E' l'ultimo giorno di settembre, sono le cinque del pomeriggio.
Il sole ha sonno e scivola fra i rami degli alberi, la sua luce si fa intensa come la malinconia: le ombre attorno si allungano e l'oro si sparge sulle cose, facendole diventare preziose. Domani salirò di nuovo su un aereo che mi riporterà in Italia, e questo, forse, è il sapore che hanno i saluti.
Questo parco di Gloucester è fatto solo di verde e di qualche albero - non ha la regalità dei parchi di Londra, e nemmeno la ricca varietà dei giardini botanici del Sud del Paese.
Però è proprio questo parco di Gloucester che mi fa pensare come, questa volta, il mio arrivederci al Regno Unito sia ancora più difficile del solito.
Sarà perché è autunno - e l'autunno è una stagione in cui si fanno i conti: è una stagione di sospesi e di riflessioni, una stagione in cui si pensa e si metabolizza. Si capisce - e si può scegliere di continuare ad andare avanti lo stesso, ma non si riesce a far finta di non vedere.
Sarà perché in giro ci sono pochissimi turisti e, finché non apro bocca (e a volte anche un po' dopo), vengo sempre scambiata anch'io per inglese.
Sarà perché mi piacerebbe rimanere qui ancora per qualche giorno, camminare lungo i negozi delle high streets come se fossi anch'io di qua, imparare a mimetizzare il mio accento, sedermi a scrivere al tavolino di pizzo di qualche tea room sorseggiando una tazza di earl grey e spalmando marmellata di fragole uno scone ancora fumante.
Sarà perché questo parco di Gloucester, semplice ed un po' spoglio, a me piace lo stesso.
E in qualche modo mi è rimasta impressa la sua sobrietà, la panchina di ferro battuto dove mi sono seduta, il saluto del sole a quella giornata che si fondeva col mio saluto alla città.
Col mio non voler essere altrove.
Perché, forse, l'essenza dell'amore in fondo è proprio questo.
L'amore non è sempre bellezza mozzafiato, emozione intensa, farfalle e magia. Non può esserlo tutti i giorni.
Ma, anche quando non è questo, quello che l'amore sa fare è farti sentire a casa.
"Casa" non sempre è dove si nasce; "casa" a volte non è nemmeno un luogo ma una condizione.
"Casa" è dove ci si sente felici, "casa" è quando si riesce ad essere se stessi.
Casa è il posto a cui tutti noi aneliamo - con nomi diversi, in modi diversi, a volte con giri lunghissimi e tante bugie; ma tutti cerchiamo la nostra casa.
E magari non ci sarà mai un lieto fine - magari a casa non si riuscirà mai ad andarci: magari non troverò mai il coraggio, il modo, l'occasione di andarci per restare.
Forse sarà sempre solo uno sfioramento con la punta delle dita, uno sguardo fatto di parole che non possono essere dette, un vorrei ma non posso, la testa che va altrove ma il corpo che rimane dov'è.
Forse.
O forse no.
Perché, mentre sono qui nel parco di Gloucester tinto di verde e di oro, penso che, anche se non mi appartiene, la mia "casa" comunque esiste.
C'è.
Io mi sento io, e tutte le tessere del mio mosaico riescono ad andare a posto.
Lo so, non basta. Non basta nemmeno a me.
Ma il fatto che esista è una speranza.
E' una luce che rimane accesa, come quella del sole fra i rami degli alberi qui.
E' il sogno che ti fa camminare, anche se non si realizzerà.
Del resto non esistono sogni stupidi.
I sogni, per definizione, non hanno una logica o un'intelligenza: i sogni sono sogni, e servono per sognare.
E qualche volta, magari, finiscono anche per diventare realtà...