L’inedito di New York

Da Dedalus642 @ivanomugnaini

Paolo Volponi, L’inedito di New York – Conversazione con Luigi Fontanella, Nino Aragno Editore, Torino, 2012
Recensione di Ivano Mugnaini

È un libro multiforme, L’inedito di New York. Lo si dice spesso, di molti volumi, non di rado in senso generico. In questo caso la definizione è esatta, specifica. La prima ripartizione è rilevabile fin dalla copertina: il libro racchiude una conversazione di Paolo Volponi con Luigi Fontanella, un’intervista registrata e diligentemente trascritta. In calce, nella postfazione, un accurato saggio critico su Volponi scritto da Giorgio Mobili. Fin qui la superficie, già di per sé ampia e suggestiva, in virtù del personaggio oggetto del dialogo e dello studio. Ma, aprendo il libro, si scopre, pagina dopo pagina, un mondo più ampio e ricco, variegato, in qualche modo inatteso all’interno di un’opera la cui collocazione è negli scaffali delle librerie riservati alla saggistica. Sono questi territori di confine, queste scoperte e queste sorprese, a fornire al lettore un valore aggiunto di assoluto rilievo, rendendo l’esplorazione di questo fertile ibrido del tutto coinvolgente.
Nell’introduzione Luigi Fontanella propone un suo personale ricordo di Paolo Volponi. Fin qui tutto normale e prevedibile. Ma, per fortuna, ci si accorge ben presto che è del tutto sui generis il modo di raccontare l’incontro ed il dialogo decennale, così come autentica, non formale o di maniera, è l’amicizia che lega l’intervistatore all’intervistato. Fontanella definisce Volponi “un grande scrittore-amico”. Il lettore smaliziato abituato ai vari teatrini della letteratura si aspetterebbe di scoprire, qualche pagina oltre, che l’amicizia è tale solo di nome, che la stima è stata in realtà un mero scambio di favori e di mielosi complimenti reciproci. Non è così. In virtù del carattere di Volponi e di quello di Fontanella, il dialogo è fatto di genuina, ruvida, dolce, disincantata e tenace schiettezza.
È grazie a questa spontaneità che l’intervista cattura, uscendo con una virata brusca dalle rotte già segnate e prevedibili, ed invadendo, a tratti, ambiti di ulteriori generi e suggestioni. Fontanella ha conosciuto Volponi prima come autore che come persona. A trentacinque anni gli scrisse una lettera esprimendo la sua ammirazione per il romanzo Corporale. La risposta di Volponi generò il primo incontro di persona, a Roma, nel 1979. La conoscenza con Volponi accompagna gli studi e l’esistenza di Fontanella per una vita intera. Contribuisce a rafforzare il binomio tra scrittura e vita, non in modo astratto ma concreto, rintracciabile passo passo nelle coordinate dei libri, dei dialoghi, dei viaggi, delle parole condivise. In questo senso non è forse eccessivo considerare questo Inedito di New York anche un lavoro narrativo, un romanzo di formazione. In senso ampio, certo, e, in virtù di questo, generoso di simboli, allegorie, cangianti morali della favola.
Il libro contiene una moltitudine di luoghi, date, tragitti, percorsi, metropoli trafficatissime e cittadine sconosciute, una per tutte Provo nello Utah, collocazione ideale per una vicenda apocalittica o per la scena di un road movie. I personaggi della vicenda sono un poeta-scrittore-critico che incontra uno scrittore che ammira da sempre. La sfida è un atto di affetto incondizionato. L’arma è la parola, quella per cui entrambi i personaggi hanno vissuto, quella per cui sono disposti a morire.
I due personaggi però sono troppo brillanti e astuti per incontrarsi per il duello-intervista in mezzo alla polvere. Il luogo ideale per lo scambio di frasi è una Caffetteria di Manhattan. Locale che piacerebbe anche a Woody Allen. Un posto in cui parlare di cose serie e cose lievi con il sottofondo di risa, voci, urla, traffico di macchine e di gente. Il luogo ideale per dire cose serie senza prendersi troppo sul serio. Sapendo che chi crede di possedere verità assolute distrugge la vita e la letteratura. Sapendo che, per i due amici dialoganti, letteratura e vita sono, nel profondo, la stessa cosa.
In questo contesto, lontano dall’Italia e da tutti i salotti ingessati e ingessanti, i due personaggi possono essere se stessi. Può venire fuori il caratteraccio di Volponi (proprio del resto di tutti coloro che un carattere lo possiedono), la sua forza immaginativa, la capacità di restare fedele alle proprie idee, letterarie e sociali, anche a costo di inimicarsi una parte della cosiddetta intellighenzia. Le domande che Fontanella pone al suo interlocutore sono precise, spesso asciutte, mirate. Non vuole mai Fontanella fare sfoggio di cultura e non desidera imporre traiettorie a lui gradite alle risposte. Questa lunga intervista mette in evidenza una dote rara, il desiderio reale di nutrirsi dei fonemi e delle sillabe, accumulandole, confrontandole in silenzio con il proprio punto di vista, la propria visione del mondo. Si tratta di un ruvido abbraccio, l’invito a guardare nella stessa direzione. Non a caso Fontanella utilizza, per definire la forza della frasi di Volponi, l’aggettivo prensile. Si crea, anzi si rinsalda, domanda dopo domanda, una fratellanza ideale, anche sulla base di un’amicizia condivisa complessa e travolgente, quella con Pasolini.
La sincerità delle risposte di Volponi è tanto spiazzante quanto arricchente. Tra le righe di questo libro si cela e si svela un panorama scomodo, quello del mondo letterario autentico, tra rivalità, invidie, frustrazioni, grandezze, miserie, fallimenti e nuove ricerche. La “presa diretta” è l’elemento propulsore di maggior vigore di questa intervista: Volponi non interpreta il ruolo di se stesso; vive la sua esistenza vera, mentre risponde sia a Fontanella che alla cameriera della caffetteria, si inebria e si imbestialisce al ricordo di libri felici o meno riusciti e critici che non ha mai sopportato. Mano a mano, con tatto ma anche con avida curiosità, Fontanella elenca una moltitudine di autori ed opere, soprattutto del Novecento, sollecitando il parere di Volponi. Le repliche sono asciutte, il più delle volte, e sempre prive di calcolo e di secondi fini, con un rispetto sobrio ma anche con il coraggio di dichiarare differenti schieramenti e cammini divergenti. La lista è lunghissima e gustosa. Citare tutti gli autori chiamati in causa è impossibile qui ed ora. Un’eccezione si può fare per Elsa Morante, ed in particolare per il suo La storia, romanzo il cui successo ebbe un effetto negativo per Volponi, imponendogli una preoccupata pausa di riflessione. Non nasconde e non nega tali rivalità, lo scrittore urbinate, con determinazione aperta, mai con atteggiamenti subdolamente velenosi. Con la foga di un’intelligenza aliena a facili compromessi, espressa tramite “il senso aspro, viscerale del suo sarcasmo”, come annota Fontanella, con il contrappunto, in imprevedibili frangenti, di “momenti di acuta dolcezza”. Il tutto però sempre con sobrietà nitida. Emerge, anche da questo libro-intervista, la capacità di Volponi di lottare, il suo agonismo coerente, tenace, sia sul piano letterario che su quello sociale e politico. La parola “impegno”, in quest’ottica, tra le pieghe delle frasi rese gesti concreti, riacquista una sua dimensione autentica. Ritrovano una dimensione ben precisa anche alcune delle parole chiave della vicenda biografica di Volponi: società, industria, operai, lavoro, e, non ultima, collegata da un nodo stretto a tutte le altre precedentemente citate, cultura. I discorsi di Volponi, sia quelli preparati per le aule magne universitarie sia quelli scambiati con un amico e collega scrittore sulle sedie di un bar newyorkese, sono un gesto, un’azione, materiale fatto di memoria su cui costruire nuovi edifici di pensiero. E le parole che oggi vengono vilipese, o, peggio, ignorate o irrise, operaio, diritto, lavoro, giustizia sociale, escono dalla naftalina degli armadi in cui qualcuno ha voluto riporle e confermano la loro stringente, necessaria, vitale attualità.
Nel maggio del 1989 Volponi regalò a Fontanella una copia con dedica del Le mosche del capitale. Di quell’incontro resta una foto, uno scatto ancora sereno, prima delle tragedie personali che avrebbero condotto alla morte prematura dello scrittore. Resta anche questo libro-intervista, ugualmente nitido e bene a fuoco, privo di effetti speciali e di ricerche di pose artefatte e innaturali. Rimane questo libro documentato, preciso, ricco di dati preziosi, ma anche di verve, di fantasia, di onestà intellettuale e umana. Tra le righe del volume si legge la storia quotidiana e vera, non imbellettata, sia della letteratura degli ultimi decenni sia della società italiana, tra crisi e anelito di rinascita, oppressioni abilmente celate e resistenze quotidiane. Le risposte di Volponi donano al lettore “l’indagine di una verità”, citando le sue stesse parole. Una verità, la sola possibile, visto che le verità assolute non sussistono, se non nella mente degli oppressori di ogni epoca e di ogni ambito. Un libro non facile dedicato ad un personaggio non facile, questo Inedito di New York. Proprio per questo vale assolutamente la pena leggerlo, strappando lo scrittore e l’uomo Volponi, come auspica Fontanella, ad uno strano, immeritato oblio. Il frutto di questa lettura è una riscoperta, la cui mappa è puntualmente tracciata dalle parole dello stesso Volponi: “Il progetto, la confidenza, l’esplorazione addolorata sono sempre modi di dare allarme a chi legge, di metterlo nella condizione di capire, di recepire, di mettersi più attentamente di fronte a se stesso e ai propri problemi. Quindi tutto questo è una crescita, morale e politica. [...] Rinnovare le parole, rinnovare proprio i termini della produzione letteraria come stimolo all’attività politica. Che porti via i politici dal loro mondo simulato, li porti a scoprire la verità. Siamo nel mondo della simulazione, della televisione: qui non c’è niente”. Questo libro-intervista risale agli anni Ottanta. Le parole che contiene, le idee che esprime, appartengono al nostro presente, e, come tali, vanno lette e assimilate.

Ivano Mugnaini



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