Sarei oltremodo curioso di sapere quanti genitori italiani sentiranno un brivido imbarazzante quando sapranno che i loro figli di ordine e grado saranno costretti ogni mattina a cantare: “schiava di Roma Iddio la chiamò” e a giurare che “siam pronti alla morte, l'Italia chiamò, sì!”. In molte scuole quella brutta marcetta era cantata da tempo e si può credere che si sia trattato di una libera scelta dei babbi e delle mamme oltre che una imposizione degli insegnanti che godono, si sa, di libertà di insegnamento, a volte confusa con libertà di indottrinamento. Se dovesse passare la legge in discussione in commissione parlamentare, la libertà diverrebbe obbligo non solo di canto ma anche di memorizzazione e di esegesi. In questo sforzo, come si ricorderà, si cimentò Roberto Benigni con esiti grotteschi infarciti di rivoltante sciovinismo e di sciocchezze storiche. Sciovinismo e sciocchezzaio che, già avendo avuto alti apprezzamenti e incoraggiamenti, temo saranno le colonne sonore di gran parte dell'indottrinamento. I ragazzi sapranno così che nel 202 aC Scipione combatteva per l'Italia, che nel 1200 Legnano era una città italiana e che italiano era nel 1500 Francesco Ferrrucci. Più che una storia, quella raccontata nell'Inno di Mameli è un viaggio indietro nel tempo su una nave da cui si inietta nel passato lo sconosciuto virus della italianità. Inno brutto, ma dicono alcuni, non peggiore di altri inni statali e inni nazionali. Giusto ed infatti queste mie considerazioni non cambierebbero se fosse della stessa qualità di una toccata e fuga di Bach. È l'imposizione di un inno “nazionale”, come materia di studio e di esercizio della retorica patriottarda ad essere intollerabile. Tanto più che l'inno di una sola delle nazioni della Repubblica. Credo sia una operazione che gli stessi proponenti la legge (Pd e Pdl) guarderebbero con disgusto applicata nelle scuole di Pyongyang, da dove pure devono aver tratto aspirazione.
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