una mia amica di penna giapponese, parlando dell'hanami (la consuetudine di ammirare i ciliegi fioriti) mi diceva che in quei momenti di contemplazione l'animo dei giapponesi si riempie di un dolce languore che li fa pensare "oh, che fortuna che ho a essere nato giapponese!", e mi chiedeva se noi italiani, circondati da innumerevoli bellezze artistiche e naturali nonchè benedetti dall'ottimo cibo, ugualmente esclamiamo in cuor nostro "oh, che fortuna che ho a essere nato italiano!". a questo punto a me effettivamente è venuto un magone, ma per tutt'altro motivo. intanto mi accorgo che siamo già alla terza: prima Mohamed Ba, poi il coreano sul treno e adesso la mia amica. queste persone che amano e ammirano il nostro paese non capiscono come noi possiamo essere così indifferenti ai tesori che possediamo. tento di spiegare la cosa alla mia amica (tra l'altro in giapponese, che è ancora più difficile); mi sa che a noi italiani piace lamentarci, le dico, siamo contenti di essere italiani solo per via del buon cibo, ma per il resto di rado realizziamo tutte le cose buone che abbiamo. in effetti non riesco a immaginare gli italiani seduti sotto i ciliegi a commuoversi e a pensare ai propri fortunati natali, in compenso non posso evitare di provare una leggere invidia per i giapponesi e quel loro afflato di sano amor patrio. temo proprio che se il lamentarsi del proprio paese venisse ammesso come disciplina olimpica, gli italiani vincerebbero la medaglia d'oro, d'argento e pure di bronzo. mi domando come ci si sente a essere orgogliosi della propria nazionalità. a parte che pure i giapponesi non hanno di che stare così allegri, se uno si mette a considerare tutta una serie di cose, ma essere al contempo fieri e innamorati del proprio paese credo che dia loro una marcia in più. se non altro, mi dico, si alzeranno dal letto più contenti la mattina, che noi faremo pure colazione con cappuccio e cornetto, ma il tutto ci va di traverso nel giro di pochi minuti, soprattutto se mentre mangiamo scorriamo i titoli del giornale.
una mia amica di penna giapponese, parlando dell'hanami (la consuetudine di ammirare i ciliegi fioriti) mi diceva che in quei momenti di contemplazione l'animo dei giapponesi si riempie di un dolce languore che li fa pensare "oh, che fortuna che ho a essere nato giapponese!", e mi chiedeva se noi italiani, circondati da innumerevoli bellezze artistiche e naturali nonchè benedetti dall'ottimo cibo, ugualmente esclamiamo in cuor nostro "oh, che fortuna che ho a essere nato italiano!". a questo punto a me effettivamente è venuto un magone, ma per tutt'altro motivo. intanto mi accorgo che siamo già alla terza: prima Mohamed Ba, poi il coreano sul treno e adesso la mia amica. queste persone che amano e ammirano il nostro paese non capiscono come noi possiamo essere così indifferenti ai tesori che possediamo. tento di spiegare la cosa alla mia amica (tra l'altro in giapponese, che è ancora più difficile); mi sa che a noi italiani piace lamentarci, le dico, siamo contenti di essere italiani solo per via del buon cibo, ma per il resto di rado realizziamo tutte le cose buone che abbiamo. in effetti non riesco a immaginare gli italiani seduti sotto i ciliegi a commuoversi e a pensare ai propri fortunati natali, in compenso non posso evitare di provare una leggere invidia per i giapponesi e quel loro afflato di sano amor patrio. temo proprio che se il lamentarsi del proprio paese venisse ammesso come disciplina olimpica, gli italiani vincerebbero la medaglia d'oro, d'argento e pure di bronzo. mi domando come ci si sente a essere orgogliosi della propria nazionalità. a parte che pure i giapponesi non hanno di che stare così allegri, se uno si mette a considerare tutta una serie di cose, ma essere al contempo fieri e innamorati del proprio paese credo che dia loro una marcia in più. se non altro, mi dico, si alzeranno dal letto più contenti la mattina, che noi faremo pure colazione con cappuccio e cornetto, ma il tutto ci va di traverso nel giro di pochi minuti, soprattutto se mentre mangiamo scorriamo i titoli del giornale.