Sto parlando di quei 350 lavoratori ex Electrolux, ex ISI, oggi quasi persino ex operai (a novembre scade la cassa integrazione straordinaria) che da tre anni aspettano delle risposte e di cui questo blog si è occupato più volte.
Le risposte non sono mai arrivate, le promesse invece sì e pure tante. L’area industriale di Scandicci, in cui gravitano centinaia di famiglie e un indotto che coinvolge almeno due province, avrebbe dovuto diventare un bell’esempio di riqualificazione industriale. Dall’industria impattante della produzione di frigoriferi a quella più pulita dell’energia solare. Chi aveva scommesso allora, su questo progetto, è oggi agli arresti domiciliari per truffa ma questo non basta a restituire il lavoro.
I capannoni sono ancora lì, vuoti e immensi. In tutti questi mesi si è cercato un investitore (qualcuno è arrivato con delle proposte ma poi si è tirato indietro). Alla fine persino il curatore fallimentare ha dato forfait all’ultimo incontro presso il Ministero dello Sviluppo Economico, tenutosi qualche giorno fa.
Finchè al posto di investitori realmente interessati a sviluppare dei veri piani industriali arriveranno uomini con valigette gonfie di promesse, mandati dal politico di turno, a Scandicci, come in altri posti in Italia, non andremo da nessuna parte.
E da Scandicci, fanno sapere, di lavoro neanche l’ombra. Di quei 350 solo pochi sono riusciti a trovare un’altra occupazione. La crisi economica e l’invasione dei cinesi ha messo in ginocchio una zona che, come altre d’Italia, non riesce a risollevarsi. Anche la Piaggio di Pontedera non naviga in buone acque.
L’unica cosa certa, al momento, sono gli undici milioni di euro spesi in tre anni per pagare la cassa integrazione ai dipendenti (che tra l’altro l’Electrolux – ai tempi della sua fuoriuscita da Scandicci – aveva già versato con gli interessi) oltre a tutti i soldi spesi dalla Regione Toscana per la formazione degli operai che in azienda non sono mai rientrati.