Questa malattia ha registrato una riduzione nella mortalità soprattutto per l'adozione di terapie più adeguate rispetto al passato.
L'infarto del miocardio è stato, insieme alle malattie tumorali, il grande spauracchio degli ultimi trent'anni sia per il numero di soggetti colpiti sia per quello dei morti. Le cause della malattia infartuale sono molte, alcune non ancora totalmente chiare. In sostanza, l'infarto cardiaco, o, più correttamente, del miocardio, è costituito dalla lesione e, spesso dalla morte, di una parte più o meno ampia del muscolo che fa contrarre il cuore e gli permette di esercitare la sua funzione di pompa. Queste lesioni sono conseguenti alla chiusura delle arterie coronariche (le arterie che portano ossigeno e materiali nutritivi al cuore) causata o da una trombosi (coagulo di sangue) o da emboli (frammenti di trombi) trasportati dal sangue e che possono chiudere sia i rami secondari sia quelli principali dei vasi coronarici.
La zona di miocardio servita dall'arteria che viene chiusa presenta tutta una serie di trasformazioni (diviene rigida, si indurisce, non è più in grado di svolgere la sua funzione contrattile) che sboccano poi nella comparsa di un infarto.
Sintomi - Paradossalmente, in non pochi casi, l'infarto del miocardio decorre in modo del tutto silente e soltanto un elettrocardiogramma registrato per motivi totalmente diversi (magari un controllo per qualche lavoro) può rivelare che nel passato si è avuto un infarto. Di solito, però, la lesione infartuale si associa alla comparsa di taluni sintomi che sono abbastanza significativi. Bisogna ricordare, come premessa, che la sintomatologia più dolorosa non sempre corrisponde alla forma più grave. Il segno caratteristico dell'infarto è, comunque, il dolore che può manifestarsi nelle condizioni più diverse: dopo un pasto copioso, durante la notte, in condizioni di assoluta quiete, oppure dopo uno sforzo fisico o una emozione intensa.
Il dolore compare in mezzo al petto e dà l'impressione al paziente di essere quasi schiacciato, ucciso da questa sensazione dolorosa. Può diffondersi alla spalla-braccio sinistro, oppure al collo, al braccio destro o a entrambe le braccia (nel caso di infarto posteriore). Si può avere anche una localizzazione allo stomaco, il che può fare sospettare una lesione gastrica anziché cardiaca. La durata della manifestazione può variare da qualche minuto a ore o, addirittura, a giorni: il paziente si sente debolissimo, la cute è fredda, il colore è contraddistinto da un pallore intenso, la pulsazione è molto frequente, il polso è piccolo. Il quadro poi è dominato da un violento senso d'angoscia, "senso di morte", associato a un'estrema irrequietezza.
Nei momenti iniziali della malattia infartuale si verifica talvolta un incremento della pressione arteriosa, conseguente a stimolazioni sia di tipo nervoso che ormonale (adrenalina), che provocano la chiusura (costrizione) dei vasi periferici e un allargamento (dilatazione) di quelli coronarici. Si tratta di una tipica reazione di difesa dell'organismo, che tenta in tale modo di garantire una maggiore irrorazione al miocardio minacciato. Successivamente si ha, però, una riduzione della pressione arteriosa e si giunge spesso al collasso cardiovascolare.
Questi sintomi caratterizzano il quadro "acuto" dell'infarto miocardico. Superata questa fase, scompaiono anche i sintomi e il decorso, solitamente, non presenta particolari caratteristiche. Successivamente, dalle zone (o zona) lese del miocardio penetrano nel sangue sostanze che provengono dai tessuti colpiti (sostanze proteiche, enzimi). Di conseguenza si ha un lieve aumento della temperatura corporea (37,5°-38,5°), un aumento dei globuli bianchi e della velocità di eritrosedimentazione. Questi dati, unitamente alla determinazione degli enzimi presenti nel plasma, permettono di porre con maggiore certezza la diagnosi che sarà, comunque, già stata posta subito dopo l'attacco acuto, mediante il controllo elettrocardiografico e l'osservazione dei dati clinici. Tra gli attacchi di angina pectoris e quelli dell'infarto miocardico esistono differenze che permettono di differenziare queste due forme morbose e, quindi, procedere a un trattamento diverso: nell'angina pectoris la durata della manifestazione dolorosa è più breve (al di sotto dei dieci minuti, mentre nell'infarto è al di sopra di questo tempo), la sensibilità alla trinitrina (un farmaco che elimina i dolori anginosi) è elevata nell'angina e debole nell'infarto; inoltre in quest'ultimo la pressione arteriosa è, generalmente, abbassata mentre nell'angina appare aumentata. Anche il tracciato elettrocardiografico è notevolmente diverso: nell'angina si hanno segni di ischemia (diminuzione dell'afflusso sanguigno in una determinata zona), mentre nell'infarto il sintomo più importante è la necrosi (morte del tessuto). Gli esami del sangue risultano pressoché normali nell'angina e alterati (particolarmente nel contenuto in enzimi) nell'infarto miocardico.
Terapia - La terapia dell'infarto richiede tempestività e precisione, per consentire non soltanto di superare il periodo acuto, ma anche di limitare al massimo l'estensione della zona necrotica per potere garantire una buona contrattilità al miocardio. Per prima cosa bisogna combattere il dolore e garantire al paziente un riposo assoluto per alcuni giorni. Come terapia successiva si provvederà poi, a seconda dei casi, a somministrare preparati antiaritmici o stimoli elettrici, diuretici e vasodilatatori (se si manifesta una insufficienza ventricolare sinistra), nitroderivati o calcio-antagonisti (se persiste il dolore di tipo anginoso), beta-bloccanti (nel caso di tachicardia), antiaggreganti o anticoagulanti. Una recidiva dell'infarto può verificarsi entro qualche ora o qualche giorno dal primo infarto. Nel caso di un decorso normale, gli esami del sangue risulteranno normali dopo 15-20 giorni, mentre il tracciato elettrocardiografico si normalizzerà dopo sei-sette mesi.
E possibile anche, in particolari casi, una terapia chirurgica, che provvederà alla resezione della zona colpita da infarto miocardico, alla rivascolarizzazione (cioè consentirà di fare nuovamente circolare il sangue nell'arteria prima chiusa mediante un innesto venoso), alla chiusura di un eventuale difetto del setto cardiaco o alla sostituzione di una valvola mitralica.
Unità coronariche - Un importante aiuto alla lotta contro la mortalità da infarto ha dato la creazione di particolari reparti chiamati "Unità coronariche" o "Unità di Terapia Intensiva Coronarica", in cui i pazienti vengono monitorati (cioè controllati mediante un impianto televisivo) 24 ore su 24. Inoltre apparecchiature automatizzate segnalano immediatamente alle infermiere di guardia il verificarsi di alterazioni del ritmo cardiaco o il manifestarsi di insufficienze cardiache. In queste unità è possibile utilizzare in condizioni di piena sicurezza qualsiasi terapia cardiaca: è stata proprio questa possibilità che ha consentito di ridurre nettamente l'insorgenza di gravi complicazioni che si concludevano quasi sempre con la morte del paziente.
Pronto soccorso - Nel caso di una manifestazione infartuale bisogna chiamare immediatamente l'autoambulanza. In attesa del suo arrivo si deve evitare qualsiasi sforzo al paziente che sarà fatto stendere a letto, mantenendogli la testa alzata da due cuscini (così da facilitare la respirazione). In caso di svenimento, vanno praticati il massaggio cardiaco esterno e la respirazione artificiale.
Dieta - L'alimentazione ha, indubbiamente, una importanza notevole sia nella prevenzione sia durante la terapia della malattia. Come prevenzione è soprattutto importante non sovraccaricare mai lo stomaco, così da non costringere il cuore a uno sforzo eccessivo. Dopo l'attacco, nei primi due giorni si dovrà seguire una dieta esclusivamente liquida; in seguito (per altri quattro-cinque giorni), si potrà usare una dieta ipocalorica tale da non superare le 850-1200 calorie. Dopo 7-10 giorni la dieta potrà essere più completa e comprendere tè, latte o caffè d'orzo al mattino; riso, pesce lesso, lattuga e frutta al mezzogiorno; tè e biscotti senza uova o yoghurt o frutta alle quattro; minestra, uovo, formaggio (soprattutto ricotta), frutta e poco pane, alla sera.