5AVI è una testata giornalistica con base e occhio rivolto alla Toscana e a tutti gli “operatori” dell’arte e della cultura locale, che stimo e di cui ho ribloggato qui alcuni articoli di Michele Baldini, una delle teste più brillanti che conosca. Settimane fa una redattrice mi propone un’intervista su INDIA – Complice il silenzio, FRANTI. Perché era lì – Antistorie da una band non classificata e le cose di cui scrivo e vivo. Purtroppo è stata pesantemente riscritta, attribuendomi talvolta pensieri in cui non mi riconosco, cancellando del tutto una domanda-risposta che avevo sabotato per puro gioco e così via. Per esempio, non è vero che un mio sfizio è mangiare le ciabatte De Fonseca. Giorni fa ho proposto di rimediare agli errori alla redattrice nel riportare il mio pensiero, altrimenti pazienza, se loro erano contenti così io mi sarei accontentato. Ne è nata per loro una questione di stato, manco stessimo parlando di un’intervista a Pier Vittorio Tondelli per l’Espresso, in cui bastava ascoltarsi un po’ di più ma per ascoltarsi bisogna essere in due, e loro hanno preferito cancellare l’intervista, che puntualmente ripubblico qui con le mie risposte perché mi va che le leggiate, perché ci ho perso del tempo per dar forma al mio pensiero e perché penso che sia la dimostrazione che ne vale la pena di leggere 5AVI, a dispetto di questo equivoco di poco conto.
Così giovane e già così esperto in vari settori, dalla musica alle scienze sociali. Sembri una persona interessata a cogliere il mondo in tutte le sue sfumature. Cosa ti porta a viaggiare tanto e a fare esperienze diverse?
Sono solo un appassionato acerbo e per giunta autodidatta. Sono curioso e irrequieto entro serena e robusta costituzione, ho la fortuna di avere persone intorno a me che hanno accettato i miei colpi di testa e questo mi facilita nel dare libero sfogo a istinti più o meno premeditati di espressione, ascolto e ricerca. “Il viaggio non solo allarga la mente: le dà forma”, diceva Chatwin. Si può viaggiare dentro una stanza o intorno al mondo, e da qui viene il senso di tutto quello che cerco.
Dopo gli studi hai deciso di “abbandonare” la città e trasferirti in un posto immerso nei boschi – che in molti potrebbero ritenere lontano dalla “civiltà” – come Spedaletto, in provincia di Pistoia. Cosa c’è dietro questa tua decisione? Hai provato repulsione per la vita frenetica del mondo moderno? O è stata più forte la voglia di mettersi alla prova e tentare di vivere a “km 0”? Da quanto vivi lì? Te ne sei pentito o pensi sia stata una decisione saggia?
Premetto che sono venuto qui per caso: decisi in India di venire qui e quando tornai in Italia mi trovai nella condizione di fare i conti con questa bizzarria. Dopo due anni bellissimi quassù ancora non ho capito bene cosa mi è scattato dentro per fare una scelta simile, forse volevo vivere in un posto in cui prolungare le sensazioni legate al viaggio, all’India. Ma non ho una risposta e all’epoca avevo una domanda, ho ascoltato per l’ennesima volta l’istinto e sono venuto fin qui, dove ci sono poche persone, c’è tanto silenzio ed è tutto verde intorno. Ti senti parte di qualcosa di grande, della natura immanente, che resta. Al contempo ti senti piccolo, qualcosa di trascurabile, senza cui tutto andrebbe avanti come prima e questa per me è una sensazione che genera profondo benessere. Qui non puoi truffare circa te stesso, tutto amplifica come stai al mondo, è come se ogni pensiero e azione fosse calato dentro un altro tempo, un tempo lento.
Tra le tue pubblicazioni spicca un libro di poesie e un altro, che racconta il tuo viaggio in India. Due modi di raccontare le proprie emozioni molto diversi. Ce n’è uno che ti si addice di più?
Sono stati complementari e consequenziali nel processo che mi porta ad essere e scrivere quello che sono oggi. Ho parlato alle parole è un dialogo irriflesso con quel fantasma che ci cammina accanto, la cronaca generosa di un avvicinamento al silenzio, un ritorno dalla parola alla pagina bianca. India – Complice il silenzio per ovvi motivi cronologici e di esperienza, è il frutto e al contempo il seme delle mie opere pregresse e di qualcosa di improvviso che è accaduto nella mia vita e l’ha segnata, come questo viaggio d’un semestre, in solitaria e via terra tra Sri Lanka, India, Bhutan, Nepal, Tibet e Kashmir. Ne è nato un libricino strano e inclassificabile: una proposta di incontro tra la letteratura di viaggio e la poesia, una geografia sentimentale dell’India e la cronaca di un’esperienza interiore di transito e assenza.
Un ricordo dell’India che ti ha segnato in modo particolare.
Una due giorni assurda in cui incastri complicatissimi mi vedevano partire da Calcutta nel periodo del caldo infernale – 47-48° con picchi di umidità asfissianti – e un giorno e mezzo dopo dover salire su un piccolo aereo per il Bhutan, vennero ulteriormente complicati da alcune mie scelte a cascata deliberatamente suicide. Nel mezzo è successo di tutto – ho tirato un pugno a un ufficiale in servizio per difendere una giapponese da un principio di violenza, ho sventato una truffa della polizia a mio carico, mi sono svegliato col corpo ricoperto di scarafaggi sul treno più fetido di mesi e mesi di treni fetidi, ho vissuto un’esperienza se non mistica direi almeno religiosa, un militare indiano mi ha trattato come un fratello nel momento del bisogno, ho mentito reiteratamente sulla mia età all’ufficio immigrazione per ottenere un forte sconto sul visto, mi sono ritrovato da solo di notte in un piazzale circondato da un branco di randagi minacciosi e un pacchetto di biscotti regalatomi da uno sconosciuto mi ha probabilmente salvato la vita – e alla fine sono arrivato rocambolescamente all’aeroporto senza il biglietto che avevo acquistato settimane prima, ho raccontato la storia dei miei ultimi due giorni all’imbarco e mi hanno lasciato salire comunque sull’aereo. Avevo appena vissuto le ore più eccitanti, grottesche e complicate della mia vita e mi ero divertito come un matto. Quando l’aereo è partito eravamo solo tre passeggeri a bordo, stavo andando in uno di quei posti dove avevo sempre sognato di andare e dal finestrino si vedeva tutta la catena himalaiana in cui avrei passate il mese e mezzo a venire, concludendo così il mio viaggio nell’India classica; nei quattro mesi passati la mia vita era diventata un gioco, avevo imparato a non darle peso, a considerarla come qualcosa di cui alla fine si dovrà fare a meno. E così via. Ero immerso in pensieri simili con gioia mista a languore quando a un certo punto il pilota ci avvertì che alla nostra sinistra potevamo ammirare la terza montagna più alta del mondo dal finestrino. L’ho guardata, era incredibile e circondata da altre montagne ugualmente o quasi altissime e assolute. Sono esploso in una risata fragorosa, che ha sabotato ogni filtro imposto dalla coscienza: una risata che era emozione pura.
A breve uscirà anche una pubblicazione sullo storico gruppo punk dei “Franti”. Cosa ci racconti di questo tuo lavoro? Come hai conosciuto il gruppo e che cosa ti resta dalla collaborazione con il collettivo castelfranchese “Cani bastardi” che ti ha supportato nella stesura?
È la biografia immaginale di Franti, alla moda della band omonima ed eponimo di un decennio, di una città e di uno spirito – gli Ottanta, Torino e appunto Franti (il cattivo del libro Cuore d De Amicis, poi ripreso in chiave opposta da Eco, Bene, Manganelli…). Ne è nato un libro bizzarro e bizzoso, che racchiude scritti di ogni tipo su tutto ciò che, a nostra personalissimo sentire, è Franti oggi; dentro ci sono quattrocento pagine di vera libertà, un dvd con filmati e tracce audio inedite. Oltre trenta persone hanno creato questo libro a partire da un’idea, una passione. È stata l’avventura di un manipolo di bastardi di provincia e non – Cani Bastardi e Nautilus Autoproduzioni – che hanno dimostrato che oltre e dentro l’ignavia della società totemica di oggi c’è vita e fame di vita. Un’ avventura spericolata e a partire da questa siamo diventati amici, passando attraverso difficoltà insuperabili e esaltazioni primordiali.
Hai altri progetti al momento? A cosa stai lavorando? C’è un obiettivo che stai cercando di raggiungere?
Ne ho molti, ormai mi dico che nel tempo libero dalla scrittura lavoro, e l’obiettivo è portarli a termine.
Se ti dovessi descrivere in una parola, quale sceglieresti?
Antani.
Vuoi lasciarci con una tua poesia, a cui ti senti legato e che per è significativa?
“Sono felice.
Potrei aggiungere altri dettagli
ma la felicità sta nel toglierli.”