Il 16 ottobre 1943 i tedeschi misero in atto la razzia del quartiere ebraico di Roma
Un giovane fissò su carta quei momenti
ALDO GAY era un giovanotto romano come tanti, cresciuto tra il Ghetto e Trastevere, che amava la pittura e la boxe. Prese piena coscienza del fatto di essere ebreo solo quando, all'ingresso della palestra che da tempo frequentava, un giorno venne respinto perché ebreo. Era l'autunno del 1938 e da poco erano entrate in vigore le leggi razziali: agli ebrei non era consentito frequentare le scuole del Regno, non era consentito avere personale cattolico alle proprie dipendenze, non era consentito nemmeno frequentare una palestra.
Da quel giorno la vita di Aldo Gay come quella di altre migliaia di romani e di italiani cambiò. E ancora più drammaticamente cambiò quando, dopo l'armistizio del 1943, Roma venne occupata dai tedeschi. "Capisci, caro Sandro - scriverà Aldo Gay al figlio - eravamo tutti nella stessa barca, avevamo bisogno l'uno dell'altro e da un momento all'altro, improvvisamente gli eventi ci piombarono addosso come macigni.
L'odio deflagrò come una bomba, la tempesta si scatenò senza neanche darci il tempo di pensare e prendere una decisione.
Mi trovai, anzi ci trovammo, a scappare continuamente come la lepre cui la volpe corre dietro, con la sola differenza che noi riuscivamo a vedere il cacciatore a cavallo, sadico, invasato ma soprattutto soddisfatto di agguantare la sua preda... Si fuggiva, ognuno con gli altri e ognuno con nessuno... Si fuggiva...".
Ma anche nella fuga Aldo Gay prende appunti, scrive qualche nota, ma soprattutto fa schizzi, disegna, e sono i disegni che affiderà al figlio, Sandro. Gelosamente conservati per anni, quei disegni sono oggi esposti in una sala del Vittoriano, a Roma. "Attraverso le sue matite" scrive Walter Veltroni nella sua introduzione, "nei block notes che portano sul frontespizio i simboli del regime, viene raccontata per immagini la storia di quegli ebrei di Roma, di quei romani che non hanno potuto raccontare perché messi a tacere per sempre con un atto di enorme barbarie".
Sono disegni semplici, che ripercorrono le vicende degli ebrei romani nel corso di quei tragici mesi.
Particolarmente efficace la tavola che illustra la Goldaktion la consegna dei cinquanta chili d'oro che erano stati richiesti da Herbert Kappler, come prezzo per la tranquillità della comunità ebraica romana.
In 36 ore, il termine massimo concesso da Kappler, l'oro richiesto venne raccolto: ognuno offrì quello che aveva, un anello, una collanina, un bracciale, una fede, gli orecchini. E l'oro venne regolarmente consegnato a Via Tasso sede della polizia tedesca il 28 settembre.
Nella tavola che illustra questa consegna (oro in cambio della vita) la infame bilancia è in primo piano, piantata al centro di una croce uncinata Dai due piatti pendono i piccoli oggetti offerti dalle donne, dai bambini, dai vecchi del ghetto. Sullo sfondo le fiamme alte della menorah sembrano il preannuncio dei forni crematori.
Diciotto giorni dopo, il 16 ottobre, all'alba avrà luogo la retata : il ghetto viene circondato, uomini donne e bambini verranno deportati nei campi di Auschwitz e Mathausen e ben pochi faranno ritorno.
"Il 16 ottobre era una giornata fredda. La mattina una signora vicina, cattolica, ci bussa. Noi dormivamo tutti. "Scappate, scappate... Stanno a prende tutti gli ebrei..."" racconterà Ester Calò, deportata ad Auschwitz. E Leone Di Veroli "Il 16 ottobre io mi sono salvato unicamente per gli strilli di una signora che abitava di fronte al palazzo mio. Io sono salito all'ultimo piano, lì c'era un cassone dell'acqua mi sono messo lì dentro. Chi strillava, chi sbraiatava e io sentivo tutto ma non mi sono mosso. Passata un'oretta ho sentito che c'era un po' più di calma, e sono sceso. Non c'era più né papà né le mie sorelle né nonno".
Il nostro pittore sfugge alla retata (non abitava più nel Ghetto ma al di là del fiume, verso Monteverde) ma ne registra con la sua matita, con efficacia, i momenti drammatici: ecco il poliziotto tedesco che sfonda con il calcio del fucile una porta traballante, ecco la fuga di alcuni abitanti del ghetto che scavalcano un cancello, ecco una giovane coppia che stringe a sé i figli di fronte al tedesco che li spinge brutalmente verso l'uscita.
Un altro gruppo di disegni testimonia delle vicende di
Gay e della sua famiglia nel corso dei mesi successivi: la fuga verso Olevano, con la giovane moglie e la figlia di pochi mesi, le notti all'addiaccio, la ricerca del cibo, la paura dei rastrellamenti, fino al ritorno a Roma, dove riuscirà, finalmente a trovare un rifugio si curo in casa di un funzionario della Città del Vaticano.
Si alternano nelle vetrine della mostra fogli di disegni e appunti del diario fino agli ultimi giorni dell'occupazione.
"Gli eventi precipitano" scrive Aldo Gay alla data del 4 giugno, "il cannone tuona ormai vicinissimo; le notizie si accavallano e stando ad esse sembrerebbe imminente la
liberazione di Roma".
All'alba del 4 giugno in realtà le truppe alleate stanno già entrando in città. Aldo Gay schizzerà appena un paio di disegni: alcuni tedeschi in fuga, l'abbraccio di un uomo con una giovane donna, e, sulla pagina 30 del suo album due righe : "Finalmente liberi. Gli alleati sono entrati a Roma...".
L'ultima pagina è riservata non a un disegno ma ad una fotografia : un gruppo di ragazze , in primo piano un giovanotto (forse lo stesso Gay) che suona la fisarmonica. E' il ritratto della riconquistata felicità.
(
18 ottobre 2007)
di MIRIAM MAFAI