ciò, è verosimile che l’India di Modi accrescerà la propria assertività internazionale nei confronti della Cina per il predominio in Asia meridionale e il controllo delle rotte commerciali dell’Oceano Indiano.

Quanto alle relazioni tra India e Russia, queste sono sostanzialmente mutate dai tempi dell’Unione Sovietica quando i due Paesi erano solidi alleati. Tuttavia, adesso India e Russia cooperano soprattutto nel settore energetico e militare ed hanno instaurato un dialogo trilaterale con la Cina allo scopo di discutere questioni regionali e internazionali.

Il riavvicinamento diplomatico tra India e Stati Uniti, in chiave di contenimento dell’espansionismo cinese, ha portato alla conclusione nel 2008 di un trattato di cooperazione in materia civile, tanto da riammettere l’India nel club delle potenze nucleari responsabili. Inoltre, l’amministrazione Obama si è spinta sino ad appoggiare la candidatura indiana al seggio di membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU, uno dei più importanti obiettivi di politica estera del governo di New Delhi per una definitiva affermazione entro il club ristretto delle maggiori potenze mondiali.

Quanto ai rapporti con l’Unione Europea, sebbene l’India stia trattando con Bruxelles un importante accordo di cooperazione economico-commerciale, New Delhi predilige intrattenere rapporti bilaterali con i singoli Paesi europei basati su relazioni economiche piuttosto che rivolgersi ad un organismo sovranazionale che considera privo di capacità decisionale.

Infine, i rapporti con l’Italia. Roma rappresenta il quarto partner commerciale europeo dell’India, le relazioni bilaterali si sono deteriorate a causa del caso Marò, scoppiato il 15 febbraio 2012 a seguito dell’uccisione di due pescatori indiani, al largo delle coste del Kerala. I due fucilieri di marina, Latorre e Girone, furono arrestati dalle autorità indiane e da allora la Corte del Kerala ha proceduto di rinvio in rinvio senza formulare un definitivo capo d’imputazione. Da allora si è aperto un difficile contenzioso diplomatico tra Roma e New Delhi, condizionato dal clima da campagna elettorale che la politica indiana si apprestava a vivere dapprima a livello locale e qualche mese più tardi con le consultazioni a livello federale e poi nazionale. A rendere più incandescente il clima interno hanno inciso anche le origini italiane di Sonia Gandhi, strumentalizzate appunto dall’opposizione nazionalista indiana per fini elettorali. Adesso, il cambio di governo a seguito della schiacciante vittoria del BJP potrebbe facilitare lo sblocco della controversia tra Italia e India. Il governo italiano ha recentemente cambiato strategia diplomatica, scegliendo la strada dell’internazionalizzazione della controversia. Dopo aver accettato per oltre due anni la giurisdizione indiana, il governo di Roma ha scelto la strada dell’arbitrato internazionale. Ciò significa che l’Italia ricusa la giurisdizione indiana a favore della giurisdizione della Corte dell’Aja. Tuttavia, l’arbitrato internazionale non esclude una soluzione negoziale del caso marò. L’Italia seguirà la tradizionale politica del doppio binario: la richiesta di un arbitrato internazionale e quella di un compromesso negoziale con il nuovo governo indiano al fine di salvaguardare gli interessi politici ed economici di entrambi i Paesi.

Vedremo dunque presto se l’India di Modi si rivelerà una rivoluzione copernicana per la giovane democrazia indiana o se resterà prigioniera delle sue spinte nazionaliste e delle divisioni etniche, religiose e di casta che pervadono da sempre la società indiana. Il realismo politico sinora dimostrato da Modi potrebbe costituire la più grande risorsa del nuovo governo al fine di una composizione pacifica delle divisioni interne e di una rinnovata aspirazione d’influenza mondiale di stampo pacifista.

 * Guido Travaglianti è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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Photo credit: Reuters/em>

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